“Non si suicidò. Mia sorella è stata arsa viva a 14 anni”
Mina Martinelli non si arrende. Da 37 anni è convinta che la sorella Palmina sia stata uccisa, arsa viva. E oggi la giustizia sembra finalmente darle ragione.
Mina Martinelli non si arrende. Da 37 anni è convinta che la sorella Palmina sia stata uccisa, arsa viva. E oggi la giustizia sembra finalmente darle ragione.
Sono passati 37 anni dalla morte di Palmina, ma oggi la lotta di Giacomina, sua sorella, potrebbe finalmente aver trovato ascolto da parte della giustizia, che a distanza di tanto tempo, nel novembre 2017, ha deciso di tornare a indagare su un caso archiviato, forse, troppo velocemente come suicidio.
Aveva 14 anni appena, Palmina Martinelli, quando morì, dopo 22 giorni di agonia, al Policlinico di Bari, in seguito alle gravissime ustioni riportate sul 70% del corpo; era stato il fratello Antonio, rientrando a casa, a scoprire il corpo della sorella in fiamme, mentre lei, ancora viva, cercava disperatamente di spegnere il rogo che si era sviluppato su di lei.
Il suo decesso, dicevamo, fu giudicato un suicidio, anche per via di un biglietto di addio presumibilmente lasciato proprio dall’adolescente; biglietto che tuttavia, assieme a molte altre incongruenze, non ha mai convinto pienamente Mina, la sorella maggiore di un anno, che da quel momento è andata costantemente alla ricerca di un’altra verità, ben più scomoda e proprio per questo, dice, taciuta.
La storia che racconta Mina, che nel frattempo da Fasano, nel brindisino, dove è avvenuta la vicenda, si è spostata nella provincia napoletana, parla di ben altro: racconta di un terribile giro di prostituzione minorile, di un tentativo di coinvolgere Palmina proprio in quel racket a cui la ragazzina si sarebbe ribellata, andando incontro al suo tragico destino, quello di essere uccisa, arsa viva.
Non un suicidio, dunque, ma un vero e proprio omicidio perpetrato perché Palmina aveva capito che chi le aveva promesso una vita diversa, forse migliore, in realtà voleva solo farla diventare una prostituta, relegarla a una vita di strada e di sfruttamento.
Le successive perizie e gli accertamenti medico-legali, del resto, sembrarono confermare la tesi sostenuta da sempre da Mina, tanto che già nel 2012 la Cassazione aveva accolto il suo ricorso contro l’archiviazione disposta dalla magistratura di Brindisi, riaprendo a sorpresa le indagini.
Adesso spetterà alle inquirenti baresi, Simona Filoni e Bruna Manganelli, dare una nuova versione della storia, e forse, finalmente, giustizia a Palmina, di cui abbiamo ricostruito la terribile vicenda in gallery.
L’11 novembre del 1981 Antonio, il fratello di Palmina, tornò a casa e trovò la sorella di 14 anni, che cercava disperatamente di aprire l’acqua della doccia per spegnere le fiamme che la avvolgevano, ma quel giorno, in quella casa, l’acqua mancava. Lui la caricò in macchina e corse in ospedale, anche se inutilmente: dopo 22 giorni di dolori lancinanti, con ustioni sul 70% del corpo, Palmina morì.
Io avevo 15 anni, uno più di lei. Sono andata a trovarla in ospedale una sola volta – ha racconta Giacomina al Corriere – Era in una camera sterile, dietro un vetro. Ricordo che si poteva dirle qualcosa con una specie di citofono. Quel giorno con il citofono in mano dissi a mia mamma: nemmeno più le mani, tiene. Lei deve avermi sentito perché – quella scena non potrò mai dimenticarla – ha aperto una mano come per dire: ecco la mia mano, sono qui ancora.
Mina è sempre stata convinta che sua sorella non si sia tolta la vita, e ha lottato per far emergere la verità.
In un primo momento la magistratura archiviò il caso come suicidio, ma ci sono troppi dettagli che hanno successivamente portato a pensare al contrario. In primis, venne stabilito dagli accertamenti medico-legali che Palmina aveva tenuto le mani davanti agli occhi mentre qualcuno appiccava il fuoco. La perizia calligrafica sul biglietto ritrovato, inoltre, non convince: gli esperti stabilirono che il biglietto d’addio lasciato presumibilmente da Palmina avesse in realtà due calligrafie: dopo “Addio, P.”, che stava per “Addio, Palmina“, qualcuno aveva aggiunto “er sempre” perché risultasse “Addio, Per sempre“.
Infine, ci sono le parole registrate e pronunciate da Palmina nei giorni trascorsi in ospedale prima della morte:
Entrano Giovanni ed Enrico e mi fanno scrivere che mi ero litigata con mia cognata. Poi mi chiudono nel bagno, mi tappano gli occhi, mi mettono lo spirito e mi infiammano.
Questo è quanto la ragazzina disse all’allora pm Nicola Magrone, oggi sindaco di Modugno, provincia di Bari, mentre era agonizzante nel suo letto d’ospedale. “Sono ancora fiducioso che Palmina ottenga giustizia”, dice adesso Magrone.
Palmina prima di morire ha fatto nomi e cognomi – ha ribadito anche Mina – Ha spiegato come le hanno dato fuoco. L’ha detto al magistrato, ai medici, agli infermieri. Parliamo di una bambina in punto di morte…
Mina, in tutti questi anni, è sempre andata in giro cercando informazioni da chiunque sapesse qualcosa sulla sorte di Palmina. La sorella della ragazzina è convinta che gli aguzzini avessero promesso a Palmina di portarla via da Fasano e dalla miseria, ma che lei abbia scoperto solo all’ultimo momento che, in realtà, volevano inserirla in un giro di prostituzione.
La Procura di Bari, dopo la pronuncia della Cassazione che le assegnava la competenza a indagare sul caso, ha riaperto le indagini per omicidio volontario aggravato.
I due soggetti individuati all’epoca come i presunti assassini sono stati assolti, perciò non potranno più essere processati per il delitto, ma le inquirenti baresi Simona Filoni e Bruna Manganelli intendono soprattutto accertare se esistano eventuali corresponsabili, per ricostruire il contesto di quella tragica vicenda.
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