Di aborto si parla, spesso; difendendo il diritto alla libera scelta delle donne, o giudicandola, tirando in ballo l’autodeterminazione, il libero arbitrio, o la religione, la morale, l’etica.

Più o meno chiunque sembra sentirsi legittimato a parlarne, soprattutto se si tratta di condannarne l’esistenza, anche gli uomini, dimentichi spesso del fatto che uno degli slogan femminili anni ’70, ai tempi della lotta per l’approvazione della 194, fosse “Il corpo è mio e decido io” che, a conti fatti, resta una grande verità.

Mancava l’ex premier Matteo Salvini all’appello di coloro che si sono sentiti quasi in dovere di far sapere la propria sul tema; lui che, anche quando il collega di partito Alberto Stefani proponeva un ddl che disincentivasse l’aborto e l’elezione di Lorenzo Fontana a Ministro della famiglia destava più di una preoccupazione per le idee extra conservatrici, aveva sempre fatto intendere di volersi tenere alla larga dallo spinoso argomento con un serafico “divorzio, aborto, parità di diritti tra donne e uomini, libertà di scelta per tutti non sono in discussione“.

Evidentemente deve averci ripensato, visto che durante la manifestazione del 16 febbraio all’Eur, Roma torna capitale, parlando della presunta eccessiva affluenza di stranieri al pronto soccorso, il leader leghista ha allargato il discorso all’Ivg:

Delle infermiere del pronto soccorso di Milano mi hanno segnalato che ci sono delle donne che si sono presentate per la sesta volta per una interruzione di gravidanza – le sue parole – Non entro nel merito di una scelta che compete solo alla donna. Non è compito mio né dello Stato dare lezioni di morale o di etica a chiunque, è giusto che sia la donna a scegliere per sé e per la sua vita. Però non puoi arrivare a prendere il pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile per il 2020.

Ora, chiaramente qualcuno potrà dire che Salvini non ha mai negato il diritto di una donna di ricorrere all’interruzione di gravidanza, ma solo il suo “abuso”, ovvero il farvi ricorso più volte; ma ci sono alcune imprecisioni di fondo, nel suo discorso, e affermazioni che forniscono un quadro vagamente distorto di quella che è la realtà abortiva nel nostro Paese.

1. Perché non è vera la storia delle donne in pronto soccorso per abortire

Lo spiega perfettamente Jennifer Guerra in questo articolo per The Vision:

[…] Quando Salvini parla di donne che affollano il pronto soccorso per abortire non si capisce cosa intenda esattamente: il pronto soccorso non è il luogo in cui si svolge l’Ivg, che tra l’altro prevede un iter spalmato su più appuntamenti: come previsto dalla legge, si deve prima ottenere un certificato medico di gravidanza (che difficilmente rilascerà il medico di pronto soccorso) e, dopo la cosiddetta pausa di riflessione di una settimana, si svolge l’operazione nel reparto di ginecologia. Magari Salvini si stava riferendo alla contraccezione di emergenza, ma qualcuno dovrebbe spiegargli che non solo non si tratta di un metodo abortivo, ma anche che non serve nessuna prescrizione medica per le maggiorenni.

Scegliere di interrompere una gravidanza non è come presentarsi al pronto soccorso perché ci si è tagliati con il coltello da cucina e si chiedono dei punti di sutura anziché mettere un semplice cerotto sopra la ferita. E la possibilità di avere la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo senza ricetta medica (per le maggiorenni) ha contribuito, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute nell’ultima relazione sul tema, riferita al 2017, a ridurre il numero delle interruzioni di gravidanza, calate del 4,9% rispetto all’anno precedente e addirittura del 65,6% rispetto al 1982, anno in cui si raggiunse il picco di aborti.

È chiaro che l’accesso ai metodi contraccettivi sia uno dei modi più efficaci affinché sempre meno donne, soprattutto tra le giovani, si debbano confrontare con gravidanze indesiderate e quindi ricorrere all’aborto, ed ecco perché c’è un altro problema nella parole di Salvini.

2. Perché il problema non è lo “stile incivile” delle donne ma un altro

È vero che nel nostro Paese sono più le donne straniere a ricorrere alle interruzioni di gravidanza (36% contro il 21,3%), ma, come spiega la sociologa Lia Lombardi, il tasso più alto di abortività è facilmente collegato alla condizione di precarietà in cui i migranti, in quanto tali, vivono, dalle condizioni di disagio economico e sociale cui si aggiungono le complicazioni legate alla comunicazione e allo status di irregolari.

Non si può certamente negare che nelle aree del mondo da cui molti migranti provengono il problema della pianificazione familiare e della mancanza di contraccettivi sia concreto e spesso legato a dinamiche di tipo culturale o sociale, anche Melinda Gates ne ha parlato in un Ted Talk del 2012, sottolineando come spesso le donne, in alcuni Paesi, non abbiano affatto diritto di scelta né sul proprio corpo né sulla maternità.

I dati riportati in quell’occasione da Melinda parlavano del 10% di persone che usano contraccezioni varie in Nigeria, appena del 2% del Ciad, e del 12% in Senegal, uno degli stati più grandi dell’Africa.

Per le donne straniere, specie se irregolari, nel nostro Paese il problema è un altro, ovvero la reticenza nell’usufruire dei servizi della sanità pubblica – nonostante i medici abbiano il divieto assoluto di “segnalare alle autorità lo straniero irregolarmente presente nel territorio dello Stato che chiede accesso alle prestazioni sanitarie” – e il ricorso all’aborto clandestino, che in Italia è sanzionato con multe fino a 10 mila euro, preferito rispetto all’eventualità di un rimpatrio o della chiusura in un Cpr.

Non ci sono “stili di vita incivili”, dunque, alla base della scelta di ricorrere all’aborto, ma solo scarsa preparazione e conoscenza in materia sessuale (come spiega The Visionsolo il 17,1% delle straniere aveva ricevuto informazioni mediche su come evitare una gravidanza“). E questo vale per tutte, italiane e non; eppure, quando si parla di introdurre l’educazione sessuale a scuola come materia obbligatoria, c’è una reticenza palpabile, peraltro dimostrata dallo stesso Salvini con affermazioni come “Se la maestra parla di sesso a mia figlia, vado e le faccio una faccia così”. Come se il sesso fosse l’argomento da demonizzare, il tabù da tenere all’oscuro ai ragazzi.

Allora, anziché scagliarsi contro l’insegnamento di una materia che può fornire ai più giovani gli strumenti giusti per approcciarsi al sesso, o proporre il pagamento dei servizi sanitari per gli stranieri, anche nel caso dell’interruzione di gravidanza – che contrasta non solo con la legge 194, ma anche con la numero 40 del 1998 per cui le prestazioni in tema di maternità, Ivg compresa, sono gratuite – Salvini dovrebbe forse interrogarsi sul perché le donne arrivino ad abortire più volte (che poi, in realtà, solo il 3,4% delle donne straniere è ricorsa all’Ivg per più di tre volte): sfruttamento, violenza, ignoranza, un sistema culturale maschilista?

E dovrebbe forse interrogarsi anche sulla liceità del comportamento delle infermiere che, evidentemente, sentono il bisogno di andare a parlare con lui dei casi di aborto reiterati e che, come ha scritto Selvaggia Lucarelli nel suo pezzo per TPI,

… non andrebbero citate ai microfoni, andrebbero rimosse dal loro posto e mandate a fare un mestiere che non abbia a che fare con l’umanità e la cura degli altri, che non è solo applicare una flebo o misurare la febbre.

3. Il gesto politico di Selvaggia Lucarelli

A proposito di Selvaggia Lucarelli, nel suo articolo ha invitato Salvini a lasciar stare le straniere e a prendere come esempio lei, una donna italiana, che ha abortito, esercitando un diritto che le è consentito per legge ma di cui si sente d’improvviso defraudata, a causa delle continue ingerenze, anche politiche, che vorrebbero rimetterne in discussione la legittimità.

Ho abortito. Volontariamente. Più di una volta. Due o cinquanta, sono fatti miei, e in realtà anche quello che nella vita ho deciso di fare del mio corpo erano fatti miei, finché ho sentito che non lo erano più.

Dice nell’articolo, aggiungendo più avanti

Non ti aspettare però che piagnucoli, che ti parli di quanto sia doloroso abortire. Di cosa significhi emotivamente, del perché sia successo e del perché sia successo più di una volta. Questi, perdona il lirismo, restano cazzi miei.

La questione razziale volutamente sottolineata da Salvini, cui abbiamo controbattuto poc’anzi, ha in effetti davvero poco a che fare con l’aborto, che è prima di tutto un diritto, per tutte, che è e deve restare scelta libera di ogni donna, e la cui possibilità di esercizio è, quella sì, un’espressione di civiltà.

Sono donna. Sono italiana. Dillo a me che ho uno stile di vita incivile – scrive ancora Selvaggia – Vieni a farmi la morale o a insegnarmi cosa debba fare della mia vita e del mio corpo. Spiegami, magari, anche come mi debba sentire, come e se mi possa auto-assolvere, spiegami i miei peccati […] Quello con cui non sai confrontarti e che nel profondo non ti va giù è che ho abortito, che hanno abortito, perché abbiamo esercitato un nostro diritto, un diritto che non si misura nella quantità e che non si misura nei giudizi regalati ad un microfono. Io e così le altre donne. Tutte.

[…] Potrei raccontarti di una ragazza che piangeva in un letto d’ospedale e di una che ha preso veloce la sua borsa ed è scappata via sollevata. Di me che ho sofferto o che sono stata fredda, senza mai dimenticare, qualunque fosse il mio stato emotivo, che stavo decidendo per me, che stavo decidendo io, che nessuno poteva e doveva farlo al posto mio.

Che io sola sarei stata il giudice legittimo delle mie azioni. Che quello che stavo facendo era la conquista di donne coraggiose che hanno lottato per me, che indietro non torno e non si torna. Usa me, Salvini, se proprio vuoi giudicare.

Me che non sono una straniera magari buttata sulla strada da qualcuno, me che ho potuto studiare, che non vengo dalla cultura dei dieci figli come benedizione e che ho avuto una vita facile.

La scelta è sempre e solo delle donne; ma, anche ammettendo che qualcuno oltre alle donne voglia sentirsi in diritto di parlarne, Selvaggia ricorda un altro punto fondamentale:

Potrei controbattere che ci sono straniere che vanno educate alla contraccezione, è vero, ma di solito, a meno che le straniere non siano meduse e si riproducano in remoto, ci sono uomini stranieri che fanno la loro parte.

4. Se un politico (maschio) spiega alle donne come e se abortire

Le parole di Salvini, alla fine, hanno la stessa valenza di quelle con cui il deputato 5 stelle Francesco D’Uva cercava di sostenere la ragionevolezza dell’Iva al 22% sugli assorbenti. Sono lontane, per ovvie ragioni, da una realtà che può essere conosciuta solo da chi, donna, certe situazioni le vive.

Come spesso abbiamo cercato di chiarire, essere favorevoli all’esistenza di un diritto, quello all’aborto, non significa necessariamente pensare di esercitarlo, prima o poi; ma solo che sia giusto che questa scelta alle donne venga offerta, soprattutto per toglierle da quelle situazioni di clandestinità con cui abbiamo dovuto fare i conti fino al recente passato.

Se un uomo, che ovviamente non potrà mai sperimentare fisicamente un aborto, vuol davvero parlarne, dovrebbe farlo quantomeno con il rispetto dovuto proprio alla non conoscenza del tema; esemplare, da questo punto di vista, è la lettera che lo scrittore Italo Calvino pubblicò sul Corriere della sera il 9 febbraio 1975, in risposta a quella di sei giorni prima del collega Claudio Magris, in cui quest’ultimo si scagliava contro la depenalizzazione dell’aborto, allora considerato, secondo l’articolo 545 del Codice Penale, delitto contro la integrità e la sanità della stirpe.

Seppure la dimensione, che lui dipinge come “dolorosissima”, dell’aborto debba rimanere in realtà una questione assolutamente soggettiva, queste parole di Calvino sono encomiabili, come lo è la sua volontà di prendere una posizione chiara e decisa contro un uomo, per le donne, pur non essendolo.

Caro Magris
con grande dispiacere leggo il tuo articolo Gli sbagliati. Sono molto addolorato non solo che tu l’abbia scritto, ma soprattutto che tu pensi in questo modo.
Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso. Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri. Se no, l’umanità diventa – come in larga parte già è – una stalla di conigli. Ma non si tratta più della stalla «agreste», ma d’un allevamento «in batteria» nelle condizioni d’artificialità in cui vive a luce artificiale e con mangime chimico.

Solo chi – uomo e donna – è convinto al cento per cento d’avere la possibilità morale e materiale non solo d’allevare un figlio ma d’accoglierlo come una presenza benvenuta e amata, ha il diritto di procreare; se no, deve per prima cosa far tutto il possibile per non concepire e se concepisce (dato che il margine d’imprevedibilità continua a essere alto) abortire non è soltanto una triste necessità, ma una decisione altamente morale da prendere in piena libertà di coscienza. Non capisco come tu possa associare l’aborto a un’idea d’edonismo o di vita allegra. L’aborto è ‘una’ cosa spaventosa […]

Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte. Nel momento in cui si cerca di rendere meno barbara una situazione che per la donna è veramente spaventosa, un intellettuale ‘impiega’ la sua autorità perché la donna sia mantenuta in questo inferno. Sei un bell’incosciente, a dir poco, lascia che te lo dica.

Non riderei tanto delle ‘misure igienico-profilattiche’; certo, a te un raschiamento all’utero non te lo faranno mai. Ma vorrei vederti se t’obbligassero a essere operato nella sporcizia e senza poter ricorrere agli ospedali, pena la galera. Il tuo vitalismo dell’’integrità del vivere’ è per lo meno fatuo. Che queste cose le dica Pasolini, non mi meraviglia. Di te credevo che sapessi che cosa costa e che responsabilità è il far vivere delle altre vite.
Mi dispiace che una divergenza così radicale su questioni morali fondamentali venga a interrompere la nostra amicizia”.

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