Il femminicidio non è solo una ‘questione moderna’. Annia Regilla e Apronia vissero entrambe al tempo dell’antica Roma e i racconti della loro vita e del loro femminicidio sono giunti fino a noi in tutta la loro drammaticità.

Come è ormai risaputo, nell’antica Roma la società era organizzata in modo patriarcale. Le donne si trovavano quindi in una posizione subordinata rispetto agli uomini, e non solo delle donne della plebe, ma anche quelle di origine aristocratica. Come, appunto, Annia Regilla.

Annia Regilla visse nel II secolo d.C., quando l’Impero Romano era al massimo del suo splendore. Proveniente da una ricca famiglia dell’alta aristocrazia che vantava stretti rapporti con la famiglia imperiale, Annia crebbe tra gli agi e le ricchezze, ricevendo un’ottima istruzione e venendo servita in tutto da numerosi servi.

La sua infanzia fu felice e spensierata fino a quando, al compimento dei suoi quattordici anni di età, la sua famiglia decise di pianificare le sue nozze con un uomo molto più vecchio di lei, tale Erode Attico, che possedeva una immensa ricchezza. Erode intendeva sposare una fanciulla romana per poter liberarsi definitivamente del proprio passato da cittadino greco ed entrare così di diritto nella società romana.

Il matrimonio fu un vero tormento per la povera Annia Regilla. Per prima cosa fu costretta a trasferirsi con il marito in Grecia, lasciando per sempre la sua famiglia. Qui Erode le riservò i peggiori trattamenti, essendo per natura un uomo molto violento e misogino. Da Annia Regilla ebbe cinque figli, ma continuò sempre a tradire la moglie con altri uomini, con grande dolore di Annia.

Mentre era in attesa del suo sesto figlio, un giorno Annia Regilla fu sorpresa da una liberto di Erode che la picchiò a morte. Benché non si sappia a cosa fu dovuto il pestaggio, con ogni probabilità fu proprio Erode a dire al liberto di uccidere la moglie, forse diventata un peso per lui. L’uomo fu poi processato a Roma, ma venne graziato, probabilmente per via del suo stretto rapporto con Marco Aurelio, che lo protesse garantendo per lui. Il femminicidio di Annia Regilla, quindi, rimase tristemente impunito.

Altrettanto triste è la vicenda di Apronia. Vissuta nei primi anni dopo la nascita di Cristo, Apronia, era la moglie del pretore Plauzio Silvano e fu trovata senza vita riversa a terra di fronte a casa sua, dopo essere precipitata da una finestra. Venuto a conoscenza del triste epilogo della vita di Apronia, suo padre Lucio Apronio iniziò a sospettare del genero, e lo portò a processo di fronte all’imperatore Tiberio.

Silvano riferì di non avere nulla a che fare con la tragedia in quanto, seppur si trovasse in casa il giorno della morte della moglie, in quel momento stava dormendo. Secondo lui, quindi, la moglie doveva essersi suicidata.

Nutrendo molti dubbi circa la veridicità delle affermazioni di Silvano, l’imperatore Tiberio volle recarsi personalmente sul luogo del delitto per verificare come poteva essere avvenuta la morte di Apronia. Giunto sul posto notò subito tracce di una colluttazione avvenuta in prossimità della finestra sotto cui era stato ritrovato il corpo di Apronia.

Imprigionato in attesa di giudizio, Silvano finì col togliersi la vita con un pugnale per evitare di gettare fango sul nome della sua famiglia. A fargli recapitare il pugnale fu nientemeno che sua nonna, Urgulania. Tempo dopo il suicidio di Silvano, venne aperto un nuovo processo contro Numantina, la prima moglie di Silvano, accusata di aver spinto il marito, attraverso la magia, a uccidere la sua seconda moglie per gelosia.

Tuttavia la mancanza di prove comportò l’archiviazione del caso. Anche il femminicidio di Apronia, dunque, rimase senza colpevole. Per i familiari della donna, l’unica consolazione fu la morte di colui che l’aveva uccisa, Silvano.

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