Lo abbiamo sperimentato tutti durante la fase più acuta della pandemia: quel senso di profonda solitudine causata dall’isolamento sociale che ha portato molte persone alla depressione e alla perdita delle amicizie e della propria identità.

Sentirsi soli (che non ha niente a che fare con il vivere da soli) fa male alla salute e possiamo sperimentare questa sensazione anche se siamo circondati da un gran numero di persone. Il cervello umano registra la solitudine come una minaccia e rilascia gli “ormoni dello stress”. La frequenza cardiaca aumenta, così come la pressione sanguigna e il livello di zucchero nel sangue, per fornire energia in caso di necessità. Il corpo produce inoltre più cellule anti infiammatorie per riparare i danni ai tessuti e prevenire le infezioni. Si può dire, quindi, che l’organismo riconosca la solitudine come una vera e propria malattia da debellare.

La pandemia ci ha ricordato quanto siano importanti anche le semplici connessioni casuali per il benessere emotivo, ha affermato Anne Marie Albano, direttrice della Columbia University Clinic for Anxiety and Related Disorders. “Anche le piccole cose, come fare spazio a qualcuno per sedersi accanto a te in metropolitana, possono avere un grande valore”, ha detto la dottoressa Albano.

Sembra un paradosso, eppure oggi, nell’epoca dei social network e dell’iperconnessione, la solitudine è sempre più diffusa, soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti. Per loro, la solitudine è quasi raddoppiata tra il 2012 e il 2018, in coincidenza con l’esplosione dei social media.

E il ritorno in classe non li ha “guariti” del tutto, ha dichiarato la dottoressa Stephanie Cacioppo, assistente professore di psichiatria e neuroscienze comportamentali all’Università di Chicago. Secondo Cacioppo, la solitudine può lasciare cicatrici permanenti. “L’isolamento sociale è stato ridotto”, ha dichiarato Cacioppo, “ma è rimasta come una dolorosa cicatrice, un senso di delusione causato dal divario tra la vita sociale che le persone vogliono e ciò che in realtà hanno”.

Uno studio del 2019 ha rivelato che anche se i giovani adulti avevano una rete sociale più ampia rispetto agli adulti di mezza età, hanno riferito di sentirsi soli e isolati per il doppio dei giorni. Un ulteriore studio del 2020 che ha interessato gli adolescenti olandesi ha anche mostrato che la solitudine è spesso legata all’autostima e può essere influenzata dalla propria percezione di quanto si è importanti per le persone che si ha vicino.

Sentirsi soli fa male alla salute: ecco come curare la solitudine

Su come curare la solitudine, la dottoressa Cacioppo ha un’idea ben chiara: “per anni le persone hanno pensato che la cosa migliore che si potesse fare per una persona sola fosse darle sostegno”, ha detto. “In realtà, abbiamo scoperto che si tratta di ricevere e anche di restituire. Quindi la cosa migliore che si può fare per qualcuno che è solo è non dargli aiuto ma chiedergli aiuto. In questo modo si dà loro valore e la possibilità di essere altruisti”. E ha aggiunto: “anche se riceviamo le migliori cure, ci sentiamo ancora soli se non possiamo restituire qualcosa. Le cure sono estremamente preziose, ma non bastano”.

Altrettanto importante è tenere il fisico allenato, pensare ai momenti di svago oltre che al lavoro, praticare la meditazione e migliorare la qualità del sonno (per esempio ascoltando musica rilassante prima di andare a dormire).

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