Oggi sono molte le voci che si levano a favore dell’inclusione e le diversità. Gli ultimi anni sono stati decisivi in questo senso e, complici anche movimenti dal respiro internazionale di equità e giustizia, hanno consentito una più profonda sensibilità culturale nei confronti delle minoranze e delle categorie sottorappresentate.
Ma non sono solo movimenti dal basso o iniziative singole: stiamo assistendo sempre più a una generale presa di coscienza e a un desiderio di cambiamento culturale che investe anche colossi e aziende dal forte potere comunicativo, in grado di influire con piccoli gesti sull’opinione pubblica e scardinare pregiudizi e cliché purtroppo spesso duri a morire.
Ha cominciato ad accorgersi di questo il cinema, la televisione, il mondo della comunicazione e anche quello delle pubblicità. Sono tante le aziende e i marchi celebri che hanno scelto di sposare un linguaggio inclusivo nel raccontare il proprio brand, che hanno modificato o aggiustato la propria identità in nome di quella diversità che la realtà registra e il mondo del marketing dovrebbe essere pronto a ricreare, per darne una fedele interpretazione, anche se all’interno di un sistema omologato e di codici linguistici ormai rodati e consumati, dove potrebbe risultare controproducente.
Ma anche all’interno di questo sistema che sembra avere barriere e logiche ben definite, sono stati in molti ad adottare modalità di comunicazione e messaggi dirompenti e di rottura per contribuire a gettare il seme di quella rivoluzione culturale di cui si avverte da tempo l’eco. E lo hanno fatto anche di fronte a ritrosie di un pubblico non sempre pronto ad accogliere la novità e riconoscere il cambiamento, spesso più pronto a guardarsi indietro che a volgere lo sguardo al futuro o alla semplice realtà là fuori.
Dalla disabilità alle tematiche LGBTQ – voci finora praticamente inesistenti nel mondo del marketing e della pubblicità – dalla rappresentazione di nuovi tipi di famiglia alle minoranze etniche e religiose, fino alla rottura di tabù e al ribaltamento di cliché che per troppo tempo sono stati la norma in una società patriarcale e maschilista che ancora oggi vede troppo spesso un racconto parziale e viziato della realtà che viviamo.
Ed ecco che allora ci è stato possibile vedere situazioni che fino a poco tempo fa sarebbero state pressoché impossibili o del tutto impensabili. Tra queste non si può non annoverare ad esempio la rottura ad opera di Nuvenia di un tabù secolare come quello delle mestruazioni, o meglio, del sangue femminile, sempre nascosto, mai nominato e addirittura trasformato in liquidi di differenti colorazioni, considerate più decorose e accettabili rispetto al troppo esplicito colore naturale, lo “spaventoso” rosso.
Sebbene in Italia la strada sia senza dubbio più complessa e intricata in questo senso, anche i dati confermano che messaggi più inclusivi alla lunga possono influenzare l’opinione pubblica ed essere maggiormente apprezzati dal pubblico, con un effetto positivo sulla reputazione dei brand che si fanno portavoce di questa diversità. Secondo un recente sondaggio della Global Survey Women & Diversity di Nielsen, nel nostro Paese sono il 38% gli Italiani che ritengono importante che il linguaggio pubblicitario sia più inclusivo, ma sono soprattutto i teenager della cosiddetta Generazione Z – nati cioè dalla fine degli anni ‘90 – a mostrare un apprezzamento in tal senso, raggiungendo una percentuale molto alta, pari al 43%. Insomma, la direzione è chiara.
In particolare, negli ultimi anni ci si sta muovendo sempre di più verso la rappresentazione di una pluralità di voci che si faccia interprete del mondo LGBT+ e delle sue tante anime. Spot, serie TV e produzioni cinematografiche sempre più frequentemente hanno dimostrato una più attenta sensibilità al tema e hanno scelto di realizzare prodotti che rappresentassero figure e categorie che ancora non avevano una voce.
A questo proposito, si è espresso positivamente il presidente di PrideAM, Mark Runacus, secondo il quale una cultura della pubblicità più aperta e inclusiva è in grado di contribuire a realizzare un più efficace e repentino cambiamento della sensibilità culturale e dell’opinione pubblica:
Non neghiamo che la creazione di pubblicità a tema LGBTQ possa rappresentare un campo minato, soprattutto se le persone dietro al lavoro realizzato sono etero, ma il fatto che le persone LGBTQ+ siano più visibili nei media è un passo fondamentale per favorire per la progressione del movimento dei diritti queer.
Sfogliate la gallery per vedere alcune delle più emozionanti pubblicità inclusive che rappresentano un inno al mondo delle diversità, qualsiasi esse siano.
Nuvenia Blood Normal
L’azienda svedese Essity, che annovera, tra gli altri, i brand TENA, Nuvenia e Tempo, nel novembre 2019 ha lanciato la campagna dal titolo “Blood normal”, attraverso uno spot rivoluzionario che per la prima volta mostrava il sangue mestruale del suo colore naturale, il rosso. Per la prima volta.
Un gesto apparentemente semplice che in realtà ha rappresentato un vero punto di rottura nella cultura pubblicitaria e nell’immaginario comune, gettando le basi per un futuro cambiamento nella percezione che la società ha del ciclo mestruale, fino ad ora considerato ancora un tabù.
Viva la vulva
Alla campagna appena descritta, ne è seguita un’altra, dal nome “Viva la vulva”, che continua la rivoluzione iniziata con Blood normal, mettendo in scena e dando finalmente voce a una parte femminile praticamente impronunciabile e mai pronunciata, specie nel linguaggio pubblicitario: la vulva, appunto.
Lo spot in questo caso consiste in un video di circa 3 minuti, in cui vediamo una serie di vulve, rappresentate da moltissimi oggetti della nostra vita quotidiana, che “cantano” una versione inedita di “Take Yo’ Praise” della musicista, attrice e attivista Camille Yarbrough.
La pubblicità targata Cadbury
Cadbury, marchio britannico di prodotti alimentari e bevande, ha realizzato una pubblicità inclusiva che dà voce al mondo LGBTQ, per festeggiare i 50 anni del suo ovetto di cioccolato ripieno di fondente Golden Goobilee.
Lo spot, in cui si celebrano tutti i diversi modi di mangiare il gustoso snack al cioccolato fondente, con allusione alla metafora della diversità, si chiude con il bacio tra due uomini che condividono un ovetto Golden Goobilee.
L’operazione pubblicitaria ha ricevuto parecchie critiche, a cui il brand ha risposto via Twitter con un messaggio forte e chiaro che testimonia un sentito impegno in direzione di una cultura inclusiva che rappresenti e tuteli il mondo delle diversità nel suo complesso:
Siamo orgogliosi di rappresentare una Gran Bretagna diversa e inclusiva nella nostra pubblicità.
Doritos Mexico
Anche il brand di snack a base di farina di mais Doritos Mexico ha compiuto di recente un passo concreto nella lotta alla cultura omofoba. E lo ha fatto attraverso una commovente pubblicità in cui un padre messicano dimostra al figlio con tenerezza il suo affetto incondizionato, appoggiando la relazione omosessuale di quest’ultimo.
Lo spot si chiude con l’emozionante abbraccio tra i due uomini.
Birra Carling
Nel 2019 Carling, marchio britannico di birra, con la campagna pubblicitaria #MadeLocal ha voluto cercare di allontanare la sua immagine da un tipo di mascolinità tossica per abbracciare un linguaggio e una cultura più inclusivi. Lo spot, infatti, ha per protagonista una squadra di calcio LGBTQ guidata da una donna transgender.
Ikea
Il marchio svedese di arredamento Ikea, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che si tiene il 17 maggio, ha realizzato uno spot suggestivo con il quale, attraverso un hashtag ricalato su un gioco di parole, celebra l’accettazione nei confronti di ogni tipo di identità e orientamento sessuale.
#Fateloacasavostra è infatti il messaggio che il brand rivolge al pubblico e che acquista così una valenza positiva, diventando un invito a esprimere se stessi, “perché ovunque voi siate, siete a casa”.
Il brand non è nuovo a questo tipo di operazioni: da sempre infatti sposa un linguaggio inclusivo e aperto.
Maltesers
La campagna “Look on the side light of disability” del brand Maltesers, prodotto dolciario britannico prodotto da Mars, comprende una serie di spot che hanno per protagonisti persone affette da diversi tipi di disabilità e le ritrae in modo leggero e ironico mentre raccontano durante allegre conservazioni con gli amici alcuni piccoli incidenti collegati al proprio handicap.
Ritrarre la disabilità nella sua normalità per abbattere quello che ancora oggi è a tutti gli effetti un tabù e mettere in scena finalmente una categoria normalmente esclusa dalla tradizionale narrazione televisiva.
Assocarni
Nel 2018 Assocarni in associazione con Rai Pubblicità ha realizzato una pubblicità accessibile e inclusiva che, oltre a scritte informative, comprendeva anche l’inserimento del linguaggio dei segni.
Coca-Cola
Anche Coca-Cola si è più volte dimostrata attenta a un linguaggio inclusivo e rispettoso delle diversità. Uno degli esempi è lo spot che ha per protagonista una giovane donna musulmana che deve resistere alle ultime ore di digiuno prima del tramonto per il Ramadan. Una coetanea le offre una bottiglia di Coca-Cola che la donna inizialmente rifiuta, così la prima, dopo averne comprese le motivazioni, attende con lei il tramonto per poi condividere il momento insieme.
Starbucks
Nel 2019 Starbucks ha affrontato il tema dell’identità transgender con una pubblicità inclusiva intitolata “Every name’s a story”, e si è anche impegnato a raccogliere un minimo di 100.000 dollari per le associazioni transgender britanniche.
Lo spot racconta la storia di un ragazzo trans, James, ancora costretto ad usare il suo deadname – Jemma – con amici e familiari, che riesce ad essere veramente se stesso una volta entrato da Starbucks, quando il barista scrive il suo vero nome sulla sua tazza: James, appunto.
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