Cimitero dei feti di Brescia: "Un nuovo orrore: tombe rimosse a nostra insaputa"

Cimiteri dei Feti: un anno fa il caso delle lapidi su cui erano riportate nomi, cognomi e data dell'aborto delle donne a loro insaputa; nei giorni scorsi al cimitero di Brescia i resti dei feti e bambini mai nati tra il 2007 e 2016 a seguito di aborti spontanei, terapeutici o volontari sono stati esumati senza darne informazione diretta alle donne e famiglie che avevano invece dato il consenso alla sepoltura e che si sono trovate, da un giorno all'altro, senza le tombe dei loro bambini.

Si aggiunge un altro capitolo al caso, purtroppo ancora aperto, dei Cimiteri dei feti in Italia.
Prima l’oltraggio alle tante donne che hanno scoperto l’esistenza di tombe in cui il prodotto organico del loro aborto volontario era stato seppellito, secondo rito cattolico, con tanto di lapidi, croci o loculi recanti il cognome, la data dell’aborto e, in alcuni casi, il nome stesso della donna; il tutto ovviamente a loro insaputa e senza consenso.
Ora l’oltraggio alle madri di bambini mai nati a seguito di aborti spontanei e terapeutici, i cui resti sono stati esumati senza avvertire direttamente le donne e/o i genitori che pure avevano firmato il consenso alla sepoltura dei feti e, contestualmente, lasciato un recapito telefonico.

La denuncia parte da Brescia e, in particolare, dal quotidiano locale che pubblica, in data 18 novembre, la testimonianza di Silvia:

Mi sono sentita persa, non so neanche descrivere cosa ho provato. Ora il mio bambino l’ho perso per sempre.

Sono le parole della donna, riportate dal Giornale di Brescia, a inquadrare il dolore che tante famiglie hanno già provato arrivando al Cimitero Monumentale Vantiniano di Brescia per una visita ai propri figli, salvo trovarsi davanti due appezzamenti di terra spianati. Così ci si sono presentati stamattina nel corso del nostro sopralluogo i riquadri A e B.

Cimitero Vantiniano Brescia – Riquadri A e B | Credits ©Robadadonne

La notizia comincia a girare. Il Comune prima tace poi emette questa nota stampa, burocraticamente corretta; il succo è: avevamo messo cartelli (in formato a4) sul perimetro con un numero da contattare, e abbiamo fatto tutto secondo regolamento cimiteriale.
Nel frattempo altre donne scoprono di non avere più la tomba su cui mettere un peluche o un fiore: chi direttamente, chi perché avvisata da un’amica, chi dal Giornale di Brescia, come Sara che contatta la nostra redazione:

Che si sappia cosa è successo al Cimitero Vantiniano di Brescia.
Vi ringrazio per il tempo dedicato a queste righe e chiedo scusa per lo sfogo. Ma non trovo giusto ciò che hanno fatto ai NOSTRI bimbi!”.

È così che si chiude il lungo messaggio che Sara invia alla nostra redazione tramite social la mattina di ieri, 22 novembre (ne seguiranno altri di altre donne).
La sua è, come scrive lei stessa, la storia di molti, troppi altri genitori: una gravidanza voluta, i timori dileguati tra esami e prime ecografie che vanno bene, poi la morfologica. ‘È un maschio’, dice con gioia la ginecologa, prima che il volto si faccia cupo. Seguono esami, accertamenti e la diagnosi, il feto ha una gravissima malformazione, si decide per l’aborto terapeutico alle 21esima settimana.

“Li chiamano bambini mai nati. Ma io [NOME BAMBINO] l’ho partorito come poi le sue sorelle. Parto indotto con ossitocina, travaglio, contrazioni, spinte.
‘Un’ultima spinta’, quando la ginecologa me lo ha detto nei parti successivi io non riuscivo a togliermi dalla testa il terrore. Quella frase mi era stata già detta per espellere il mio bambino. 
Un bambino mai nato per molte donne e famiglie è un lutto che gli altri, a partire dalle istituzioni stesse, non ti riconoscono e questa vicenda lo dimostra”.

Sara me lo racconta al telefono, in serata. Poco prima mi ha detto:

“Non sono ancora stata al cimitero, mi manca la forza. Ho letto l’articolo sul Giornale di Brescia, ho provato a chiamare al numero indicato su quei maledetti cartelli che avrei dovuto vedere, ma anche in orario di ufficio risponde la segreteria automatica. Dice che gli uffici sono chiusi ed elenca i giorni e le ore in cui è possibile contattare i Servizi Cimiteriali. Ma in quei giorni e a quelle ore è spento”.

Decidiamo che l’indomani – martedì 23 novembre per chi legge – andrò a fare un sopralluogo al Cimitero Monumentale di Brescia.

Contesto e cronologia: il caso dei Cimiteri dei Feti in Italia

  • 28 settembre 2020: Marta Loi pubblica questo post in cui fotografa e denuncia la presenza, al cimitero Flaminio di Roma, di una croce che riporta il suo nome e cognome e una data, quella del suo aborto. Scoppia il caso.
  • La vicenda di Loi conferma il lavoro di mappatura fatto dalla giornalista Jennifer Guerra >>> Qui la mappa dei cimiteri dei feti

In questo post di Guerra un’utile sintesi del caso a un anno di distanza

  • “A un anno di distanza – come scrive Guerra -, i nomi sono stati rimossi, ma nessuno è ancora riuscito a spiegare come siano finiti lì in prima istanza.”

Il cimitero dei feti di Brescia

  • A Brescia, nell’ottobre 2020 è documentata la presenza di un cimitero dei feti che riunisce indistintamente feti e prodotti del concepimento frutto di aborti spontanei, terapeutici o volontari, a prescindere dal consenso della donna e/o dei genitori.

Come chiarito in questo articolo del Giornale di Brescia un’associazione fin dagli Anni ’90 si occupa di seppellire i figli di aborti volontari, spontanei o terapeutici:

«Anche senza autorizzazione facciamo un funerale a queste creature. Per un senso religioso e di pietà» aveva raccontato uno degli addetti del Vantiniano.

Per la cronaca, i feti senza nome sono seppelliti con il nome neutro (ed evocativo) di Celeste e cognome della donna che l’ha partorito (raramente del padre).

  • Sempre il 20 ottobre 2020, a caso già scoppiato quanto meno a Brescia per via della precedente segnalazione di una donna, al Cimitero Vantiniano e online viene pubblicato un lungo esposto che annuncia l’esumazione delle salme di 164 loculi a terra, che riguardano altrettanti feti da aborti terapeutici, volontari o spontanei. Nell’esposto compaiono nome e cognomi, data dell’aborto, in piena violazione della privacy.
    Nello stesso esposto si legge che i lavori riguarderanno tutto il 2021 e che «La data sarà comunicata alcuni giorni prima ai parenti che avranno comunicato ai custodi un loro recapito».
  • Tolti i cartelli, la comunicazione al cimitero viene dimensionata in questa comunicazione che, secondo il Regolamento di Polizia Mortuaria, deve essere esposto per 90 giorni.
Cimitero Vantiniano Brescia – Riquadri A e B | Credits ©Robadadonne
  • Alla data odierna i riquadri A e B sono stati espropriati dai feti seppelliti tra il 2007 e il 2016. Per un totale di circa 2500 feti frutto di aborti spontanei, terapeutici o volontari.
  • Dopo la polemica, attualmente i feti ai quali la donna e/o i genitori non assegnano un nome sono seppelliti con un numero identificativo.
  • Nella nota diramata dal comune e sopra linkata si apprende che «solo nell’ultimo anno la Direzione Cimiteri dispone dei dati per contattare direttamente i genitori». Dati però in possesso dell’ospedale, che però pare non essere stato interpellato.

Cimitero dei feti di Brescia: il nostro sopralluogo

Stamattina, 23 novembre, alle 8.30 sono al Cimitero Vantiniano di Brescia.
Sara mi ha affidato le coordinate del suo bambino: riquadro, fila e numero di loculo. Il suo nome e cognome, la data dell’aborto terapeutico di cui mi ha parlato con estremo dolore, nonostante siano passati anni che servono quasi le dita di due mani a contarle.
Mi scrive su WhatsApp: “Se fosse possibile vorrei avere una foto del campo vuoto e sapere se gli oggetti delle tombine ci sono ancora”. Parla di campo vuoto, ma accusa il colpo quando per prepararla alle immagine le confermo che è tale e che no, non ci sono gli oggettini , se non qualche fiore e qualche ninnolo con cui altre persone che evidentemente condividono il suo stesso dolore stanno pian piano riabitando quello spazio.

Cimitero Vantiniano Brescia – Riquadri A e B | Credits ©Robadadonne

Nella lettera inviata in redazione Sara chiede:

“Ora io, come altri genitori, vorrei sapere come si fa? Com’è possibile agire di nascosto, non avvisare i genitori? Siamo nel 2021 ci sono mille modi per comunicare. Noi, genitori di bimbi mai nati, siamo stati maltrattati, passatemi il termine. Hanno calpestato il nostro dolore, noi sorridiamo è vero la vita va avanti, ma la perdita di un figlio è un dolore che ti porti dentro sempre, non lo puoi cancellare.
Ora non abbiamo nemmeno più un posto dove andare a trovare il nostro [NOME BAMBINO], perché non ci hanno dato il tempo di organizzarci, di essere presenti alla sua esumazione. So che tantissimi altri genitori provano rabbia e dolore proprio come me, ed è per questo che è giusto che si sappia cosa è successo al Vantiniano a Brescia”.

Sara me lo domanda di nuovo. Io le risposte provo a cercarle altrove. Fotografo i cartelli. Effettivamente, lungo il perimetro ce n’è qualcuno ma l’obiezione è ineccepibile:

“Io quando vado al cimitero non guardo i cartellini affissi. Immagino riguardino il calendari delle messe, normative Covid, magari qualche lavoro di ristrutturazione. Non mi aspetto di trovare su un foglio A4 informazioni su mio figlio. Per quello mi aspetto di essere quanto meno contattata”. 

L’impossibilità di chiamare il numero indicato

Provo a chiamare il numero di telefono che c’è scritto e, come a Sara, risulta che gli uffici sono chiusi. La voce automatica dice di richiamare dalle 8.30 alle 12.30, sono le 9.30.
Torno a casa e decidiamo di provare ad aggirare l’ostacolo. Riusciamo a contattare i Servizi Cimiteriali di Brescia.
Quello che accade lo riassumo in una pec, condivisa con Sara e inviata agli stessi. Su sua richiesta, non includo Sara che è già abbastanza provata.
Qui, per la cronaca il passaggio che riguarda quanto è accaduto in mattinata:

La donna in questione si è rivolta alla nostra testata per denunciare la cosa e, insieme, abbiamo provato a contattare la Segreteria generale facendo presente a più riprese il problema [il telefono dato alle donne e alle famiglie come riferimento non funziona] .
Confermiamo l’assoluta gentilezza della persona che, con un giro di telefonate, ha fatto in modo di metterci in contatto con un’altra impiegata, stavolta dei Servizi Cimiteriali; resta il fatto che abbiamo dovuto destreggiarci per riuscire a stabilire un contatto che dovrebbe essere dovuto a queste famiglie.
La nostra referente dei Servizi Cimiteriali, anche in questo caso con estrema cordialità, alle 10.10 di stamattina ha detto di non essere autorizzata a rilasciare informazioni e chiesto alla madre di inviare una mail con la richiesta specifica all’indirizzo cimiteri@comune.brescia.it
D’altra parte, va detto, che l’impiegata è stata solerte nel raccogliere la frustrazione di chi da giorni chiama, come indicato sui cartelli dei blocchi A e B, e trova in tutta risposta una voce automatica e ha assicurato di fare prontamente un controllo.
Siamo felici di apprendere che, dopo la nostra segnalazione, il numero in questione è stato riattivato e reindirizzato a chi di dovere e che alle ore 11 risulta funzionante.
Perché queste donne e famiglie, al netto delle ragioni o meno della legge e del Comune, meritano quanto meno risposta alle loro domande e, se possibile, di recuperare le targhette, gli oggetti e i pupazzetti d’affezione lasciati sulle tombe dei loro cari, in modo ci auguriamo dignitoso e non rovistando in scatoloni.

Sarebbe opportuno che, chiamando al numero indicato, questi genitori trovassero persone autorizzate a rispondere alle richieste degli stessi, con competenza e con l’umanità che difetta, certo non alle persone sentite oggi ma alla vicenda e alla sua gestione sì, senza dover demandare il tutto alla burocrazia di una mail (o almeno non solo).
Confido, confidiamo, che questa mail possa aggiungersi alle tante richieste di una riflessione non solo burocratica, ma umana su questa vicenda.
Non si può tornare indietro. Si potrebbe prendere però consapevolezza del dolore inflitto a queste famiglie e, magari, offrire loro un’assistenza adeguata e, possibilmente, delle scuse.

Ora che il telefono funziona Sara prova a chiamare. Poi mi scrive:

“Ho chiamato e il custode mi ha detto che per privacy non mi può rispondere alle domande al telefono. Oggi vado al Vantiniano con mio marito e vediamo se di persona mi sa dire qualcosa.”

Nel pomeriggio segue questa conversazione:

“I bimbi esumati sono stati conservati nel deposito del cimitero, ma per avere i resti bisogna prendere appuntamento. Ha segnato il nome del mio bimbo, i miei dati con numero di telefono e mi ha detto che mi chiameranno loro non appena avranno trovato il bimbo…. Ammesso che sia effettivamente rimasto qualcosa. Ha voluto sapere di quante settimane era il bimbo, e questo lascia sperare poco se devo essere sincera”.

Sara ha avuto altre figlie, alla più grande ha già raccontato del fratello nel modo con cui si possono spiegare le cose a una bambina. Le auguro di trovare conforto in loro. Lei, giustamente, mi risponde:

“Sì, certo sono d’accordo, ma credimi che se dovessero dirmi che non è rimasto nulla mi cadrebbe il mondo addosso. Prima avevo un posto dove salutarlo e se non rimarrà più nulla che faccio?”.

Una tomba è un posto in cui elaborare un lutto, anche quando la società non te lo vuole riconoscere.

Una donna che ha abortito un figlio che voleva è, a tutti gli effetti, una mamma

Nella vicenda del Cimitero dei Feti di Brescia si mostra, evidente, la retorica dell’aborto.
Alla donna che, legittimamente, si avvale di un diritto e sceglie di interrompere la gravidanza, la logica pro-vita impone i termini della figliolanza e, quindi, della maternità: il feto è il figlio ucciso, da seppellire a sua insaputa usando a proprio piacimento il cognome (in alcuni casi anche il nome) della donna (non madre!) e la data del suo aborto volontario.
Il dolore della madre che abortisce un figlio desiderato, invece, è delegittimato, sminuito.
Per tanti – e a livello sociale – una donna che ha avuto un aborto spontaneo o terapeutico è una non mamma, a meno che non abbia avuto altri figli.

“Ma io sono mamma di [NOME OMESSO]. Quando mi chiedono se ho figli io rispondo tre, non due. Solo che del mio primo bambino non mi resta neppure più una tombicina.
Era giusto rimuovere i nomi e anche le tombe di chi ha scelto di avvalersi dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma solo quelle. 
Così per riparare a un torto ne hanno fatto un altro.”

Il caso è più che mai aperto e, c’è da credere, siano ancora molte le famiglie all’oscuro di quanto accaduto a loro insaputa.

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