Eutanasia, parla il medico Mario Riccio: "Ho aiutato Piergiorgio Welbi a morire"

Undici anni fa il medico Mario Riccio aiutò Piergiorgio Welby a morire staccando la spina dei macchinari che lo tenevano in vita. Prosciolto da ogni accusa, oggi, finalmente, può festeggiare la legge sul biotestamento.

Era il 20 dicembre del 2006 quando a Piergiorgio Welby veniva staccata la spina dei macchinari che lo tenevano in vita. Il giornalista e attivista dei Radicali, che a lungo si era battuto, per quanto le sue condizioni glielo consentissero, contro l’accanimento terapeutico, soffriva di distrofia muscolare in forma progressiva, la distrofia muscolare di Becker secondo alcuni, la distrofia di Duchenne per altri, una malattia degenerativa che gli era stata diagnosticata quando aveva appena 16 anni.

Da sempre al fianco dell’associazione Luca Coscioni, da sempre assolutamente intenzionato a far capire che le sue volontà erano che gli fossero staccate tutte le macchine che lo tenevano in vita, soprattutto dopo il peggioramento che rese necessaria anche una tracheotomia, Welby ricevette molti no, poiché il suo desiderio contrastava con le leggi allora in vigore.

Erano ancora lontani i tempi per il biotestamento, per la legge sul fine vita, risultato a cui effettivamente si è giunti solo sul finire del 2017, per via delle pressioni sempre maggiori dell’opinione pubblica, rispetto a un argomento per cui si è sempre chiesta una legittimazione, per cui si è sottolineata la necessità della tutela di un diritto, quello di decidere, appunto, della propria morte.

Piergiorgio Welby non ha quindi potuto esultare per l’approvazione della legge da parte del Parlamento italiano, così come non ha potuto farlo dj Fabo, che pure ha avuto un peso specifico non indifferente per dare uno slancio, in sede politica, a una proposta di legge rimasta troppo a lungo impantanata per le lungaggini burocratiche e le implicazioni morali del caso.

A festeggiare, però, è stato Mario Riccio, il medico cremonese che, undici anni fa, prese su di sé la responsabilità di staccare la spina che teneva in vita Welby. Imputato per omicidio, Riccio fu prosciolto per ordine del Gup, che chiarì che il dottore aveva solo rispettato, nel caso di Piergiorgio, un diritto garantito costituzionalmente, quello che prevede che nessuna cura possa essere imposta. Anche l’ordine dei medici di Cremona, il 1° febbraio 2007, chiuse la procedura aperta nei suoi confronti, dichiarando che Riccio aveva agito nel pieno rispetto del codice deontologico ed etico.

Oggi, dunque, il medico può finalmente esultare per un traguardo, importantissimo, raggiunto dopo anni di lotte e fatica, quello che consentirà alle persone di scegliere cosa fare della propria vita in casi estremi come quelli di Welby o Fabo, senza più la necessità di doversi far accompagnare all’estero, come successo al dj, per poter ricevere il suicidio assistito,  o il pericolo di incorrere in un processo penale per chi aiuta queste persone a morire.

Dalle pagine online di bergamonews, Mario Riccio parla delle sue sensazioni, di come ha vissuto l’approvazione di questa legge, per cui Piergiorgio Welby si è battuto praticamente fino alla morte.

Con un misto di gioia e rabbia – ha detto il medico al giornale online bergamasco – Gioia, perché si tratta di una grande conquista, di un passaggio essenziale per una società che voglia considerarsi civile; e rabbia, perché se mi guardo indietro vedo anni di battaglie, morti e feriti per una guerra che non si dovrebbe nemmeno fare. In Italia siamo così: per ottenere dei diritti sacrosanti, penso anche all’aborto e al divorzio, dobbiamo batterci per anni e anni, con uno spreco di risorse non indifferente. È incredibile“.

Il dottor Mario Riccio (Fonte: bergamonews)

Le lacrime della vedova di Welby, Mina, mentre il Senato approvava la legge, racchiudono tutto il dolore, l’angoscia, ma anche la felicità per aver finalmente dato un punto di svolta, che possa garantire un’importante tutela civile di autodeterminazione per tutti. Riccio non si vergogna a rivelare di aver partecipato al pianto di Mina Welby, denso di quelle emozioni che, in fondo, sono state le stesse sue.

Pure io ho pianto, da solo, in privato. Ho pianto ripensando a quello che ha passato Piergiorgio prima di trovare la pace, e ho pianto ripensando a quello che poi ho passato io. Ma le battaglie per certi ideali e per certi valori vanno fatte a prescindere, anche quando rischi la tua vita o la tua libertà.

Riccio ha sempre lavorato al fianco di chi cercava di sollecitare i vari governi all’approvazione della legge, con Pia Locatelli, la deputata che a lungo ha combattuto per portare la questione sul tavolo istituzionale, e negli ultimi mesi anche con Donata Lenzi, la relatrice del disegno di legge approvato il 14 dicembre 2017 con 180 voti favorevoli.

Ma non può non evidenziare come il merito vada soprattutto ai diretti interessati, al padre di Eluana Englaro, a Walter Piludu, malato di Sla morto nel novembre del 2016, e infine a Fabo. Loro, perdendo tanto della propria vita, hanno cercato di lottare per far vincere qualcun altro. E, in fondo, questo era anche il senso della battaglia di Welby, come Mario Riccio ricorda quando gli viene chiesto cosa gli abbia lasciato Piergiorgio.

Una sorta di testamento morale: voleva che la sua morte servisse anche a cambiare le cose in questo Paese. È come se avesse detto a me e ai suoi cari: io muoio, ma voi continuate la battaglia anche per me.

Alla fine, tutti loro hanno avuto ragione.

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