Il caso del cantone svizzero Appenzello che nel 1990 disse no al voto alle donne

Solo 30 anni fa, nel cantone svizzero di Appenzello un referendum negava ancora il diritto di voto alle donne. Sarà per merito di una coraggiosa attivista femminista, che lì le donne poterono votare per la prima volta. Era il 28 aprile 1991.

Il 28 aprile 1991 le donne del cantone svizzero Appenzello Interno votano per la prima volta.

Solo trent’anni fa, a poco meno di dieci anni dal nuovo millennio, in un paese che oggi conta all’incirca 16.000 persone, gli uomini ancora negavano l’esercizio dei diritti politici alle donne: lo fecero attraverso un referendum che, a differenza di quanto stava accadendo nel resto della Svizzera, dove ormai ovunque era ormai possibile farlo, ribadiva il no al voto delle donne.

Era il 1959 quando a livello cantonale viene approvato il suffragio femminile, prima nella Svizzera occidentale, poi nelle altre parti dello Stato. I primi ad approvarlo sono stati i cantoni di Vaud, Neuchâtel e successivamente Ginevra.

Il 7 febbraio 1971 il diritto viene esteso anche a livello federale, con il 65,7% di sì contro il 34,3% di no. Una conquista storica che arriva con estremo ritardo, precisamente 53 anni dopo la Germania, 52 dopo l’Austria, 27 dopo la Francia e 26 dopo l’Italia. Nel 1972, tutti i cantoni avevano ormai ottenuto il suffragio femminile, ad eccezione di uno: Appenzello.

Solo nel 1989 il semicantone Appenzello Esterno approvava il diritto di voto alle donne con una maggioranza risicata. C’era però ancora una forte resistenza in Appenzello Interno, baluardo di conservatorismo estremo contro l’emancipazione e i diritti delle donne, che continuava a negare l’approvazione del suffragio femminile.

Qui, per la terza volta, dopo i no vinti nelle elezioni del 1959 e del 1971, gli elettori, il 28 aprile 1990, confermavano il loro rifiuto anche a livello cantonale. Ancora una volta, quindi, Appenzello si dimostrava il cantone con i più alti tassi di rifiuto, come già era successo nelle due precedenti occasioni, dove si era raggiunta una maggioranza del 95.1% e del 71.1%.

C’era però una donna, un’attivista femminista per i diritti delle donne, residente ad Appenzello, che di lì a poco avrebbe fatto la differenza: Theresa Rohner. La donna, che dirigeva un laboratorio di ceramica ed era madre di due figli, scelse di opporsi alla decisione e organizzò una campagna per il suffragio femminile nel cantone. Raccolse le adesioni di 100 uomini e donne che vivevano nel cantone e con loro fece appello al Tribunale federale. Il suo attivismo le costò caro: subì ripetute minacce tanto da ottenere la protezione della polizia.

Grazie al suo impegno e alla mobilitazione da lei suscitata, le donne di Appenzello riuscirono ad ottenere un risultato storico, aspettato per troppo tempo: il 27 novembre 1990 il Tribunale federale giudica infatti anticostituzionale il suffragio esclusivamente maschile praticato nel semicantone di Appenzello interno e approva all’unanimità il diritto di voto delle donne a livello cantonale.

È il 28 aprile 1991 quando le donne di Appenzello Interno per la prima volta possono unirsi agli uomini nella Landsgemeinde, l’assembla riunita in piazza, e votare per alzata di mano, come succedeva da sempre per gli uomini. In quell’occasione, un terzo dei 4.000 elettori era rappresentato da donne.

La storica dell’arte Agathe Nisple, oggi 65 anni, appartenente alla prima generazione di donne svizzere con diritto di voto e di eleggibilità a livello nazionale, spiegaSwissinfo.ch come all’epoca fosse radicato l’atteggiamento sessista di una cultura ancora profondamente tradizionalista e dalle istanze conservatrici. Queste quello che riferisce in merito al clima vissuto in quegli anni:

Già da giovani, ai tavoli dei clienti abituali i compagni ci prendevano in giro. ‘Non ne avete bisogno, non è necessario’.

Come riporta la donna, sono stati diversi i “motivi” a cui la popolazione maschile ha addotto in passato per cercare di continuare a negare l’approvazione del suffragio femminile: si è ricorso ad esempio alla “scusa” secondo cui la piazza dove ci si radunava fosse troppo piccola per accogliere anche le donne; non solo, Nisple ricorda anche come in un dibattito televisivo un uomo arrivò a sostenere che per gli uomini la Landsgemeinde era paragonabile alla festa della mamma per le donne, non curandosi minimamente del fatto che non tutte le donne sono o desiderano essere madri.

Nisple, oggi, ricorda quel momento con queste poche parole esaustive:

Sono già passati 30 anni ormai – e d’altro canto sono appena 30.

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