Se si presta attenzione ai nomi che vengono dati agli hamburger dalle varie catene di fast food statunitensi, si noterà che nella maggior parte dei casi questi alludono ai concetti di grandezza o presentano un riferimento al genere maschile, quasi sempre con il ricorso all’appellativo “boy”: Thickburger (spesso), Whopper (enorme), Big Mac, Big Boy, Chubby Boy, Beefy Boy, Super Boy.

La questione è stata oggetto di un’analisi della saggista a attivista statunitense Carol J. Adams, sulla quale ha scritto un libro, dal titolo Burger, che fa parte della serie Object Lessons della Bloomsbury Publishing, dedicata “alle vite nascoste delle cose ordinarie”. Nell’analisi di Adams la storia culturale del cibo viene interpretata alla luce delle differenze di genere e pone l’accento sulla tendenza dell’industria del fast food alla sessualizzazione delle campagne pubblicitarie, con stilemi narrativi e comunicativi fortemente maschilisti. I nomi citati in apertura, del resto, già ne sono un esempio.

Questo un passaggio del libro, in cui si affronta questo aspetto:

Le varie catene di fast food nel presentare i propri prodotti, hanno sempre cavalcato il doppio senso del “grande” hamburger che allude al concetto di erezione. Non sorprende, dunque, che nelle loro pubblicità siano spesso state usate immagini di donne che infilano in bocca un hamburger, un Thick Burger, un Whopper, un Big Boy. La catena di fast food Carl’s Jr., ad esempio, fa un uso ripetuto di questo tropo della bocca di una donna ripiena di hamburger. Una pubblicità di Hardee’s, altra catena di fast food, dimostrava le dimensioni del Monster Thickburger attraverso una donna che si infilava il pugno in bocca. Questo è stato poi soprannominato sul web con i nomi “Fist Girl”, “BJ Girl” e “Deep Throat” Burger. Non si tratta solo di fantasie sessuali ma di gesti di sessismo e umiliazione nei confronti delle donne.

Adams in questa analisi unisce la causa a sostegno dei diritti degli animali a quella femminista. Arriva cioè a sostenere che lo stesso processo di “tritatura” a cui sono sottoposti gli animali, viene riservato in senso metaforico alla figura femminile, in un continuum di violenza e sessismo che passa dalla realtà al linguaggio e le immagini.

In una frase di forte impatto, Adams racchiude il senso della sua operazione culturale fotografata nel suo libro:

Stiamo davvero solo mangiando? Stiamo consumando storia interspecie, storia ambientale, storia nazionale e politica di genere. Un hamburger non è mai soltanto un hamburger.

Insieme a queste considerazioni, l’attivista statunitense fa anche una riflessione sul Burger vegetariano. Se per l’hamburger risulta chiaro che si tratta di una questione di genere, poiché da sempre associato all’idea della mascolinità, un discorso diverso può essere fatto per questo prodotto.

Penso che il Burger vegetariano sia più flessibile. Guardando le pubblicità degli hamburger senza carne della prima metà del XX secolo, o gli articoli del New York Times o di altri giornali che discutono di hamburger di soia e di altri hamburger vegetariani, non riscontro alcuna genderizzazione del pubblico di riferimento.

Adams sostiene che nella maggior parte dei casi la pubblicizzazione dei burger vegetariani non è passata attraverso stereotipi di genere, né si è avvalsa di stilemi e linguaggi sessisti. Cita però un caso in cui questo è avvenuto: una pubblicità sul Vegetarian Times in cui si suggeriva che il vantaggio di un certo hamburger vegetariano fosse che il marito non l’avrebbe mai saputo, perché nell’aspetto praticamente identico a quello con la carne.

Come sostiene Adams, in questo caso specifico, la pubblicità rafforzava, e anche piuttosto esplicitamente, diversi stereotipi di genere, tra cui il fatto che fosse ovvio che dovesse essere la moglie a cucinare e che il marito contemplasse solo la carne.

Ma l’idea che sta dietro alla pubblicità, ossia equipararlo di fatto a un hamburger classico, riporta il discorso sul piano ideologico che abbiamo affrontato in apertura e che fa largo uso di concetti e un linguaggio di matrice sessista e maschilista.

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