Codice rosa, come funziona il Pronto Soccorso per le donne vittime di violenza
In Toscana è attivo un vero e proprio percorso di supporto alle vittime di violenza, all'interno dei Pronto Soccorso. È il Codice Rosa.
In Toscana è attivo un vero e proprio percorso di supporto alle vittime di violenza, all'interno dei Pronto Soccorso. È il Codice Rosa.
Sappiamo che, per fortuna, esistono molti strumenti a disposizione di chi vuol denunciare, a partire dalla legge del 2019, il cosiddetto Codice Rosso, che ha inasprito le pene per chi violenta, maltratta o commette atti di violenza, passando poi per i tanti Centri Antiviolenza distribuiti su tutto il territorio nazionale, fino a iniziative, come quella in vigore nella regione Toscana, del Codice Rosa, che può garantire un ulteriore, valido supporto alle vittime.
Il Codice Rosa è un percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato a tutte le vittime di violenza, soprattutto donne, bambini e persone discriminate. In particolare, se rivolto alle donne vittime di violenza di genere si parla di “Percorso per le donne che subiscono violenza” o Percorso Donna, mentre per le vittime di violenza causata da vulnerabilità o discriminazione c’è il Percorso per le vittime di crimini d’odio.
Nato nel 2010 nell’Azienda USL 9 di Grosseto come progetto pilota, per assicurare un coordinamento più efficace tra le diverse istituzioni e competenze così da poter agire correttamente già a partire dall’arrivo della vittima di violenza in Pronto soccorso, il progetto è diventato regionale nel 2011, con la sottoscrizione del protocollo d’intesa tra la Regione Toscana e la Procura Generale della Repubblica di Firenze, mentre nel gennaio del 2014 viene esteso completamente a livello regionale, con la sperimentazione in tutte le ASL toscane.
Infine, nel 2016 viene costituita la Rete regionale Codice Rosa, per gli interventi a favore di persone, adulte e minori, vittime di violenze e abusi, grazie alla delibera della Giunta regionale 1260 del 5 dicembre 2016.
La Rete regionale Codice Rosa è un sistema che attiva connessioni tempestive ed efficaci per fornire risposte immediate alle esigenze di cura delle persone, ma anche per il riconoscimento e la collocazione della necessità espressa nei percorsi sanitari specifici in tempi rapidi.
Il Progetto regionale Codice Rosa prevede percorsi gender sensitive di accoglienza, di cura e tutela delle persone che sono vittime di violenze e abusi. Più nel dettaglio, il percorso, nel quale ovviamente si opera in sinergia con la rete territoriale del Centri antiviolenza, ma anche con le istituzioni, in linea con le direttive nazionali e internazionali, è attivo indipendentemente dalla modalità di accesso al servizio sanitario, ovvero sia che sia in area di emergenza-urgenza, oppure ambulatoriale o di degenza ordinaria, e prevede procedure di allerta e attivazione dei successivi percorsi territoriali ben definite, con l’intento di garantire un continuum assistenziale.
La vittima può arrivare in Pronto Soccorso dichiarando direttamente di essere in “Codice Rosa”, se è informata della sua esistenza, oppure è l’infermiera di triage a intuire che possa trattarsi di un caso di Codice Rosa.
Appurato questo, la vittima, anziché aspettare come un codice di bassa priorità, viene fatta accomodare in una sala del Pronto Soccorso con servizi e strumentazione sanitaria adeguata – generalmente un bagno con doccia, ma anche strumenti ginecologici come kit per lo stupro – che, in assenza di Codici Rosa, viene usata normalmente, proprio per garantire la privacy e non far comprendere di che tipo di stanza si tratti.
All’interno della stanza gli specialisti controllano e visitano la vittima, ascoltandola, e, in caso di conferma di caso di violenza, si offrono al/la paziente tutte le informazioni circa i modi in cui può uscire da quella situazione: l’esistenza dei Centri antiviolenza, la possibilità di denunciare direttamente dal Pronto Soccorso.
Nel frattempo il personale medico-sanitario si assicura di conservare tutte le prove di violenza raccolte, affinché possano essere usate nel caso in cui la vittima decidesse effettivamente di sporgere denuncia, sempre chiedendo il consenso della vittima prima di ogni passaggio.
Una svolta importantissima, per i casi di violenza di genere o di abusi, è stata data dalla legge n. 69/2019, nota come “Codice Rosso“, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 173/2019 ed entrata in vigore il 9 agosto 2019.
Nel testo, composto da 21 articoli, si passa dal revenge porn allo stalking, individuando diverse categorie di reati ed elencando le pene previste per ciascuno. Il provvedimento, infatti, incide sul codice penale, inasprendo le pene per alcuni dei reati citati nella legge, rimodulando alcune aggravanti e introducendo nuove fattispecie di reato.
Ad esempio, con la legge il revenge porn viene introdotto all’art. 612-ter c.p., come “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate”, e viene punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
Per il reato di costrizione o induzione al matrimonio, introdotto nel codice penale, all’art. 558-bis c.p., si punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque costringa, con violenza o minacce, a contrarre un vincolo matrimoniale o un’unione civile.
L’art. 387-bis c.p. ha invece introdotto il reato di violazione di allontanamento dalla casa familiare, per cui si punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.), oppure l’ordine di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384-bis c.p.p.).
Viene punito anche il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso – reato di sfregio -, introdotto all’art. 583-quinquies c.p., che prevede la reclusione da 8 a 14 anni, tramutato in ergastolo laddove al delitto si sommi l’omicidio.
La legge ha inasprito le pene per maltrattamenti e stalking, passate rispettivamente a 3- 7 anni (non più da 2 a 6 anni) e a 1- 6 anni e 6 mesi (anziché da 6 mesi a 5 anni), ma anche quelle per violenza sessuale, punite con la reclusione da 6 a 12 anni, con aggravanti se la violenza è commessa a danno di un minore.
Altre novità importanti introdotte dalla legge sono specificate in questo nostro articolo.
Secondo l’Istat, in un documento diffuso il 28 ottobre 2020 sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il numero per denunciare di essere vittime di violenza, tra il 1° marzo e il 16 aprile del 2020, a riprova che la pandemia e il lockdown abbiano rappresentato un ulteriore fattore di rischio.
I numeri sono addirittura moltiplicati andando avanti coi mesi, dato che il numero di chiamate e chat è, in generale, nel periodo tra marzo e giugno, più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per un totale di 15.280 contro le 6.956 del 2019 (+119%).
In generale, sempre secondo quanto riporta l’Istat, al 31 dicembre 2018 sul territorio italiano erano presenti 302 Centri antiviolenza, ovvero, 0,05 centri per 10.000 abitanti. Tuttavia, molto spesso le donne sono restie a denunciare per molti motivi, primo fra tutti la paura di ricevere ulteriori minacce o di rischiare la vita, ad esempio, ma anche quella di perdere i figli, o la casa, come successo alla donna che ha voluto dare la propria testimonianza nel corso della giornata Non Una di Meno del 26 giugno 2020, che vi riportiamo:
Molti anni fa sono uscita da casa mia in Codice Rosa.
Sono passata di struttura in struttura, da una casa protetta ad un’altra. Sempre in attesa che venisse disposto il suo allontanamento da dove abitavamo, cosa che non è mai avvenuta e intanto il processo è andato in prescrizione.
Tempo fa mi hanno detto che dovevo andare via dalla casa protetta dove vivevo, perché il progetto ‘era finito’, perché secondo loro era passato troppo tempo.
Mi hanno levato la chiave della mia ultima casa, sono partita e quando sono tornata mi hanno messo in affittacamere per sei giorni.
Dopo sei giorni ero di nuovo fuori.
Ho dormito in macchina per 10 giorni finché non ho conosciuto alcune delle donne che sono qui oggi.
In tutti questi anni ho sempre avuto la chiave della mia casa, dove continua a vivere lui, ma solo da pochi mesi ho saputo che non avevo più la residenza lì da quasi un anno. Era riuscito a levarmela, sebbene la casa popolare fosse intestata a me.
Solo e soltanto a me.
Quando ho provato a tornare lì, perché volevo rientrarci non avendo più un posto dove stare, lui mi ha detto che non ho più diritto di stare in casa MIA perché sono passati tanti anni da quando sono andata via. Sì, andata via per il Codice Rosa.Insieme alle donne che ho incontrato ho chiamato l’assistente sociale e sono riuscita a tornare nella casa di emergenza. Per un mese. E poi? E poi è scoppiata l’emergenza Covid19 e i mesi sono diventati due, tre, quattro. Niente si smuove. E intanto io non ho la residenza da nessuna parte.
Quello che mi sono chiesta molte volte è: se io sono senza residenza, le tasse del mio lavoro dove vanno a finire? Perché io sarò anche stata dichiarata irreperibile, ma a lavorare ci sono andata sempre e tasse me ne hanno sempre chieste. Fino a marzo, fino al lockdown, quando a lavorare non ci potevamo andare più.
Non avendo residenza e non lavorando più, nel pieno della pandemia non ho potuto ricevere nessun aiuto. Nessun buono, nessun sussidio. Gli assistenti sociali non si sono più visti. Io ero in difficoltà per la spesa, la casa di emergenza non fa la spesa per me. Nessuno mi ha dato niente. Le mie cose sono sparse da tutte le parti da troppo tempo.Ora basta. Io sono stanca di vivere in struttura.
Voglio tornare a casa mia. Voglio riavere la residenza dove mi spetta. Senza di lui.
Voglio lottare per tornare a casa mia, io ho sofferto per averla. Quando parlo mi viene solo rabbia. Com’è possibile che dicano che ci sono delle leggi che proteggono le donne che subiscono violenza e poi in questa storia quella fuori di casa sono io? Che ingiustizia è questa? Se non lotto so che tutto andrà avanti così ancora per molti altri anni.
Certo, io non ho paura, ma da sola so che non posso ottenere molto. Insieme invece è tutto diverso.
I numeri dell’emergenza in seguito al lockdown per Covid li abbiamo in parte già dati, e come si è visto hanno segnato addirittura un’impennata nei casi, perché il dover passare 24 ore su 24 con il proprio carnefice ha ovviamente messo le vittime in una condizione ancora peggiore.
Nonostante le difficoltà i Centri antiviolenza e il numero 1522 hanno sempre continuato a funzionare, così come i consultori, che potevano essere raggiunti grazie alla deroga alle prescrizioni previste dalla misure restrittive, rientrando nei motivi di “stato di necessità e motivi di salute” previsti.
Anche il Codice Rosa è andato avanti normalmente, grazie a una delibera approvata il 14 aprile dalla giunta regionale toscana, in cui si sono fornite alle reti locali antiviolenza indicazioni per la gestione delle problematiche connesse alla violenza di genere durante l’emergenza sanitaria, con un percorso strutturato attorno a una più stretta collaborazione tra gli Assessorati regionali interessati, Prefettura, Forze dell’ordine, Magistratura, ANCI e a una rappresentanza dei Centri antiviolenza della Toscana.
Rispetto alla situazione pre-Covid, anziché nelle Case rifugio le donne sono state ospitate negli alberghi che la Regione ha messo a disposizione, sia per il personale sanitario che per i pazienti Covid-19 che devono stare in isolamento.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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