Domicilio digitale: cos'è, a cosa serve e come attivarlo
Alcuni consigli per coloro che si vogliono approcciare (e che vogliono attivare) un domicilio digitale: non solo enti e professionist* lo usano, ma anche gli altri cittadini e cittadine.
Alcuni consigli per coloro che si vogliono approcciare (e che vogliono attivare) un domicilio digitale: non solo enti e professionist* lo usano, ma anche gli altri cittadini e cittadine.
Il discorso è complesso. L’Italia è un Paese in cui la rivoluzione digitale è giunta più tardi rispetto ad altre nazioni occidentali, incontrando talvolta delle resistenze da un punto di vista tecnico e umano: da un lato stiamo imparando a fare molte cose nel mondo virtuale – cose che prima ignoravamo – dall’altro abbiamo una predisposizione al rapporto interpersonale – tanto che probabilmente qualcuno o qualcuna sente la mancanza delle lettere di carta.
La pandemia di Covid-19 ha però accelerato le cose in tal senso. Nell’impossibilità di incontrarsi e sbrigare la burocrazia durante il lockdown del 2020, c’è stata una sterzata sul domicilio digitale, e la normativa ha fatto il resto (per esempio l’obbligatorietà per i liberi professionisti di munirsi di Pec). E va anche bene così, se il domicilio digitale, la Pec, lo Spid e tutto ciò che ci sembra nuovo in questo ambito ci semplificano la vita e ovviamente ci fanno risparmiare tempo che potremmo impiegare in attività più piacevoli.
La definizione viene data dall’Agid (Agenzia Italiana per il Digitale):
Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata.
Però bisogna andare più a fondo. La posta elettronica certificata (che chiamiamo comunemente Pec) è praticamente l’indirizzo del nostro domicilio digitale, che altro non è che un luogo virtuale in cui possiamo farci trovare all’interno di quella parte (parziale o completa) del nostro mestiere che si svolge via Internet.
Ma c’è anche un’altra modalità per farsi trovare, ovvero il recapito certificato qualificato (Sercq), che rappresenta un’alternativa alla Pec e forse un giorno sarà il suo sostituto. Il tutto è regolato dallo Stato attraverso il Codice dell’amministrazione digitale (Cad), che norma appunto il domicilio digitale.
Fondamentalmente serve ad avere un recapito sicuro, sebbene virtuale, per essere raggiunti nelle comunicazioni che sono fondamentali (per esempio una cartella esattoriale). Quando si parla di pubblica amministrazione, per esempio, le comunicazioni sono tracciabili e quindi non c’è possibilità che qualcosa arrivi in ritardo oppure si perda nella posta cartacea.
Se invece parliamo di liberi professionisti (la Pec ce l’hanno, obbligatoriamente, per esempio, avvocati, medici, architetti, giornalisti e così via, tutti coloro che hanno un albo professionale insomma), si aggiungono non solo le comunicazioni con i clienti o con i datori di lavoro, ma anche con l’ordine di appartenenza, oltre che appunto con la pubblica amministrazione.
La prima cosa da fare è registrarsi all’Inad (Indice Nazionale dei Domicili Digitali), che si sia un ente, un libero professionista oppure un comune cittadino o cittadina: basta identificarsi con la propria identità digitale, ovvero lo Spid o il Cie.
In secondo luogo si sceglie la Pec, affinché si abbia un indirizzo per il proprio domicilio digitale. Questi passaggi si possono tuttavia fare anche all’anagrafe del comune di residenza: ma, in generale, se facciamo tutte queste cose per semplificarci la vita, metterci in coda di fronte un ufficio non sembra essere un’idea in linea con la filosofia che sta alla base di questi cambiamenti virtuali.
Naturalmente è doveroso aggiornare il proprio profilo Inad qualora si verifichino cambiamenti nel domicilio digitale.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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