Desirèe Mariottini è stata trovata senza vita il 19 ottobre 2018, in uno stabile abbandonato, uccisa, forse lasciata a morire, dopo essere stata drogata e violentata. Aveva 16 anni. Una ragazzina.

Come accaduto per Pamela Mastropietro, uccisa nel gennaio dello stesso anno, insieme allo sdegno e al dolore, anche nel caso di Desirée la preoccupazione quasi immediata che molti hanno avuto è stata quella di andare a scandagliare nella sua vita, nel suo passato, per trovare un motivo alla sua presenza in quel palazzo fatiscente, una spiegazione al perché una ragazzina di sedici anni di Cisterna di Latina si trovasse da sola nel quartiere San Lorenzo di Roma, zona universitaria e di movida che di notte, però, diventa spesso terreno fertile per i pusher.

Ci si immaginava un’adolescente con un profondo disagio sociale, dedita al consumo di stupefacenti, alla prostituzione, abbandonata dalla famiglia, nell’assurda convinzione che questo potesse in qualche modo dare un senso alla tragedia, privarla della sua gravità.

A dispetto delle ipotesi che si affollarono numerose un anno fa, in realtà Desirèe è stata descritta come una ragazzina normale, che viveva nella provincia di Latina con la mamma, Barbara – che le aveva dato il suo cognome dopo la separazione dal compagno – e la sorellina di quattro anni. Una ragazzina che certamente si era avvicinata negli ultimi tempi a un mondo pericoloso, ma che la madre seguiva, tanto da essersi resa conto subito che la figlia aveva iniziato a fare uso di droghe e da chiedere aiuto ai servizi sociali e al SERT, il servizio per le tossicodipendenze della ASL.

Per il suo omicidio, un anno dopo, sono imputati in quattro: Alinno Chima, Mamadou Gara, Yusif Salia e Brian Minthe, accusati di omicidio, violenza sessuale e spaccio di stupefacenti. Secondo il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Stefano Pizza, che si stanno occupando del processo, i quattro avrebbero abusato a turno della ragazza dopo averla stordita con le droghe che alla fine l’hanno uccisa. E su di loro pesa un’ulteriore aggravante, quella di aver impedito l’allerta dei soccorsi, come ha riportato un testimone nell’incidente probatorio di fronte al gup.

Ma c’è un ulteriore aspetto della vicenda terribile di Desirée che lascia spiazzati, e cioè la denuncia che uno dei quattro, Salia, ha fatto, tramite i suoi avvocati, proprio nei confronti dei genitori della ragazzina. Colpevoli, afferma, di “abbandono di minore” per averla lasciata sola, di non “averla tenuta in casa”.

Se la ragazza quel giorno fosse stata in casa con i famigliari, io Salia Yusif non sarei in carcere.

Si legge nella denuncia, riportata dal Messaggero, che ha il sapore di una beffa, l’ennesima, nei confronti di una famiglia già straziata dal dolore e che ha dovuto pagare anche il pegno del perbenismo dilagante dei processi via social e di quanti si ergono a giudici supremi di moralità e comportamento. Poco importa che la denuncia sia stata poi ritirata, evidentemente non è neppure importante chiarire che Desirée fosse effettivamente vergine al momento della morte – lo hanno reso noto i risultati dell’autopsia – e che quindi non abbia “venduto il suo corpo” per cercare una dose.

Perché fin dai giorni seguenti alla morte di Desy la mamma aveva dovuto assistere impotente al festival del “Se l’è cercata”, quello che sui social – luogo dove ormai tutti sembrano sapere di tutto e sentirsi in diritto di farcelo sapere – si è espresso perfettamente con commenti del genere:

Fonte: facebook
Fonte: facebook
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Che insinuano il dubbio, l’intenzione di trovare forzatamente una corresponsabilità nella vittima. Esattamente come nei casi di stupro si sostiene che, se ci si veste in un certo modo, ci si può anche “aspettare” di essere violentate.

Non a caso, quella frase, “Se stava a casa non le succedeva niente” non è nuova alle cronache italiane: ricorda fin troppo bene, proprio a proposito di stupri, quella che l’allora avvocato Tina Lagostena Bassi si sentì rivolgere in riferimento a Fiorella, la ragazza che stava difendendo in un processo per violenza sessuale, diventato storico perché trasmesso in tv.

Senza contare che questa assurda denuncia per abbandono di minore, portata avanti dall’avvocato Maria Antonietta Cestra, in cui si riduce l’accadimento di quella notte a un mancato esercizio delle “normali e consone funzioni genitoriali sulla minore, ossia semplicemente controllandone i movimenti” non solo punta il dito su una famiglia già pesantemente provata da un dolore tanto forte, ma implicitamente tenta, ancora una volta, di percorrere la strada del concorso di colpe, stavolta nei confronti della madre.

È allucinante che questo genere di considerazioni vengono fatte in un processo per omicidio e portate avanti come parte integrante della memoria difensiva.

Non solo perché è palese che un genitore non possa vigilare 24 ore su 24 sul proprio figlio, ma soprattutto perché non è ammissibile che si tenti di arginare la colpa di uno stupro e di un omicidio con responsabilità che non possono essere considerate equiparabili.

Se Desirèe non avesse incontrato degli stupratori assassini, oggi sarebbe ancora viva.

Questa è l’unica verità da dire.

In gallery abbiamo riassunto la vicenda di Desirèe.

Lo stupro e l’omicidio di Desirée Mariottini: “Se fosse rimasta a casa non sarebbe successo”
Fonte: web
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