“Non hai mai gridato aiuto?” “Perché non hai reagito?” Sono queste le domande che tantissime vittime di stupro si sentono rivolgere. Domande che riflettono un mito – purtroppo molto diffuso – sullo stupro: è tale solo se la vittima si ribella e combatte.

Quando si parla di violenza sessuale, spesso si tende a immaginare la vittima impegnata in una strenua lotta contro l’aggressore, mentre cerca disperatamente di sfuggire alla situazione. Tuttavia, 7 vittime di stupro su 10 raccontano una storia diversa: quella del “congelamento” (freezing).

Secondo quanto riferito dai ricercatori, il “congelamento” è una risposta involontaria a una minaccia che può impedire alla vittima di resistere attivamente. Questo fenomeno, ben documentato nella letteratura scientifica, è stato osservato in tutta la biologia e rappresenta una modalità di reazione estremamente comune in situazioni di pericolo.

Secondo gli esperti, quando una persona si trova di fronte a una minaccia imminente e travolgente, il sistema nervoso attiva una serie di meccanismi di difesa. Questi meccanismi, evoluti nel corso di milioni di anni di adattamento alla sopravvivenza, possono portare alla paralisi fisica e mentale, impedendo alla vittima di muoversi o di agire consapevolmente.

Studi condotti su animali hanno evidenziato che minacce gravi e immediate, come l’aggressione o la costrizione fisica, possono innescare una risposta di congelamento. Questa risposta può manifestarsi attraverso una postura fissa, nota come immobilità tonica, o attraverso la perdita del tono muscolare, conosciuta come immobilità collassata.

È importante sottolineare che il congelamento non deve essere in alcun modo interpretato come una forma di consenso alla violenza. Al contrario, è una testimonianza della gravità dell’evento e della potenza dell’istinto di sopravvivenza umano. Tuttavia, questa risposta può spesso lasciare la vittima con sentimenti di colpa e vergogna, amplificando il trauma e complicando il processo di recupero. Per questo spesso scelgono di non denunciare il loro aggressore.

E. Jean Carroll, nel suo processo contro l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, da lei accusato di violenza sessuale, ha sollevato un punto cruciale: “Le donne non si fanno avanti. Uno dei motivi per cui non si fanno avanti è perché viene sempre chiesto loro: perché non hai urlato? Faresti meglio ad avere una buona scusa se non hai urlato”.

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