Li chiamano “love camps” o “wilderness camp”, e sono dei campi di rieducazione dove gli adolescenti “difficili” vengono mandati dai genitori per essere recuperati; lì apprendono la disciplina, il rispetto delle regole, l’importanza del lavoro. Negli Stati Uniti ce ne sono una quantità impressionante, ma non sempre il loro operato è trasparente, anzi negli anni ci sono state decine di denunce e segnalazioni per casi di abuso, di violenza e addirittura di morte.

Recentemente si è tornato molto a parlare di questi campi, soprattutto per le numerose denunce arrivate via Tik Tok; a dare il via a tutto è stata la tiktoker Eva Evans, che in un video ha dichiarato di essere stata rapita per essere condotta in uno di questi campi.

Sono stata rapita nel gennaio del 2011 a Dobbs Ferry, New York. Avevo appena cenato in un ristorante indiano e mentre ero nel parcheggio del ristorante un SUV nero con i vetri oscurati mi si è avvicinato – le sue parole – Sono finita in un deserto innevato per 99 giorni.

Potrebbe sembrare un’esperienza irreale, il frutto della fantasia di una giovane donna o il desiderio di raccogliere views sui social, ma quello di Evans non è un caso isolato; dopo il suo video tantissimi altri ragazzi si sono fatti avanti, tanto che l’hashtag #BreakingCodeSilence, sulla piattaforma, ha raccolto finora oltre 315 milioni di visualizzazioni. Fra le vittime di questo sistema ci sarebbe anche la rapper diciottenne Bhad Bhabie, che nel marzo 2021 ha caricato un video su YouTube raccontando gli abusi visti e subiti al Turn-About Ranch, una struttura per “troubled teens” nello Utah.

La tiktoker yungkendee ha invece pubblicato le lettere che scriveva alla madre da un love camp, sempre nelle Utah, in cui racconta, fra le altre cose, di essere stata “mangiata viva” dagli insetti nell’accampamento, mentre gli organizzatori, consapevoli di ciò, proibivano severamente l’uso degli anti-parassitari. Un’altra ragazza ha rivelato che le è stato impedito di mangiare frutta per settimane, solo perché una volta è stata sorpresa mentre rubava una mela per fame.

Ma ci sono casi decisamente più inquietanti, come quello di una ragazzina spedita in una di queste strutture dai genitori dopo essere stata vittima, appena sedicenne, di stupro, e aver tentato il suicidio. Dai suoi racconti emerge che è stata obbligata, fra le altre cose, a portare un sacco di sabbia da due chili e mezzo ovunque andasse, e a ricevere un massaggio da bendata, per aiutarla a risolvere il suo trauma sessuale.

Come detto, quella dei campi di rieducazione non è una realtà nuova; già nel 2014 un articolo di Atlantic si era occupato di alcuni casi drammatici che sarebbero avvenuti proprio in alcune di quelle strutture, poste sotto l’occhio dell’Ufficio per la responsabilità del governo degli Stati Uniti fin dal 2007. Alcune stime sostengono che, dal 2000, sarebbero stati più di 115 i decessi avvenuti nei camps, oltre a molteplici indagini per abusi sessuali e arresti per aggressione sessuale.

Un caso giudiziario di grande rilevanza, ad esempio, ha avuto luogo nel 2004 , quando uno studente, Jared Oscarson, si è lamentato di forti dolori allo stomaco. La difesa di Oscarson sostenne, all’epoca, che il personale lo avesse ignorato e costretto a camminare per cinque miglia, fino a quando il ragazzo non perse conoscenza e fu portato in ospedale per appendicite. Il caso venne chiuso, secondo i documenti del tribunale, grazie al raggiungimento di un accordo tra le parti.

Nel 2013 ha destato scalpore anche la morte di Bruce Staeger, che la madre aveva inviato al Tierra Blanca Ranch, in New Mexico, rimasto ucciso in un incidente d’auto proprio mentre si trovava nella struttura; secondo Steve Cowen, avvocato il cui figlio è stato nello stesso ranch che ha stilato un rapporto su alcuni casi dubbi avvenuti al suo interno, lo ha fatto per sfuggire a degli abusi. Era già capitato nel 2006 che un ragazzo fuggisse da Tierra Blanca in catene, chiamando il 911, solo per essere riportato al ranch dalla polizia locale.

L’anno scorso, invece, a morire è stato il sedicenne afroamericano Cornelius Frederick, tenuto fermo da sei membri dello staff fino a fargli perdere conoscenza, solo per aver lanciato un sandwich a un compagno in mensa. A fine 2019, il diciottenne Alexander Sanchez è morto in seguito a un trauma cranico dopo essere stato preso a calci in testa ripetutamente da un membro dello staff.

Il rapporto di Cowen è stato inviato alle autorità del New Mexico, che hanno avviato un’indagine culminata in un tentativo da parte del Children, Youth & Families Department di salvare nove ragazzi presenti nella struttura. Nonostante le significative prove raccolte dal Dipartimento, nessuna azione penale è stata intrapresa nei confronti di Tierra Blanca e del suo proprietario, Scott Chandler, e il ranch resta regolarmente aperto.

Chi sono i “troubled teens”

Per essere giudicati adolescenti problematici si possono avere problemi di dipendenza, di salute mentale, fino a un orientamento sessuale non accettato dai genitori; insomma, si può finire in un campo di rieducazione per i motivi più disparati.

Quella dei love camps è una vera e propria industria che fattura ogni anno oltre 1,2 miliardi di dollari, e queste strutture spesso e volentieri riescono a rimanere impunite proprio perché sono i genitori a delegare temporaneamente la loro autorità ai gestori, dando così il via libera a una serie di comportamenti che prevedono privazioni, punizioni, fino agli abusi di cui abbiamo parlato.

È piuttosto complesso fornire una stima precisa del numero di adolescenti che ogni anno vengono inviati in questi ranch, anche se secondo Breaking Code Silence sono circa 50 mila, perché il sistema resta piuttosto nebuloso, ma si ritiene esistano migliaia di strutture diverse: dagli wilderness camp, di stampo religioso, in cui si pensa di poter risolvere i problemi dei giovanissimi esponendoli a situazioni climatiche estreme, fino a quelli in cui devono orientarsi in ambienti sconosciuti come boschi o deserti.

Ad accomunare tutti i campi c’è il metodo terapeutico, il cosiddetto “Syanon”, sviluppato da una setta degli anni Cinquanta, secondo cui una persona viene ricostruita solo dopo averla distrutta umiliandola, isolandola, privandola del sonno e costringendola al lavoro forzato.

Anche il copione è lo stesso per tutte le vittime: i ragazzi vengono rapiti la notte, ma è un rapimento “legale”, in virtù della cessione di autorità genitoriale di cui abbiamo parlato prima; vengono trasportati, legati o ammanettati, fino ai campi, perquisiti una volta arrivati e sottoposti a trattamenti umilianti: punizioni corporali, psicologiche, manipolazioni della psiche, periodi di isolamento.

Mi hanno svegliato alle 4 del mattino – è la testimonianza lasciata ad Atlantic da uno dei ragazzi – I miei genitori sono entrati e mi hanno detto: ‘Ti vogliamo bene’ e poi mi hanno lasciato solo con questi scagnozzi.

Un’altra ragazza ha detto:

Ho provato a scappare e mi hanno arrestata. Stavo ascoltando la conversazione di mia madre al telefono e ho sentito che queste persone stavano venendo a prendermi. Sono scappata, così mi hanno messo le manette e mi hanno messa in macchina. Piangevo a dirotto. Ho quasi avuto un attacco di panico. Questo posto è un inferno… Non ho fatto così tante cose cattive da farmi mandare in un posto come questo.

Sono purtroppo tanti i casi di ragazzi e ragazze che si suicidano o tentano di uccidersi per scappare dalle strutture. In questo contesto sembra, ovviamente, incredibile l’assenza dello Stato, ma la realtà è che in un certo qual modo ha le mani legate.

Nel 2008 infatti il governo federale aveva pubblicato l’ultimo documento a proposito, “Programmi residenziali: casi selezionati di morte, abuso e marketing ingannevole” del Government Accountability Office, ma ancora oggi non esiste ancora alcun requisito federale che obblighi le strutture a essere quantomeno registrate.

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