Le "guerre" di Anna Prouse, scampata più volte alla morte e ancora in lotta
Pochi conoscono la storia di Anna Prouse, scampata a guerre, attentati e ancora in lotta. A raccontarla, in un podcast, ci ha pensato Pablo Trincia
Pochi conoscono la storia di Anna Prouse, scampata a guerre, attentati e ancora in lotta. A raccontarla, in un podcast, ci ha pensato Pablo Trincia
Sono molte le storie di donne che meritano di essere raccontate, e quella di Anna Prouse è sicuramente una di queste; a farlo ci ha pensato uno che, ormai, a prestare la voce per raccontare vite e vicende incredibili è abituato, Pablo Trincia, un tempo reporter de Le Iene, oggi autore di alcune delle inchieste e dei podcast più seguiti: un esempio su tutti è ovviamente Veleno, che ha fatto luce sulla vicenda dei presunti riti satanici nella Bassa Modenese nei primi anni ’90.
Per far conoscere la storia di Anna Prouse, cinquantenne italiana, oggi residente a San Francisco, Pablo si è affidato ancora una volta al podcast, pubblicando Le guerre di Anna, disponibile sulla piattaforma Audible; un titolo per nulla banale e per nulla eccessivo, perché di guerre, nella vita della donna, ce ne sono state davvero parecchie, a partire dalle esperienze a Baghdad e Nassiriya, passando per i due attentati diretti alla sua eliminazione, fino alla fatwa scampata, e finendo poi con l’ultima, grande battaglia con cui tuttora sta lottando, quella di un tumore al cervello incurabile.
Trincia rivive le sue esperienze più importanti in una narrazione palpitante che si sviluppa in 7 episodi da 45 minuti ciascuno, intrecciando al suo destino quello della storia più recente dell’Iraq, ma anche ad altri avvenimenti di cruciale importante per il mondo contemporaneo: dal regime di Saddam Hussein fino al crollo delle Twin Towers, senza dimenticare la ferita dell’attentato ai militari italiani del 12 novembre 2003 a Nassiriya né l’occupazione americana del territorio iracheno.
Durante la guerra in Iraq, ero lì da inviato delle Iene e la incontrai – ha detto Pablo Trincia a Fanpage, parlando del primo incontro con Anna Prouse – Mi apparve subito come una donna incredibile, che faceva un lavoro fondamentale. Peraltro, da civile che si occupava di ricostruzione, era fermamente contraria a quella guerra. Una guerra che ha rischiato di ammazzarla diverse volte. Una volta in un attentato a colpi di mitra da cui è sfuggita in maniera rocambolesca, una seconda con un missile che le è piombato nel posto dove viveva.
Di contro, lei ha dichiarato:
L’idea mi intimidiva, ma Pablo si è rivelato una persona aperta, senza preconcetti, decisa a vedere come stavano davvero le cose. Gli iracheni mi chiedevano perché quest’uomo andasse in giro in giacca e cravatta nere nonostante il caldo, era molto divertente.
Da lì, ha spiegato ancora Pablo, i due sono sempre rimasti in contatto, ma è solo durante il periodo del lockdown che lui pensa sia giusto che tutti conoscano le gesta di questa incredibile donna; e lo spunto gli viene offerto proprio dal venire a conoscenza del fatto che Anna ha appena sconfitto un tumore per cui, un anno prima, le erano stati dati dal suo medico appena pochi mesi di vita.
Mi è sembrato un segnale clamoroso del modo in cui questa donna fronteggia la morte da sempre, sconfiggendola.
Sfogliate la gallery per conoscere altro sulla storia di Anna Prouse.
Ho vissuto in Iraq per quasi due anni e, volente o nolente, mi sono trovata di fronte al dilemma morta o senza arti più di una volta, per non dire quotidianamente. La mia conclusione? Meglio un biglietto per l’aldilà che una vita a metà – ha scritto in un articolo firmato da lei stessa – Quante volte ho varcato quei cancelli che dividono la Green Zone – la zona protetta di Baghdad – da quella rossa dove auto-bombe e attentati la fanno da re. Quante volte ho pregato uscendo da Assassines Gate – la Porta degli Assassini, teatro di attentati sanguinari – che, se qualcosa dovesse accadermi, fosse un colpo secco.
Sono seduta nella sala d’attesa del Walter Reed Army Medical Center, l’ospedale militare alle porte di Washington DC dove vengono ricoverati i soldati feriti in Iraq. Specializzazione: amputazione degli arti! Non credo di essere pronta. Ho negli occhi tutti quei colleghi, amici, giovani ragazzi e donne che spariscono, inghiottiti da C130 alla volta di Landstuhl, in Germania. Ricordo lo sguardo perso di Jon mentre teneva la mano del nostro amico Elias. Paralizzato, dopo che vari missili avevano colpito le nostre stanze all’Al Rasheed Hotel.
E ricordo la consapevolezza che avrei potuto essere io in quella barella se non avessi avuto quell’intuizione… Non avessi seguito quella voce che mi diceva di allontanarmi: proprio quella notte. Ora ho l’occasione di vedere il dopo Iraq per tutti quelli che si sono trovati al posto sbagliato al momento sbagliato. Per tutti quelli che l’intuizione non l’hanno avuta o non l’hanno voluta ascoltare.
La mattina del 30 settembre 2003 Anna Prouse stava andando con autista, traduttore e guardia del corpo iracheni a Medical City, uno dei più grandi ospedali di Baghdad.
Arrivammo di fronte alle strutture sanitarie, stavamo parcheggiando, quando la nostra guardia del corpo scese improvvisamente dalla vettura brandendo il Kalashnikov. Pensai volesse fermare il traffico. Invece, puntò l’arma verso la mia testa al lunotto posteriore e aprì il fuoco a raffica. Io, chissà perché, un secondo prima ebbi un presentimento e mi gettai sul pavimento della vettura. Non ne ho mai parlato ai media, solo ora trovo la forza per pensarci. Ma fu la salvezza. I colpi uccisero i miei due accompagnatori e fecero scempio del mio sedile. Io rimasi illesa.
Questo è ciò che ha raccontato, sette anni dopo, al Corriere; dopo aver evitate i 30 colpi che hanno ucciso autista e traduttore, Anna si è alzata, ha raggiunto un androne, restando a guardare gli uomini che tentano di linciare l’aggressore, prima di fare ritorno alla sua vettura.
Accesi il motore e mi diressi in ufficio, nel cuore dei comandi americani nella Zona Verde della capitale.
Nel settembre dello stesso anno Anna è assunta dalla Farnesina per lavorare al nuovo ministero della Sanità iracheno, finché David Petraeus, massimo comandante americano in Iraq, le ha offerto la guida del Prt (il Provincial Reconstruction Team) di Nassiriya nel settembre 2006.
Dopo le esperienze in Medio Oriente nel 2011 Anna inizia a lavorare per la Caerus Associates, consulente di Usaid e dipartimento di Stato americano.
Come corrispondente estera per La Repubblica, Anna ha viaggiato in molte zone critiche del mondo, compresa Teheran, dove ha raccolto le reazioni dopo gli attacchi dell’11 settembre, la Libia, occupandosi del rapporto di Gheddafi con la popolazione Tuareg, e lo Yemen, nel momento in cui i rapimenti dei nostri connazionali erano piuttosto frequenti.
Un giornalista della Nbc l’ha definita la “Gertrude Bell italiana“, evocando la figura della famosa esploratrice inglese che agli inizi del Novecento segnò la storia dell’Iraq.
Come si legge sul suo sito ufficiale, il presidente Napolitano ha insignito Anna per il suo lavoro in Iraq conferendole la più alta onorificenza della Repubblica italiana: l’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Prouse ha anche ricevuto il Meritorious Honor Award dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il Honorary Red Cross Award per il lavoro svolto nella direzione dell’ospedale di Baghdad durante la Missione 2003-2005 della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa in Iraq.
Anna ha pubblicato quattro libri in Italia: il più famoso, Un’italiana in Iraq, è stato tradotto e pubblicato negli Stati Uniti con il titolo Two Birthdays In Baghdad.
Oggi Anna vive e lavora a San Francisco, dove lotta con un tumore al cervello giudicato incurabile.
Anna ha scoperto di avere un tumore qualche anno fa, in seguito a un forte calo della vista, ed è proprio lei a spiegarlo nel primo episodio del podcast.
Il medico le aveva comunicato che le sarebbe rimasto poco tempo da vivere.
Sono sopravvissuta a bombe, a sparatorie. Situazioni in cui tutto accade in una manciata di minuti. Il cancro invece è lento, ti costringe a prepararti a chiudere con la vita – ha detto -La cosa più simile alla sentenza del tumore che mi sia capitata è stata la minaccia di una fatwa: mi spaventava davvero. Se si fosse realizzata non avrei più potuto avere un’esistenza normale, avrei dovuto vivere nascosta.
È stato il leader sciita iracheno Muqtada al-Sadr a minacciarla con quella condanna a morte, nel 2010, preoccupato della sempre maggiore influenza della donna.
Gli americani non facevano una mossa senza il mio parere, gli iracheni mi volevano bene e le donne del posto mi vedevano come un esempio.
Fu il generale Qasem Soleimani, che anni prima aveva tentato di ucciderla con una bomba, a revocare la fatwa, avendo sviluppato, negli anni, una fortissima stima per Anna.
Cosa ne pensi?