Il 5 luglio 1996 “nasceva” la pecora Dolly (un omaggio alla cantante Dolly Parton); dobbiamo scriverlo tra virgolette perché in realtà l’ovino è stato letteralmente creato, o meglio clonato, usando le cellule prelevate dalla ghiandola mammaria di un’altra pecora.

La sua “nascita” faceva parte di un esperimento condotto dal Roslin Institute di Midlothian, in Scozia, e fu senza dubbio il più sensazionale caso di clone animale a livello internazionale, ma non il primo: già dagli anni ’50, infatti, il biologo britannico John Gurdon aveva trovato un modo per clonare le rane artigliate africane, ma va detto che la pecora Dolly fu comunque il primo mammifero con cui i ricercatori riuscirono nell’impresa, prima di allora sempre fallita.

Dolly fu comunque una sorpresa per gli stessi studiosi del Roslin, che non si aspettavano che il DNA di una cellula adulta potesse originare un nuovo embrione; la povera pecora, a onor di cronaca, non ebbe comunque una vita felice, dato che morì a soli sei anni e mezzo, sempre ospitata all’interno del Roslin, dopo aver sviluppato l’artrite e una serie di malattie polmonari.

L’istituto, invece, ha attraversato negli una profonda crisi economica, con fondi tagliati e difficoltà di sopravvivenza, tanto che nel 1998 la società texana ViaGen ha acquisito la proprietà intellettuale per la clonazione della tecnologia, fornendo così sussidi sufficienti all’istituto per andare avanti fino alla ricezione di nuovi finanziamenti.

Se in un primo momento l’idea era di usare la clonazione per migliorare l’allevamento del bestiame, e per apportare le modifiche genetiche desiderabili ai capi, da sei anni a questa parte è emersa una nuova, inquietante industria, quella della clonazione di animali domestici.

Nel 2015, ViaGen ha iniziato a offrire i suoi servizi ai proprietari di animali domestici che desiderassero clonare l’amato gatto o cane, per un costo di circa 35 mila dollari per i gatti e di 50 mila per i cani. Nonostante il prezzo non del tutto abbordabile, però, Melain Rodriguez, responsabile dei servizi clienti di ViaGen, ha affermato che la loro clientela è decisamente nutrita.

La stragrande maggioranza dei clienti, in realtà, sceglie semplicemente di conservare le cellule del proprio animale domestico, per un costo di circa 1600 dollari, nel caso possano permettersi la clonazione in un secondo momento. I costi elevati derivano dal fatto che la clonazione è ancora incredibilmente complessa: per i cani l’intero processo richiede otto mesi e per i gatti un anno.

Da allora l’industria si è espansa in altre parti del mondo. Sooam Biotech in Corea del Sud offre servizi di clonazione di cani, così come Sinogene in Cina. Tuttavia, molti sono scettici riguardo questa possibilità, sostenendo che, per quanto fisicamente l’animale-replica possa essere identico a quello clonato, la personalità e le caratteristiche comportamentali potrebbero essere ben differenti.

“È un po’ un approfittarsi del dolore delle persone”, sostiene George Church, professore di genetica alla Harvard Medical School.

All’epoca di Dolly più d’uno paventò l’ipotesi, giudicata fantascientifica, di poter clonare anche gli esseri umani, ma c’è da dire che, se gli studi in questo senso non sono mai andati veramente avanti, sembra essere stata più una questione di ragioni etiche e morali che non di vera impossibilità: anzi, un embrione umano è stato clonato con successo nel 2013, mentre alcuni scienziati cinesi hanno clonato i primi primati nel gennaio del 2018. Se il processo di creazione di un intero essere umano non si è mai sviluppato, dunque, vien da pensare che dipenda più dalla protesta pubblica che ne sarebbe seguita.

La maggior parte dei finanziamenti in questa direzione viene quindi spesa per clonare animali sull’orlo dell’estinzione, come il panda gigante, il rinoceronte bianco settentrionale, il furetto dalle zampe nere e il cavallo di Przewalski , entrambi clonati lo scorso anno da ViaGen.

Il professor Curch sta però portando avanti il progetto probabilmente più ambizioso, quello per riportare in vita il mammut lanoso, una specie estintasi circa 4000 anni fa. La sua società, Colossal, ha già a disposizione 11 milioni di sterline – circa 13 milioni di euro – in finanziamenti per creare un ibrido tra elefante e mammut, prelevando cellule dalla pelle degli elefanti asiatici e usando la tecnologia di clonazione per combinarli con il DNA dei mammut. Secondo Curch il suo “elefante artico”, così come lo chiama, potrebbe aiutare a rivitalizzare la tundra dell’estremo nord.

La sfida, però, è quella di modificare le cellule della pelle degli elefanti asiatici in modo che possano trasportare i geni dei mammut, senza contare che occorrerebbe trovare una madre surrogata di elefante per dare alla luce l’embrione risultante.

Le perplessità, inoltre, riguardano il fatto di far rivivere un animale estinto da secoli e che è vissuto in condizioni climatiche e ambientali decisamente diverse rispetto a quelle in cui ci troviamo oggi.

Tuttavia, le derivazioni preoccupanti della clonazione non finiscono qui: a gennaio i chirurghi della School of Medicine dell’Università del Maryland hanno trapiantato un cuore di maiale in un uomo con una malattia cardiaca terminale, con 10 modificazioni genetiche umane grazie alle quali il team sperava si riducessero le possibilità che l’organo venisse rigettato. Il paziente ha vissuto solo per due mesi, ma l’esperimento ha comunque catturato l’attenzione della comunità scientifica internazionale, che lo ha percepito come una possibilità per ovviare alla carenza mondiale di organi da trapiantare.

Sulla scia di questa storia in Germania, Paese che ha uno dei tassi di donazione di organi più bassi in Europa, Eckhard Wolf, capo del Center for Innovative Medical Models di Monaco, sta tentando di clonare e allevare una serie di maiali geneticamente identici, con l’idea di avere organi pronti per il cosiddetto xenotrapianto nell’uomo. Secondo la Organ Transplantation Foundation, ci sono attualmente circa 8.500 persone in Germania con una diagnosi di insufficienza d’organo, che non hanno accesso a opzioni di trattamento.

“La situazione è molto urgente – spiega Wolf – Ad esempio, solo circa la metà dei pazienti che sono in lista d’attesa attiva per un cuore può ricevere un trapianto. I maiali hanno una serie di vantaggi come donatori perché le dimensioni e la funzione degli organi sono relativamente adatte per l’uomo, l’ingegneria genetica è ben consolidata nei maiali, e l’uso dei maiali è più eticamente accettato rispetto ai primati non umani”.

Naturalmente le associazioni animaliste tedesche sono già insorte, ma anche l’Associazione tedesca per il benessere degli animali ha descritto il progetto come eticamente discutibile.

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