21 febbraio 2002. Da quel giorno Erika De Nardo non avrà più una vita normale e non dovrebbe nemmeno pretenderla come invece si ostina a fare.

Quel giorno, con il fidanzatino dell’epoca Omar Favaro, Erika uccise la madre e il fratellino. Con numerose coltellate. Premeditato e desiderato dall’inizio alla fine. Anzi, secondo l’accusa i due giovani avrebbero progettato di uccidere anche il padre della ragazza, ma l’omicidio non si sarebbe concluso perchè Omar, spossato, avrebbe deciso di andarsene dichiarando “Se vuoi, uccidilo tu“. Nessun raptus dunque ma una consapevole coscienza di quello che stavano facendo. Spregiudicata in tutto, Erika ha poi ricostruito la vicenda inventandosi l’aggressione da parte di due albanesi. Ha pure disegnato fiorellini e angeli che volano in cielo mentre sospirava al magistrato: “Mi creda, non mi toglierò di mente le urla di mio fratello, non le dimenticherò mai”

Ora Erika rivuole la sua vita. Come se nulla fosse mai accaduto. 

Già si è laureata Erika. Le è stata data la possibilità di studiare, quando magari c’è chi si è fermato alla scuola dell’obbligo perchè in famiglia l’esigenza di vivere con un altro stipendio era assoluta. Va a cavallo, gioca a pallavolo.  Vive da sola. Ma si lamenta del fatto che non può guadagnarsi da vivere come una persona normale, perchè c’è sempre qualcuno che la riconosce e la ricollega all’omicidio. Si arrabbia perchè lei dice di non essere più quell’orribile persona che accoltellò sua madre e suo fratello. Il delitto è stato talmente atroce che forse l’unica a sottovalutarlo è proprio lei. Vuole l’amore, vuole un figlio. Pretenderebbe che tutto fosse cancellato come gesso sulla lavagna. Dice di aver già pagato per i suoi errori.

 

Giustizia sarà fatta, se per tutta la vita il peso del delitto non la farà dormire la notte.

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