Scompare un pilastro del cinema. Con David Lynch, affetto da tempo da enfisema polmonare, se ne va il sogno e l’incubo della settima arte, ma se ne va anche una grande sensibilità sociale, che fortunatamente continuerà a essere diffusa grazie ai suoi film, in primis The Elephant Man, la storia di Joseph Merrick, affetto da sindrome di Proteo e costretto ad affrontare la violenza per la sua diversità per poi incontrare il riscatto e la giusta inclusione che a tutte le persone spetta nel mondo.

L’annuncio della morte è stato dato dalla famiglia di Lynch su Facebook:

È con grande rammarico che noi, la sua famiglia, annunciamo la dipartita dell’uomo e dell’artista, David Lynch. Gradiremmo un po’ di privacy in questo momento. C’è un grande buco nel mondo ora che lui non è più con noi. Ma, come direbbe lui, “Occhio sulla ciambella e non sul buco”. È una bella giornata con bel tempo e cielo limpido in ogni caso. (Quest’ultimo riferimento è legato agli aggiornamenti meteo che, dal lockdown, Lynch diffondeva sui suoi canali social, a partire da YouTube, ndr).

David Lynch ha trasfigurato in arte cinematografica temi sociali importantissimi. Ma quello che ricorre più spesso è la lotta alla violenza di genere: il regista originario di Missoula, venuto a mancare il 16 gennaio 2025 a quasi 79 anni (li avrebbe compiuti il 20 gennaio), ha raccontato molto spesso la violenza contro le donne ma anche la loro forza, con uno sguardo importante non solo verso quelle cisgender: dalle potenti sorelle Bene Gesserit in Dune alla cantante di night Dorothy Vallens che diventa schiava di un criminale pur di riavere suo figlio in Velluto Blu, fino a Nikki Grace di Inland Empire che libera se stessa per liberare tutte le donne oppresse. Alcune curiosità su film e telefilm che hanno trattato l’argomento.

Le donne di David Lynch in Twin Peaks

Impossibile non iniziare a parlare di lotta alla violenza di genere se non da questa serie, I segreti di Twin Peaks che, nel 1990-91 e poi nel sequel del 2017, ha portato nelle nostre case il femminicidio ante litteram, quello di Laura Palmer, uccisa per la sua volontà di essere libera. Nella galleria femminile che Lynch ha mostrato sullo schermo figurano donne discriminate (Margaret Lanterman, ovvero la Signora Ceppo), ricattate sessualmente (Josie Packard), in cerca di un’emancipazione (Audrey Horne), vessate da un marito crudele e maschilista (Shelley Johnson), vittime predestinate di femminicidio (Madeleine Ferguson).

Il discorso si potrebbe ampliare per pagine e pagine, ma è stato reso più evidente nella stagione del 2017, quando il personaggio di Sarah Palmer, perfettamente aderente a un femminismo della seconda ondata, il che è anche anagraficamente coerente nella fiction, reagisce con violenza alla molestia sessuale in un bar. Ma Lynch fa anche di più: nelle prime due stagioni presenta il personaggio di Dennis Bryson, agente Dea crossdresser, che ritroviamo oltre 25 anni più tardi come Denise Bryson, a transizione completata. E quando Lynch, per bocca del suo Gordon Cole la presenta, non può che mandare un messaggio ai transfobici: “Fix your heart or die!” (“Mettetevi il cuore in pace o schiattate!”).

Un amore alla pari dal Cuore selvaggio

Le storie raccontate nei romanzi e nei racconti di Barry Gifford presentano sempre un’America molto sorprendente. Ma quando David Lynch lesse Cuore selvaggio scattò in lui qualcosa di interessante, tanto che lo trasformò poi in un film (Palma d’oro a Cannes), modificandone il finale e sfociando quasi nel sequel già scritto da Gifford e contenuto in Storie selvagge. La passione di Lynch per Cuore selvaggio era nella storia d’amore: i due protagonisti Sailor e Lula vivono un amore alla pari.

Non c’è tra loro nessun indizio di prevaricazione, effettuano le scelte di comune accordo (e quando non lo fanno, Sailor cerca di allontanarsi da Lula per tutelarla), ma soprattutto si amano e vivono intensamente. Forse la loro non è la storia più romantica del mondo, dato che nella pellicola le scene grottesche e di omicidio abbondano, ma la loro relazione è sicuramente un faro.

La fuga psicogena di O.J. in Strade perdute

Lynch volle tornare a collaborare con Gifford per Strade perdute, anche in questo caso la storia di un femminicidio. Strade perdute nasce, come molte opere di Lynch (è stato anche musicista e pittore), da un sogno, e dalla consapevolezza che essere e apparire sono due concetti ben diversi.

Ci sono due uomini e due donne al centro di questa narrazione: i due uomini sono diversi, mentre le donne sono identiche tranne per il carattere e il colore dei capelli, quasi fossero due sorelle gemelle. Uno dei due uomini uccide una delle due donne nel più classico movente di femminicidio, il possesso narcisistico, per poi tramutarsi nell’altro e incontrare l’altra donna che, al culmine del piacere gli dice: “Tu non mi avrai mai”.

La trasformazione dei due uomini è una fuga psicogena: l’assassino cambia identità nel profondo per sfuggire all’orrore compiuto. L’opera è ispirata al femminicidio di cui fu accusato l’atleta e attore O.J. Simpson, per poi essere assolto: Lynch infatti, durante la realizzazione del film, era letteralmente ossessionato da come Simpson riuscisse a proseguire la propria vita come nulla fosse dopo l’assassinio della moglie Nicole Brown.

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