La mafia ha ucciso tantissime persone innocenti, nella sua pluricentenaria storia; persone che lottavano per fermarla, che non avevano paura di combatterla, come i giudici Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, i loro agenti di scorta, l’attivista Peppino Impastato, ma anche persone che avevano la sola colpa di essere parenti e familiari di boss mafiosi, come il piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto senza pietà nell’acido, e addirittura vittime colpite per errore, per sbaglio, che con la rete mafiosa non c’entravano proprio nulla, come Michele Fazio.
Michele aveva solo 16 anni quando, il 12 luglio del 2001, rimase coinvolto in una faida tra clan rivali, gli Strisciuglio e i Capriati, nei vicoli di Bari vecchia; rientrava a casa dal lavoro al bar, portando le pizze per cenare con la famiglia, visto che papà Pinuccio aveva finalmente avuto qualche giorno di riposo.
Venne raggiunto da un proiettile vagante alla nuca, cadendo immediatamente riverso al suolo, mentre le sole parole che si sentirono per strada, dopo la tragedia, furono “Sim accis o uagnon bun” ovvero
Abbiamo ucciso il bravo ragazzo.
Perché Michele, bravo ragazzo, lo era per davvero; sognava di fare il carabiniere, di entrare nell’Arma, ma nel frattempo si era assunto il compito di fare l’uomo di casa, perché il papà, ferroviere, spesso era assente per lavoro; così lavorava nel bar, e la sera rincasava in quel quartiere dove erano cresciuti anche i figli dei boss, e che l’avevano reso irrespirabile, tanto da costringere le persone a chiudere le persiane di casa per non vedere, non sentire, non ritrovarsi in alcun modo coinvolti nei loro “affari”.
Sono passati vent’anni dalla morte di Michele, e papà Pinuccio e mamma Lella, dopo la tragedia, hanno scelto di aprirle, quelle persiane: hanno permesso al mondo di entrare a casa loro, per far conoscere la storia del loro ragazzo, ucciso dalla mafia come moltissimi altri innocenti. Ancora oggi i genitori di Michele girano le scuole, per parlare di loro figlio ma anche, e soprattutto, di come la mafia calpesti, sporchi, deturpi, uccida, di come la mafia sia quella “montagna di merda” di cui parlava Impastato.
Sono passati 20 anni non di lotta, perché quella spetta alle forze dell’ordine e alla magistratura, ma di impegno – hanno detto Pinuccio e Lella all’Agi – Impegno trascorso nelle piazze, nelle sedi delle associazioni, nelle scuole di tutta Italia, a parlare ai giovani della nostra storia, per far sì che mai più nessuno finisca tra le mani della mafia.
A Michele è intitolato il presidio di Libera di Giovinazzo, nella provincia barese, e un vino prodotto dalla “Cooperativa sociale terre di Puglia – Libera terra”, che opera su terreni sottratti alla criminalità organizzata a Mesagne, oltre all’associazione, con sede a Bari vecchia, che offre uno spazio e fa doposcuola per i ragazzi del quartiere.
Sfogliate la gallery per leggere la sua storia.
Il bravo ragazzo
Michele nasce il 21 settembre del 1985 a Bari, secondo di quattro figli; da piccolo gioca a pallone con gli amici per strada, in quei vicoli dove crescono anche i figli dei boss, ma il suo sogno è fare il carabiniere. Nel frattempo, aiuta in famiglia lavorando come barista, e occupandosi della mamma e delle sorelle più piccole in assenza del papà, spesso via per lavoro.
L'agguato
La sera del 12 luglio 2001 Michele rifiuta di trascorrere una serata in pizzeria con gli amici e il fratello maggiore, Nicola, per tornare a casa e cenare con papà, che ha qualche giorno di riposo. A pochi passi da casa quattro killer del clan Capriati esplodono colpi di pistola, ai rivali del clan Strisciuglio.Uno lo colpisce nel cranio, e lui cade a terra subito, esamine, mentre dalla finestra di casa solo la sorellina Rachele ha il coraggio di guardare cosa sta accadendo. “Abbiamo ucciso il bravo ragazzo”, si sente urlare per strada.
I colpevoli
Nel 2003 il caso di Michele fu inizialmente archiviato, e solo grazie all’impegno di magistratura, Forze dell’Ordine e Istituzioni, le indagini furono riaperte un anno dopo, mentre nel 2005 tutti gli assassini del ragazzo vennero assicurati alla giustizia.
Per il suo omicidio sono stati condannati Francesco Annoscia a 15 anni e 8 mesi (ha già scontato la pena), e Raffaele Capriati a 17 anni, mentre il 28 giugno 2016, in esecuzione di una condanna definitiva a 7 anni e 6 mesi, è stato arrestato Michele Portoghese, oggi 36enne, terzo componente del commando e alla guida di uno dei due scooter usati per compiere l’agguato.
L'impegno di papà Pinuccio
Le persone di 20 anni fa non ci sono più – hanno detto Pinuccio e la moglie Lella all’Agi – Hanno scelto di stare dalla nostra parte. Bari vecchia prima aveva uno solo a comandare nel quartiere, ora il quartiere è libero, è di tutti. C’è sempre qualcuno che, magari, cerca di emergere, di continuare a svolgere attività illecite: ecco perché non dobbiamo mai dire che abbiamo vinto. Bisogna sempre continuare nella missione del dialogo e della legalità. Lo facciamo per l’amore verso Michele, nella speranza che una tragedia così non capiti mai più a nessuno.
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