Perché è importante che i calciatori omosessuali facciano coming out

La rivista tedesca di calcio "11 Freunde" ha lanciato un appello ai calciatori gay, invitandoli a fare coming out e dimostrando loro pieno supporto per iniziare, insieme una rivoluzione culturale che da troppo tempo si attende nel mondo del calcio.

La rivista tedesca di calcio 11 Freunde ha lanciato un appello in cui esorta i calciatori omosessuali a fare coming out. E lo fa con un’iniziativa rivoluzionaria e dal forte impatto, come mostra la sua copertina, proposta in varie versioni, in ciascuna della quali calciatrici e calciatori posano, esponendo un cartello con la frase “Potete contare su di noi”, incoraggiando i compagni a esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale.

Sono oltre 800 i calciatori e le calciatrici tedesche che hanno firmato l’appello condiviso dalla rivista tedesca, e l’iniziativa è diventata anche social, trasformandosi in messaggi e video di solidarietà e incoraggiamento, raccolti dall’hashtag #ihrkönntaufunszählen, appunto, “contate su di noi”.

Si legge nella rivista:

Ancora nel 2021 non c’è neppure un calciatore dichiaratamente omosessuale nelle categorie professionali del calcio in Germania. La paura che dopo un coming out si finirebbe aggrediti o discriminati, e che si possa mettere in pericolo la carriera di calciatore professionista, è chiaramente ancora molto grande, al punto che i calciatori pensano di dover nascondere la propria omosessualità. Vi sosterremo, vi incoraggeremo e, se necessario, vi difenderemo dagli attacchi. Perché fate la cosa giusta e noi siamo dalla vostra parte. Potete contare su di noi!

Un messaggio forte e un gesto rivoluzionario che potrebbe rappresentare il primo passo verso un cambiamento culturale – soprattutto se sarà accolto e seguito da altri Paesi – e che dà voce a quello che da sempre viene considerato indicibile: l’omosessualità nel calcio, in un mondo, cioè, che dalla notte dei tempi viene associato a machismo e virilità e che ha prodotto un ambiente maschilista, che non conosce inclusività e ancora oggi ha paura di accettare l’esistenza delle diversità.

E, infatti, l’operazione è duplice: non solo si rivolge alle persone omosessuali e bisessuali dicendo loro di non avere paura ad aprirsi, ma, non troppo implicitamente, chiede a tutto il mondo eterosessuale di accogliere le diversità e dimostrare apertura per fare in modo che i coming out possano essere liberi e numerosi, soprattutto in un mondo come quello calcistico, che ha sempre mostrato netta chiusura e indifferenza sul tema, in tutti sensi considerato un tabù, un argomento da censurare, a cui alludere velatamente, ma mai affrontare.

L’iniziativa lanciata dalla rivista arriva pochi giorni dopo dall’uscita dell’autobiografia di Philipp Lahm, dal titolo The Game: The World of Soccer, in cui il celebre ex terzino del Bayern Monaco e della nazionale tedesca ha affrontato anche il tema dell’omosessualità, consigliando ai calciatori di non esporsi in merito al proprio orientamento sessuale:

Se un giocatore pensasse di fare qualcosa del genere e me ne parlasse, gli consiglierei di consultarsi molto bene con i suoi più stretti confidenti, e di rendersi conto onestamente delle sue motivazioni. Ma gli sconsiglierei di parlarne anche con i suoi compagni di squadra.

Philipp Lahm ha anche citato il caso di Thomas Hitzlsperger, che ha fatto coming out dopo aver ufficializzato il ritiro dal calcio. L’ex calciatore tedesco, che ha giocato anche nella Lazio, quattro mesi dopo aver concluso la sua carriera, nel 2014 si era lasciato andare in una dichiarazione profondamente sincera che dà una fotografia perfetta del mondo del calcio, di allora e di oggi:

È un tema che non viene preso sul serio, non nello spogliatoio almeno. Per questo ho deciso di parlare. Io non mi sono mai vergognato di come sono fatto, ma nel calcio non è sempre facile affrontare questo argomento, viene ignorato. Immaginate 20 uomini seduti intorno a un tavolo, mentre bevono qualcosa e fanno battute sui gay… non è facile.

E del resto, in Italia, come in Germania, dove la tradizione del calcio è fortissima, questo mondo è ancora profondamente legato a un immaginario maschilista. L’idea del calciatore macho e virile è quella prevalente, se non l’unica possibile, almeno ufficialmente. Il mito del calciatore e della velina che da anni ci portiamo dietro, con tanto di narrazione dei giornali e della stampa, ha poi contribuito a solidificarlo.

Eppure un’altra via possibile c’è, e alcune personalità celebri, anche se ancora poche, ce la stanno indicando. Lo ha dimostrato recentemente un ex calciatore, Alessandro Marchisio, oggi impegnato a far sentire la sua voce e a sposare cause nobili in nome dell’uguaglianza e dell’inclusione. In una recente intervista, in occasione della presentazione del suo libro, Il mio terzo tempo. Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole, Marchisio ha affrontato il tema dell’omosessualità con uno sguardo onesto e un’analisi molto lucida:

Non so se ho mai avuto dei compagni di squadra omosessuali. Se ci sono stati, non si sono mai sentiti liberi di dirlo pubblicamente, né a me (cosa che conta poco) né al mondo. Ho però ben presente la disinvoltura con cui, specialmente da ragazzini, si usavano parole come “frocio” o “finocchio” per riderne, per sfotterci a vicenda, per scherzare. Forse non pensavamo al significato di quello che dicevamo, o forse ci rassicurava il fatto di poterci sentire parte di un gruppo di uguali, ci aiutava usare categorie maschiliste perché ci metteva al riparo dalle nostre fragilità che, qualunque origine avessero, restavano per l’appunto nascoste dietro questo teatrino. Eravamo ragazzini e come tutti gli adolescenti ci portavamo dietro i modelli che introiettavamo dai nostri miti, a partire dagli sportivi e passando per musicisti e attori. E lì il modello era uno e uno soltanto: l’uomo che non deve chiedere mai, come recitava anche una pubblicità (oggi fortunatamente ridicola) di quegli anni. Ora so che qualcuno di quei compagni può aver sofferto, può essersi sentito sbagliato, magari ha interrotto il suo percorso sportivo proprio per smettere di sentirsi isolato e sotto assedio.

E l’ex calciatore juventino intravede come possibile “cura” contro questa concezione machista, una rivoluzione culturale, che deve partire proprio dalle persone che hanno una maggiore visibilità e possono essere ispirazione ed esempio.

Abbiamo estremo bisogno di una rivoluzione dei costumi. Bisogna che l’inconsapevolezza di fondo sparisca, è necessario che il linguaggio comune si liberi una volta per tutte da qualunque ammiccamento machista, da ogni ironia sottintesa quando si parla di orientamenti sessuali. Sono convinto che debba arrivare il giorno in cui i discorsi sulla sessualità, qualunque orientamento questa abbia, perderanno l’aura di malizia che ancora oggi li ammanta

Sempre lui, in un’intervista al Corriere ad opera di Marco Castelnuovo, aveva lodato con queste parole il calcio femminile, più libero, aperto e inclusivo:

Sicuramente sono più emancipate, possono aiutarci a spezzare un tabù. Prima o poi ci sarà qualcuno con le spalle talmente larghe da contrastare l’inevitabile onda d’urto.

Ma accanto alle voci e alle pubbliche prese di posizioni di personaggi celebri, che tanto possono fare in questo senso, è fondamentale che i media e i linguaggi da questi veicolati inizino a ispirarsi a nuovi tipi di narrazioni, che si lascino alle spalle cliché e la solita retorica con cui il mondo del calcio viene dipinto e raccontato. Un passo importante in questa direzione era stato compiuto qualche anno fa – troppo tempo fa ormai – dal settimanale de La Gazzetta dello Sport, SportWeek, che aveva scelto di dedicare la sua copertina al bacio di due rugbisti gay. Un altro mondo, esattamente come quello del calcio, fortemente legato ai canoni di machismo e virilità.

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