Finalmente c’è giustizia per Chiara Poggi.
Dopo quasi 10 ore in tribunale, i giudici di Milano hanno dato un nome al suo assassino.
Alberto Stasi, fidanzato della vittima e da sempre l’unico indagato del caso, è stato condannato a 16 anni di carcere senza il riconoscimento della crudeltà.

Oltre al carcere per Stasi, è stato disposto un risarcimento di un milione di euro ai genitori e al fratello di Chiara, uccisa la mattina del 13 agosto di sette anni fa.

Si è chiuso così il nuovo processo d’appello ‘bis’ nei confronti dell’ex studente bocconiano che esattamente 5 anni fa, il 17 dicembre 2009, aveva incassato la prima assoluzione confermata due anni dopo in secondo grado e poi cancellata dalla Cassazione.
Dopo sette ore di camera di consiglio e un dibattito ricco di polemiche tra difesa e i legali di parte civile, sei giudici popolari e due togati hanno ritenuto Alberto colpevole, nonostante la pena richiesta dei 30 anni è stata dimezzata a 16.

Molta la commozione dei genitori di Chiara, che finalmente vedono fatta giustizia per la loro figlia, persa in un modo così atroce, per mano dell’uomo che amava.

La pena ha sconvolto Stasi, che prima che i giudici si ritirassero per la decisione, prendendo la parola, ha ribadito:

“Non cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente. Sono anni che sono sottoposto a questa pressione. È accaduto a me e non ad altri. Perchè? Mi appello alle vostre coscienze: spero che mi assolviate”

Questo verdetto è arrivato dopo che nell’aprile 2013 fu annullata la sentenza di assoluzione e rinviati gli atti a Milano a una nuova sezione della Corte d’Assise d’Appello ritenendo che occorresse una valutazione complessiva e unitaria degli elementi acquisiti.
Gli indizi sono le impronte digitali di Alberto ritrovate sul dispenser del sapone in bagno dove l’assassino si è lavato le mani, che Chiara abbia aperto la porta di casa ad una persona che di certo conosceva bene, l’assenza di alibi tra le 9.12 alle 9.35, la finestra di 23 minuti in cui è stata collocata la brutale aggressione, il Dna della vittima rintracciato su uno dei pedali della bici bordeaux Umberto-Dei Milano di Alberto.

Inoltre Stasi, nonostante avesse detto di essere entrato nell’abitazione dei Poggi e di aver scoperto il cadavere, non si macchiò di sangue le suole delle scarpe, per poi omettere anche di raccontare agli inquirenti di possedere una bici nera da donna dopo che due testimoni avevano raccontato di averne vista una appoggiata alla muro della villetta di via Pascoli nell’immediatezza del delitto.

La Corte, oltre al sequestro della bicicletta nera da donna nella disponibilità degli Stasi, ha disposto altri accertamenti: tra questi, forse, quello chiave è stato l’esame sperimentale della cosiddetta camminata di Alberto esteso, però, anche ai due gradini e alla zona antistante la scala dove giaceva il corpo senza vita della giovane donna. Esame, questo, con cui si è stabilito come sia impossibile che Stasi non si sia sporcato le scarpe e non abbia nemmeno lasciato una traccia ematica sul tappetino della sua Golf.

La mamma di Chiara ha finalmente trovato la verità che tanto cercava, ripetendo in continuazione che l’unico suo interesse era proprrio questo.

“Non abbiamo mai mollato! Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta!'”

Subito dopo la lettura della sentenza dei giudici della Corte d’Assise d’appello di Milano, Rita Poggi ha abbracciato prima il legale di parte civile, l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, e poi il cugino di Chiara e consulente informatico Paolo Reale. A fianco a lei c’era anche il fratello di Chiara, Marco Poggi, visibilmente commosso come il papà, Giuseppe Poggi, che non è riuscito a trattenere le lacrime.

Stasi, invece, è rimasto impietrito e ha lasciato velocemente e da un’uscita laterale l’aula e il Palazzo di Giustizia, accompagnato dai suoi legali.

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