Mamma Stefania non ce l’ha fatta.

Se n’è andata, ha lasciato la sua bambina, anche se non avrebbe mai voluto, anche se fino all’ultimo ha lottato con tutte le sue forze, con un coraggio da leonessa, aggrappandosi con le unghie e con i denti a ogni minimo barlume di speranza pur di far sì che tutto ciò non accadesse. Pur di non permettere a un  destino, che già si era rivelato fin troppo crudele con loro, di averla vinta anche stavolta.

Invece, assurdamente e ingiustamente, non c’è stato nessun lieto fine; troppo potente e spietato il male che aveva preso in  ostaggio Stefania, per la seconda volta nella sua già tormentata vita. Era un nemico, certo, decisamente più comune, “noto”, rispetto a quello contro cui la sua bambina lotta dalla nascita, che non ha nome né spiegazione, ma questo non lo rendeva meno pericoloso, insidioso, sleale.

Stefania ci ha provato, con tutta se stessa, a mandare al diavolo quel maledetto tumore al seno anche stavolta, lo doveva alla sua famiglia, lo doveva soprattutto alla sua piccola Bea, che ha troppo bisogno della mamma. E non per avere qualcuno che assecondi i suoi capricci, ma per vivere.

Non poteva permettere che la sua “bambina di pietra” restasse senza di lei, non poteva lasciare suo marito Alessandro, sua sorella Sara, soli a combattere per Bea contro un avversario senza volto, quello contro cui, tutti insieme, lottavano da otto anni, dalla nascita della bimba a cui, ad appena pochi mesi, è stata diagnosticata una sindrome sconosciuta e perciò incurabile, capace di spezzarle le ossa come cristallo.

Cosa sia passato nella testa di chi – se esiste e in qualunque modo si chiami – decide delle sorti degli uomini non è dato saperlo, ma certo viene spontaneo chiedersi quali assurde combinazioni di ingiustizia, cinismo e crudeltà si siano accanite sulle vite di Bea e dei suoi familiari, perché questa nuova tragedia li travolgesse, lasciandoli impotenti, storditi, devastati.

Stefania Fiorentino non ce l’ha fatta, dunque: la sua lotta è finita a 35 anni, poco dopo la mezzanotte di sabato 5 agosto 2017, spegnendo sorrisi, speranze, preghiere. La sua malattia era stata resa nota il 29 maggio dalla sorella, Sara, via Facebook.

Mia nipote ha 8 anni, mia sorella 35 – scriveva Sara nel post – Sono giovani, delle bambine. E lottano con tutta la forza che hanno perché hanno voglia di stare con la propria famiglia, perché amano la vita. 

Dopo soli tre mesi, purtroppo, la  famiglia ha invece dovuto dare un’altra notizia, quella più terribile, quella più dolorosa. Annunciata con dignità, con umanità, con il dolore composto di chi ormai dalla vita si aspetta questo e altro, tramite la pagina Il mondo di Bea, creata nel 2012 proprio dai genitori della piccola.

La gente, i quasi 7 mila commenti commossi e sconcertati che accompagnano il post, si domanda, ragionevolmente, perché. Ed è la domanda che tutti intimamente ci poniamo di fronte a eventi del genere, a cui non si riesce mai a trovare una giustificazione plausibile, un motivo, che non riescono mai, nemmeno sforzandosi, a sembrare “possibili”.

Nessuno può trovare possibile che una mamma venga strappata via alla figlia che vive prigioniera del suo stesso corpo a causa di una malattia rarissima e che nemmeno i medici riescono a decifrare. Nessuno penserebbe mai che veramente il fato possa accanirsi così, che possa esistere davvero una tragedia che sprofonda così tanto nell’infinito.

E dire che, solo il sei giugno scorso, per il compleanno della sua bambina, Stefania aveva condiviso sulla pagina un post traboccante di amore e di vitalità.

Quale mamma al mondo, del resto, si sarebbe mai fatta vedere debole, o disillusa, o  ferita nel fisico e nella mente, davanti ai propri bambini? Soprattutto quando sa di dover rappresentare per prima l’esempio di coraggio e di determinazione da seguire. Stefania trovava le parole, e le forze, perché quello era il suo compito nel mondo, perché quella era la sua missione. Per la sua bambina, per la piccola Bea intrappolata in un’armatura di cristallo con cui ha imparato ad affrontare la vita “diversa” che le hanno riservato.

Avrebbe dovuto farlo con la mamma al suo fianco, avrebbero dovuto permetterle di continuare il suo viaggio attraverso questa vita diversa mano nella mano con mamma Stefania. Invece l’anima di Stefania è volata via, mentre quella di Bea è ancora racchiusa nello scrigno immobile che è il suo corpo, e da lì continuerà a lottare.

Perché l’anima della bimba di pietra, quella sì, può uscire e volare lontano da quella prigione fatta delle sue stesse ossa ogni volta che vuole, sognare cose e immaginare mondi differenti, dove non ci sono malattie, dolori e sofferenze, non esiste la morte e non esiste il male. In quei mondi Bea può correre, con l’anima libera, fino a perdere il fiato, e lì, da ora, a raccoglierla, a cullarla, troverà sempre l’abbraccio di mamma Stefania. Le loro due anime, unite, insieme, saranno per sempre le padrone di quei mondi magnifici, e la loro libertà darà il coraggio a Bea di combattere ancora a lungo.

Per se stessa, per mamma Stefania.

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