Per il coraggio di Lina Ben Mhenni, morta a 36 anni
Il 27 genaio 2020 ci lasciava Lina Ben Mhenni, l'attivista tunisina grande protagonista della Primavera Araba, che diede voce al suo popolo e ai discriminati.
Il 27 genaio 2020 ci lasciava Lina Ben Mhenni, l'attivista tunisina grande protagonista della Primavera Araba, che diede voce al suo popolo e ai discriminati.
Il 27 gennaio 2020 la “ragazza tunisina” se ne andava. Lina Ben Mhenni si è spenta a 36 anni, dopo aver speso una vita lottando per i diritti civili e sociali del popolo tunisino, degli emarginati, denunciando la corruzione e il fondamentalismo del partito islamico Ennahdha dalle pagine virtuali del suo blog, A Tunisian girl, appunto.
Nata e cresciuta a Tunisi, lo stesso luogo dove il 27 gennaio si è spenta per una malattia cronica, il lupus eritematoso sistemico, era stata una delle grandi protagoniste della Primavera araba e del femminismo islamico, documentando con i suoi post la fine del regime di Ben Ali e guidando le rivolte popolari nel Paese.
La Primavera Araba ha una data di inizio ben precisa in Tunisia, il 17 dicembre 2010, giorno in cui il fruttivendolo Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protestare contro il sequestro della sua merce da parte della polizia. Quando nella città di Sidi Bouzid scoppiarono i primi tumulti, Lina Ben Mhenni fu tra le prime a raggiungerla, assistendo a quella che poi sarebbe passata alla storia come la Rivoluzione dei Gelsomini o della Dignità.
Da quel momento lei, figlia di un dissidente politico – Sadok Ben Mhenni, un militante marxista imprigionato da Habib Bourghiba – si è dedicata anima e corpo a raccontare i giorni di protesta e a dare voce a quel popolo tunisino per cui auspicava maggiore libertà e democrazia; l’attivismo contro la tortura, la raccolta di libri per i detenuti, la denuncia aperta ai corrotti, ogni cosa in Lina era orientata a far conoscere la realtà del suo Paese, affinché il mondo aprisse gli occhi e fosse in grado di dare una mano.
E il suo lavoro, il suo impegno costante, vennero premiati, nel 2011, con la candidatura al Premio Nobel per la Pace (poi andato a Ellen Johnson Sirleaf, presidentessa della Liberia, alla sua concittadina Leymah Gbowee e all’attivista yemenita Tawakkul Karman), a soli 28 anni.
Lina è morta per l’aggravarsi delle condizioni dei suoi reni, dato che anche il trapianto ricevuto dalla madre non era andato bene, e che le percosse dei poliziotti avevano lasciato il segno; gli amici avevano provato a convincerla ad andare all’estero per tentare un’altra terapia, ma alla fine lei è rimasta nella sua Tunisia perché, diceva “qui tante persone hanno bisogno di me”.
Ha avuto solo 36 anni, Lina, ma certamente ha fatto più di quanto una persona non faccia mediamente nella propria vita; e il suo attivismo appassionato, che non si è fermato neppure di fronte alle violenze della polizia o al carcere, è senz’altro sufficiente per consegnarla alla storia.
In gallery abbiamo ripercorso la sua vita e la sua battaglia.
Non mi considero una militante ma, nel mio piccolo, un’attivista per i diritti umani – scriveva sul suo blog – La mia modesta esperienza mi ha fatto capire che le lacrime non sono una soluzione. Bisogna prender la vita a morsi, fare quello che si ama. Bisogna essere felici per poter aiutare gli altri.
Ho vissuto l’ingiustizia della repressione. Quando si vive l’oppressione, si accumula coraggio.
Lina conosceva bene la repressione, dato che, dal debutto del suo blog, nel 2007, in cui denunciava esplicitamente la censura e il regime di Ben Ali, la polizia spesso le faceva visita per sequestrarle il materiale o interrompere la sua connessione Internet.
Quando ho visto i tunisini riversarsi in Avenue Bourguiba [il viale principale di Tunisi, ndr] ho pianto di gioia.
Dal suo blog è stato tratto anche il libro Tunisian Girl, blogueuse pour un printemps arabe, in cui racconta la sua storia di blogger indipendente e di manifestante, prima e dopo la rivoluzione.
Oltre alla candidatura al Nobel Lina ha ricevuto nel nostro Paese il Premio di Roma per la Pace e l’Azione umanitaria e il Premio internazionale di giornalismo di Ischia.
In tempi recenti, da sempre vicina all’attivismo femminista, ha partecipato alla campagna mediatica #EnaZeda (#MeToo in dialetto tunisino) per denunciare le violenze e le aggressioni subite da tante concittadine.
Succede a Tunisi, non a Hollywood – ha dichiarato a Il Fatto Quotidiano – […] Non c’è una sola donna in Tunisia che non abbia subito soprusi. Mi auguro che #EnaZeda possa essere un primo passo verso un cambio reale di mentalità.
Affetta da lupus eritematoso sistemico, si era sottoposta a un trapianto di reni nel 2007, e nel 2009 aveva partecipato ai Giochi Mondiali dei trapiantati, conquistando la medaglia d’argento nella marcia.
Aveva ricevuto un rene dalla madre, ma il trapianto non era andato come previsto.
Lina è morta il 27 gennaio; l’ultimo progetto cui stava lavorando era garantire 45 mila libri raccolti nei mesi precedenti nelle carceri del Paese, per permettere ai detenuti di leggere.
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