E tu parli l'algospeak? Il linguaggio che la Gen Z usa per fregare gli algoritmi

Cos'è e come si parla l'algospeak, il linguaggio nato per eludere gli algoritmi e che promuove una maggior libertà di esperessione (ma con qualche rischio a cui prestare attenzione)

Quando si parla di Gen Z, o generazione Z, si intendono tutte le persone nate dagli anni ’90 all’inizio degli anni 2010. Una bella fetta di popolazione nata nel momento di maggior sviluppo tecnologico e che anche per questo viene definita come la generazione dei nativi digitali, cresciuti in un mondo dominato dalla tecnologia e, soprattutto, dai social media. Un mondo nuovo, per chi è nato prima, normale per chi è venuto dopo, e nel quale la Gen Z si è trovata talmente a proprio agio da trovare vari ed eventuali modi per “fregare” la tecnologia, lasciandola al proprio servizio ma senza diventarne sottoposta. Come nel caso dell’algospeak, il linguaggio che la Gen Z usa per eludere gli algoritmi.

Cos’è l’algospeak: il vocabolario segreto dei social

Ma cosa significa esattamente algospeak? Si tratta di una parola nata dalla fusione di due termini, “algorithm” e “speak”. Un vocabolario di parole nate per aggirare gli algoritmi social progettati per limitare la diffusione di contenuti che vanno contro le linee guida data alla community, e che molto spesso toccano argomenti delicati ma legittimi, come la sessualità, le disuguaglianze sociali e di genere, la salute mentale.

Argomenti molto sentiti dalla Gen Z, caratterizzata da una forte consapevolezza sociale, e che promuove costantemente un approccio inclusivo, autentico e rispettoso delle diversità oltre che nel rapporto tra vita e lavoro.

Come funziona l’algospeak e perché nasce: tra censura automatica e visibilità forzata

Una nuova forma di linguaggio quindi, un vocabolario segreto creato per poter parlare liberamente di queste tematiche importanti senza essere censurati o bannati.

Una serie di simboli, asterischi, caratteri speciali, emoji, ecc, che aiutano chi scrive a evitare di essere censurato, garantendosi la possibilità di esprimere il proprio pensiero riguardo argomenti che hanno ricevuto una limitazione da parte degli algoritmi. Linguaggi in codice che non solo vengono condivise e comprese da un’intera generazione, ma che vanno anche a creare una sorta di rete di solidarietà tra gli utenti, in cui  l’algospeak diventa una vera e propria chiavi di accesso di comunicazione e un simbolo di libertà espressiva.

Un linguaggio che nasce per due ragioni di base, la prima legata alla possibilità di monetizzare lavorando sui social senza il rischio di essere bloccati o censurati, la seconda, dominante rispetto alla prima, come forma di protesta e di difesa della libertà di poter parlare di argomenti importanti, ma senza doversi preoccupare di essere limitati nel farlo.

I termini più usati nell’algospeak: da “unalive” a “spicy worker”

Ma quali sono queste parole e simboli utilizzati ad hoc e che eludono la censura degli algoritmi? L’ algospeak ha un vocabolario molto ampio, fatto di circumlocuzioni, emoji, caratteri speciali e asterischi, messi in punti ben precisi della parole classiche in modo da alterane la scrittura ma senza che si perda la comprensione del significato.

Se il simbolo della pannocchia o della melanzana su TikTok, vengono usati per identificare il sesso maschile, il lipglos diventa il simbolo della vagina, mentre parole come sesso o lesbica diventano «se$$o» e «le$bica», visivamente comprensibili nonostante il carattere diverso ma non interpretabile dall’algoritmo.

Allo stesso modo, poi, parole che possono essere bannate come il termine “morto” o “ucciso” vengono sostituite con eufemismi, per esempio “unalive”, o ancora per identificare chi lavora con il proprio corpo in ambito sessuale viene definito come “spicy worker”, evitando così la censura messa in atto da parte dei sistemi di moderazione automatica dei social media.

I rischi dell’algospeak: normalizzazione di linguaggi tossici e incel

Un modo di comunicare libero, quindi, ma che può aver anch’esso dei pericoli.

Se da un lato, come visto, l’algospeak permette una maggiore libertà di espressione, dall’altro, potrebbe creare dei problemi, come la facilitazione di contenuti a rischio, che vengono bloccati per tutelare gli utenti e per proteggerli.

E questo perché gli algoritmi hanno loro stessi dei limiti, ovvero quelli di non sapere distinguere il contesto in cui certe espressioni e parole vengono utilizzare, riuscendo quindi a dividere le comunicazioni e i contenuti importanti da quelli che davvero violano le linee guida date alle diverse community.

Così facendo, se non si usa l’algospeak con intenzioni positive legate davvero a una maggior condivisione e inclusione, il rischio è che si vengano a creare delle situazioni negative non percepite e bloccate dagli algoritmi delle piattaforme.

Il rischio nemmeno troppo velato dell’algospeak, infatti, è quello di cadere nel linguaggio tossico, nato per una ragione ma che sfocia verso tutt’altra direzione, fornendo carta bianca a situazioni  o comportamenti e ideologie fortemente misogine e antifemministe, portate avanti dai cosiddetti Incel, uomini che odiano le donne, e che perpetuano in azioni e discussione che non parlano di inclusione e rispetto ma che vanno esattamente dalla parte opposta e senza che vengano fermate.

Come cambia il modo di comunicare online

Un modo di comunicare che quindi necessita di attenzione, e che è destinato a mutare e innovarsi in base a quanto gli algoritmi cambieranno a loro volta, affinandosi e obbligando lo stesso algospeak a fare altrettanto.

Un modo di parlare che necessita di adattarsi alle sfide imposte dal mondo social e digitale, e che allo stesso tempo deve migliorare se vuole mantenere il suo scopo iniziale di inclusività e libertà di espressione, ingannando gli algoritmi ma, allo stesso tempo, distaccandosi da chi lo usa in modo improprio come mezzo negativo e complice di comportamenti tossici.

Una nuova comunicazione che implica delle considerazioni importanti e delle azioni profonde, per garantire la libertà di espressione ma allo stesso tempo la moderazione dei contenuti che vengono messi on line e che non possono essere lasciati davvero liberi.

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