Sto girando questo video in bagno perché è l’unico posto in cui posso chiudermi a chiave“.

Sembra la scena di un thriller, ma è assolutamente reale, purtroppo, il video inviato dalla principessa Latifa Al-Maktoum al programma Panorama della BBC.

La ragazza, nata nel 1985, è una delle figlie dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, sovrano di Dubai e vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti (EAU), ed è letteralmente prigioniera nella sua casa, da cui non può uscire.

Come racconta la BBC, Latifa ha provato la fuga nel 2018, senza successo; come lei, anche la sorella Shamsa, mentre la sola donna a essere riuscita nell’impresa, nel giugno del 2019, sembra essere stata la moglie quarantacinquenne di suo padre, la principessa Haya bint Hussein, che ha chiesto asilo politico trovando rifugio in Germania.

La principessa descrive una storia di oppressione, di abuso e di controllo totale, un padre-padrone che l’ha privata della libertà.

Sono in una villa, e questa villa è stata trasformata in una prigione – afferma la ragazza nel video segreto, diffuso sul sito web della famosa testata inglese  – tutte le finestre sono sbarrate, non posso aprirle. Ci sono cinque poliziotti fuori e due dentro. Non posso nemmeno uscire a prendere una boccata d’aria fresca. […] Ogni giorno sono preoccupata per la mia sicurezza e la mia vita. […] Non so se vedrò mai più il sole.

Subito dopo la fine del video, si legge

Il governo di Dubai e degli EAU non ha risposto alle richieste della BBC di conoscere le condizioni di Latifa in questo momento. Ci è sempre stato assicurato che la ragazza fosse affidata alle amorevoli cure della sua famiglia.

Come detto, già nel 2018 la principessa aveva tentato la fuga, venendo addirittura rapita da un commando che l’ha riportata a casa (ne parliamo in modo più approfondito in gallery). Adesso per la sua sorte si è preoccupata anche l’ex inviata per i Diritti delle Nazioni Unite, Mary Robinson, che nel 2018 l’ha conosciuta di persona; in quell’occasione Latifa era stata presentata dalla sua famiglia come “bipolare”.

La situazione delle donne negli Emirati Arabi

Sono fra i Paesi più ricchi al mondo e, benché abbiano concesso alcune libertà in più alle donne, tanto da essere inseriti nel rapporto Global Gender Gap del Forum economico mondiale al secondo posto nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena) per l’uguaglianza di genere, la condizione femminile negli Emirati resta sempre piuttosto complicata; le donne possono sì guidare, votare, lavorare, avere o ereditare proprietà, ma alcuni fatti vanno contestualizzati affinché si possa capire come stanno davvero le cose.

In primo luogo, nel rapporto la regione del Mena figura comunque fra quelle aventi punteggio più basso, e nel mondo gli Emirati Arabi, in quanto a parità di genere, stanno al 120° posto su 153.

Le donne, negli EAU, dipendono dall’approvazione formale di un tutore maschio (il marito, o un parente) per poter fare determinate cose. Nel matrimonio, ad esempio, dove il permesso di sposarsi è appunto subordinato all’approvazione maschile; a questo si aggiungono altre circostanze, in cui la tutela non è ufficiale ma è comunque prassi diffusa, come ha spiegato alla BBC Hiba Zayadin, ricercatrice di Human Rights Watch.

Naturalmente ci sono alcuni casi in cui non è legge, ma spesso le persone chiedono alle donne il permesso del loro tutore quando queste fanno domanda per un lavoro o cercano appartamenti.

Inutile dire che anche il divorzio sia molto più difficile da ottenere per le donne, visto che devono richiedere un’ordinanza del tribunale per averlo. Sotto il profilo degli abusi, invece, sono stati compiuti alcuni passi avanti, ad esempio con l’eliminazione dal Codice Penale, nel 2016, del “diritto” per gli uomini di essere violenti con le proprie consorti. Idem dicasi per l’obbligo di obbedienza delle mogli ai mariti, revocato nel 2019, e per l’introduzione della legge che consente alle donne, per la prima volta, di ottenere un ordine restrittivo.

Tuttavia, ancora oggi la legge definisce la violenza domestica come qualcosa che “eccede la tutela, la giurisdizione, l’autorità o la responsabilità [di un individuo]”, il che significa che una decisione sull’opportunità di condannare qualcuno per violenza domestica dipende in ultima analisi dall’opinione soggettiva di un giudice, che può valutare che il violento abbia agito nell’ambito della “tutela” che gli è concessa.

A tutto questo si somma il carcere, ancora previsto per le donne che restano incinte al di fuori del matrimonio (un anno di prigione), e per quelle vittime di stupro, sempre per via del fatto che il rapporto sia avvenuto al di fuori di un vincolo matrimoniale.

Le cose, insomma, devono ancora migliorare, e di molto, affinché si possa anche solo cominciare a parlare davvero di parità di genere. Nel frattempo, è importante raccogliere l’appello di Latifa e liberarla prima che sia troppo tardi. Sfogliate la gallery per leggere la sua storia e il suo primo tentativo di fuga fallito.

Il video della principessa Latifa di Dubai: “Aiuto, mio padre mi tiene prigioniera”
Fonte: web
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