Per gli studiosi resta ancora un mistero, tanto da avere la fama di “documento più misterioso del mondo”; parliamo del manoscritto Voynich, un codice illustrato risalente al XV secolo, redatto con un sistema di scrittura che non è stato ancora decifrato: il manoscritto contiene infatti immagini di piante non identificabili con alcuna specie nota e un idioma non appartenente ad alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto.

Attualmente conservato presso la Biblioteca Beinecke di manoscritti e libri rari dell’Università di Yale, dove reca il numero di inventario «Ms 408», il manoscritto Voynich, secondo la datazione al radiocarbonio, è stato scritto tra il 1404 e 1438, e ancora oggi divide le opinioni, fra quanti pensano che si tratti di un manuale di botanica e chi, invece, parla di astrologia, erboristeria e addirittura magia.

A dargli il nome l’antiquario polacco naturalizzato britannico Wilfred Voynich (1865-1930), un collezionista di libri rari, che per primo lo acquistò nel 1912 dai gesuiti del Nobile collegio di Villa Mondragone di Frascati, rendendosi immediatamente conto di quanto il volume fosse speciale: fra il linguaggio indecifrabile e i disegni di piante ignote spiccano anche donne nude e simboli dello Zodiaco, cosa che ha contribuito indubbiamente ad accentuarne il fascino esoterico.

Voynich rinvenne, all’interno del libro, una lettera di Jan Marek Marci (1595-1667), rettore dell’Università di Praga e medico reale di Rodolfo II di Boemia, in cui si leggeva che inviava il libro a Roma, presso l’amico poligrafo Athanasius Kircher, proprio affinché lo decifrasse.

Nella lettera, recante l’intestazione “Praga, 19 agosto 1665” (o 1666), Marci asseriva di aver ereditato il manoscritto da un suo amico – che alcune ricerche successive avrebbero individuato nell’alchimista Georg Baresch – e che il suo precedente proprietario, l’imperatore Rodolfo II, lo aveva acquistato per 600 ducati, credendolo un’opera di Roger Bacon. Fu il commerciante, esperto di libri antichi, Hans P. Kraus, a donarlo a Yale.

Durante la Guerra Fredda il manoscritto è finito sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia di sicurezza nazionale americana, visto che i servizi segreti USA avevano pensato potesse trattarsi di un volume di propaganda comunista; al momento, però, come detto, nessuno è mai riuscito a decrittarlo, anche se tempo fa l’accademico britannico Gerard Chesire sostenne di essere riuscito nell’impresa.

Chesire, ricercatore dell’università di Bristol, sostenne nella ricerca pubblicata su Romance Studies che si trattasse di una sorta di manuale medico, a metà tra l’erboristeria e l’astrologia, con ricette e consigli per la cura della salute femminile, dedicato alla regina d’Aragona Maria di Castiglia e redatto da una suora domenicana del convento affiliato al Castello aragonese di Ischia.

Secondo lo studioso la religiosa avrebbe impiegato un alfabeto composto dalle lettere minuscole dell’alfabeto latino, a cui avrebbe aggiunto simboli a noi sconosciuti che, combinati fra loro, sarebbero stati usati per dare vita a specifici suoni fonetici. Altri ancora sarebbero varianti grafiche impiegate in casi particolari, come ad esempio la a, scritta in modi diversi a seconda che si trovasse chiusa tra altre lettere o a inizio o fine parola.

Ci sarebbero anche diverse frasi in latino, abbreviate spesso con la sola iniziale, per essere lette sostanzialmente solo dai lettori dell’epoca, mentre manca del tutto la punteggiatura, almeno per come la conosciamo oggi. Al posto degli accenti, per intenderci, ci sono alcuni segni posti proprio sopra le lettere.

Chesire affermò di essere risucito a decifrare la grafia basandosi sulla vicinanza tra le parole e le immagini relative, ipotizzandone quindi il significato e deducendo che si sarebbe trattato di un manoscritto scritto in una lingua ormai estinta, il proto-romanzo, una sorta di Esperanto primordiale, nato dalla mescolanza del latino con altre lingue in uso nel bacino del Mediterraneo nel Medioevo.

La gran parte degli studiosi, però, sostiene che il proto-romanzo non sia mai esistito, come dichiarato, ad esempio, dalla medievalista Lisa Fagin Davis alla rivista Ars Technica:

L’argomentazione principale di questo studio, cioè l’esistenza di una ‘lingua proto-romanza’, è completamente infondata e in contrasto con la paleolinguistica, e lo è anche l’associazione che Cheshire fa di particolari segni con particolari lettere dell’alfabeto latino. Le sue ipotetiche traduzioni da ciò che è essenzialmente un amalgama senza senso di più lingue, sono ‘aspirazioni di traduzione’ più che traduzioni vere e proprie.

Il manoscritto, insomma, resta un vero e proprio mistero, la cui soluzione sembra peraltro molto lontana.

 

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