O si copre oppure qui non entra“.

Non è una frase pronunciata all’ingresso di una chiesa, dove è piuttosto normale aspettarsi un dress code e un rigido controllo su scollature e lunghezze di abiti e donne, ma dagli uscieri del Musée d’Orsay, a Parigi, cuore pulsante dell’arte della Ville Lumière assieme al Louvre, con una fama da baluardo liberale e anticonformista che oggi, dopo questo episodio, sembra sinceramente un po’ smarrita.

Andiamo con ordine: è martedì 8 settembre, e una visitatrice decide di entrare al museo, dove sono esposti alcuni dei capolavori più importanti dell’arte mondiale; ma il suo abbigliamento, adeguato alla calura della giornata, non piace alla funzionaria incaricata delle prenotazioni, che con uno sguardo perplesso fa chiaramente capire che il problema è il décolleté che si intravede dalla scollatura.

Niente di eclatante, un semplice scollo a V adatto per affrontare meglio le torride temperature; ma evidentemente sufficiente per essere dichiarato “sconveniente” dal personale dell’Orsay, che invita la ragazza al rispetto delle regole sul pubblico decoro, contenute nell’articolo 7 del regolamento del museo:

Gli utenti devono conservare una tenuta decente e un comportamento conforme all’ordine pubblico e devono rispettare la tranquillità degli altri utenti.

Ora, il problema che si pone, spontaneamente, è: quanto deve essere profonda una scollatura affinché sia giudicata sconveniente? E quanto lunga la gonna, o il pantaloncino? Esiste un criterio universale, oggettivamente valido, per stabilire le metrature accettabili di abiti e top, per non finire nella black list degli indecenti che attentano al pudore, proprio e altrui?

Ma soprattutto, com’è possibile che il museo che ospita alcuni dei più celebri quadri di nudo mai dipinti – ci viene in mente L’origine del mondo di Gustave Courbet, o l’Olympia di Manet – assuma improvvisamente una condotta tanto morigerata e puritana di fronte alla scollatura di una visitatrice la cui unica colpa, probabilmente, è stata quella di soffrire il caldo estivo?

Posto che nel nudo non ci sia nulla di sbagliato – bene o male, nasciamo tutti in tal maniera – e che una sua “pornografizzazione” forzata sia concettualmente sbagliata, è certamente sorprendente che un museo che accolga tanti quadri che, in passato, sono finiti sotto la scure censoria finisca con il perdere la bussola per un semplice scollo a V.

Che vi lasciamo giudicare, perché la ragazza, dopo essersi arresa, suo malgrado, a indossare una giacca, una volta arrivata a casa ha scritto un lungo sfogo su Twitter, mostrando quindi il top incriminato.

Martedì 8 settembre, il caldo aumenta nel pomeriggio e le braccia si scoprono. Ho voglia di andare al museo d’Orsay, e non sospetto che il mio décolleté sarà un oggetto di discordia. Arrivata all’ingresso non ho il tempo di mostrare il biglietto che la vista dei miei seni turba la funzionaria incaricata del controllo delle prenotazioni, che parte salmodiando: ‘Ah no, non è possibile, non si può lasciare passare una cosa simile’, mentre la collega cerca di convincerla a lasciare perdere.

Chiedo che cosa stia succedendo, nessuno mi risponde, ma tutti fissano i miei seni, mi sento a disagio, l’amica che mi accompagna è sconvolta. Un altro agente, di sicurezza stavolta – i seni, quest’arma di distruzione di massa – si avvicina e mi intima ad alta voce: ‘Signora le chiedo di calmarsi’. Sono calmissima, vorrei solo capire perché non posso entrare nel museo. ‘Le regole sono le regole’. Arriva un altro responsabile, nessuno ha il coraggio di dire che il problema è il décolleté, ma tutti fissano apertamente i miei seni, indicati alla fine con un ‘questo’.

Io non sono solo i miei seni, non sono solo il mio corpo – protesta la ragazza, che si chiama Jeanne – Mi domando se gli agenti che volevano proibirmi di entrare sanno a che punto hanno obbedito a dinamiche sessiste. Non può essere il giudizio arbitrario su che cosa è decente e cosa non lo è a determinare l’accesso o meno alla cultura.

Non è comunque il primo episodio simile che si registra nel museo parigino; dopo la pubblicazione del suo tweet un’altra ragazza ha dichiarato di aver subito lo stesso trattamento per motivi simili – nel suo caso, si trattava di un ombelico -, a riprova del fatto che, evidentemente, la direzione dell’Orsay abbia fatto una decisa virata verso il puritanesimo, sempre ammesso che un ombelico o l’incavo di un seno siano da considerarsi scandalosi.

Se il problema è mantenere un decoro, che passa anche dal dress code adeguato, all’interno di un palazzo storico e importante, allora è naturale domandarsi se lo stesso metodo sarebbe (o sarà) applicato, nel caso delle canottiere o delle bermuda maschili, ad esempio. Perché finora il caso di Jeanne dimostra solo una sua sessualizzazione estremizzata e senza senso.

Che lo sia, in fondo, lo dimostra lo stesso, improvviso dietrofront del museo che, sempre a mezzo social, fa pervenire il giorno dopo un tweet di scuse.

Abbiamo preso conoscenza di un problema verificatosi con una visitatrice nel museo. Ci dispiace e porgiamo le nostre scuse alla persona interessata, che contatteremo.

Sarà, ma con l’Olympia e la dama (nuda) di Colazione sull’erba di fronte, il personale del museo ha dimostrato ancora una volta che il mondo ha un problema con le tette delle donne.

In gallery vi portiamo in un tour virtuale all’interno dei più famosi nudi esposti al Musée d’Orsay. A cui non è richiesto di coprirsi.

Per il Musée d’Orsay la scollatura di questa donna è troppo indecente
Fonte: web
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