Le parole di Draghi sugli psicologi e il valore dato alla malattia mentale in Italia

Draghi punta il dito contro gli psicologi che si sono fatti vaccinare. Usa parole precise: "Queste platee di operatori sanitari che si allargano, gli psicologi di 35 anni. Con che coscienza un giovane si fa vaccinare e salta la lista sapendo che lascia esposto una persona che ha più di 65 anni o una persona fragile?”. Peccato che è il piano vaccinale che obbliga al vaccino tutti gli operatori e le operatrici sanitarie (e sì, psicologi e psicologhe rientrano nella categoria). A ben vedere, però, questa frase illumina una questione: quella della considerazione di cui ancora oggi gode la malattia mentale.

Mi chiamo Federica, vado per i 34 anni, sono una psicologa psicoterapeuta e qualche giorno fa sono stata convocata per la seconda dose vaccinale.

Quella che potrebbe sembrare una affermazione normalissima, magari condita da un pizzico di orgoglio e senso civico a tutela della mia comunità, oggi mi vede invece sul banco degli imputati, quasi a dovermi giustificare per aver avuto accesso al vaccino.

Chiariamo un punto fondamentale: il problema non è semplicemente legato alla categoria professionale, o almeno è soltanto una parte del problema. Se ci soffermassimo soltanto su quello correremmo il rischio di innescare una lotta abbastanza sterile sulla corsa ai vaccini. Ci sono tante categorie professionali che avrebbero diritto all’inserimento nelle graduatorie vaccinali, alcune più di altre, andando via via per sottocategorie. Tuttavia se la risolvessimo su questo piano perderemmo una buona occasione per aprirci a questioni che mi sembrano francamente più interessanti.

Il problema, a mio avviso, riguarda due aspetti principali, il primo di natura squisitamente tecnica, che non ci può sottrarre da un’analisi del contesto circostante; la seconda un po’ più profonda, di quella profondità che stuzzica, solletica la riflessione ma che non lascia mai lo spazio all’affondo per quieto vivere. Ecco, oggi forse, a prestito e monito di queste affermazioni, è arrivato il momento di esplicitarla, la questione, rendendola visibile.

Nell’ultimo decreto-legge del 1 aprile 2021, è lo stesso premier Draghi ad assicurare l’assolvimento dell’obbligo vaccinale per tutti gli operatori e le operatrici sanitarie, previa sospensione o demansionamento. L’obbligo vaccinale, si specifica, vale per chi esercita all’interno di strutture pubbliche ma anche private, farmacie, parafarmacie e studi professionali. A soli 8 giorni di distanza, improvvisamente, la “platea di operatori sanitari che si allargano in questo modo” trovano esclusivamente nella nostra categoria professionale un inceppo del meccanismo.

Nessuno di noi ha dovuto fare carte false per rientrare nel piano vaccinale, nessuno di noi ha fatto lo sgambetto davanti alle porte di ingresso dei centri vaccinali né ha dovuto scomodare “santi in paradiso”, perché noi non solo ne avevamo diritto, ma eravamo addirittura in obbligo, secondo la legge.
È da ieri che il premier Draghi ha scoperto che il nostro ordine professionale rientra nella categoria delle professioni sanitarie? Se è così allora piacere, mi chiamo Federica, vado per i 34 anni, sono una psicologa psicoterapeuta e sono un’operatrice sanitaria.

Ma, se possibile, questo è l’aspetto meno grave della vicenda, si potrebbe chiudere con un “non intendevo offendere nessuno” e finita là. Ci allarghiamo oltremodo, ma in fondo siamo una categoria professionale abbastanza sportiva e con uno spirito di comunità tutto sommato adeguato.
Il problema oggettivo riguarda un chiaro rallentamento del piano vaccinale nel nostro Paese, che secondo il report settimanale del Commissariato all’emergenza, vede alla data del 2 aprile 2021, una percentuale (per prima e seconda dose) che si aggira intorno al 30% per gli over 80, e 1,87% per persone tra i 70 e i 79 anni. Sarebbe bene, dunque, comprendere le reali ragioni di questa decelerazione, piuttosto che individuare bersagli mobili contro cui sparare all’occorrenza. È una guerra tra poveri, come si suol dire, e io non me la sento di giocarmela sul campo della prevaricazione o della violazione dei diritti a scapito della popolazione più fragile.

Veniamo infine all’ultima questione, la più inutile, a ben vedere, ma proprio per questo, forse, la più importante. Cosa significa lavorare nel campo della salute mentale e quanto vale, nell’economia di un Paese, il benessere psicologico dei propri cittadini e cittadine? Non è bastata una pandemia mondiale, evidentemente, per far comprendere quanto la salute mentale sia un bene da preservare e tutelare, e quanto la fragilità psichica sia una questione ancora centrale nella nostra società.

Non ce lo hanno insegnato migliaia di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, in evidente affanno a causa della rottura netta di reti di formazione e socialità adeguata; non ce lo insegnano le categorie fragili, che continuano a vivere nell’isolamento e nella complessa gestione da parte delle famiglie oberate da un carico di cura ingestibile.
Alla psicologia preferiamo lo psicologismo spiccio, quello delle ricorrenze delle giornate mondiali, quello delle frasi ad effetto sul benessere che non è solo organico, ma che parte dalla testa e che riempie cuore ed anima. Gli psicologi sono un po’ i lavoratori dello spettacolo delle categorie sanitarie (sì, ve lo confermo ancora una volta, rientriamo nelle categorie sanitarie), ve li ricordate, quelli di cui parlava l’ex premier Conte?

I nostri artisti che ci fanno divertire”.

Ecco, noi siamo quelli, di contraltare, “che tanto una chiacchierata non fa mai male”.
E invece le parole fanno male, e ieri me ne sono accorta.

Mi tocca ricordare, a onor di cronaca, che il vaccino non è un premio, ma un dispositivo per la salute, che ha lo scopo di tutelare se stessi e le persone che ci sono intorno. Le professioni sanitarie, tra cui la nostra (sì, davvero, ve lo giuro, anche gli psicologi ci rientrano, ho controllato), non si sono vaccinate tanto per tutelare se stesse, ma soprattutto per non diventare veicolo di contagio per il prossimo. E no, è solo una minima parte quella che può permettersi e che sceglie di lavorare esclusivamente nel proprio studio privato.

Il benessere psicologico investe le scuole, le RSA, i centri diurni polifunzionali, le comunità terapeutiche riabilitative, i luoghi della salute pubblica e anche quella privata. Le professioni sanitarie entrano quotidianamente a contatto con migliaia di persone e utenti fragili, ed è per loro che ci vacciniamo, prima che per noi. Se questo punto di vista, se questo osservatorio non è degno di considerazione nella comunità scientifica, allora per osmosi è la malattia mentale a non avere peso e rilevanza nel piano culturale, sociale ed economico.

È un lavoro ai margini e alle periferie della dignità umana, muove su miglioramenti microscopici, inquadrabili in minuscoli percentili, e tutto questo può valere niente, come la storia ci insegna, ma forse se avessero investito di più su quelle periferie e su quella fragilità, ad oggi avremmo una visione più ampia e complessiva anche della nostra società, che lascia indietro, dimentica, e non ha tempo di aspettare.
Aggiungo, per non ricadere io stessa in quello che qualcuno potrebbe inquadrare come mero sentimentalismo, che già nel 2017 l’OMS stimava in un trilione di dollari l’anno (circa un miliardo di miliardi) il costo per l’economia globale dovuto alla perdita di produttività lavorativa in seguito all’insorgenza di patologie psichiatriche, con circa 300 milioni di persone che soffrono di depressione, cosa che impedisce un inserimento efficace e produttivo nella nostra società.

Spero vivamente che queste controverse affermazioni possano essere un utile trampolino per rilanciare un dibattito aperto e onesto sulla disabilità mentale e sulla fragilità psichica in Italia, sui costi in termini sociali ed emotivi che tutta questa indifferenza genera sulle singole persone e sulle realtà che quotidianamente provano a colmare questo gap umano e riabilitativo.
Che valore diamo alla sofferenza e a questa umanità? È questa la domanda a cui dovremmo rispondere, oggi più che mai. In coscienza, si intende.

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