Condannati a morte: le "migliaia di esecuzioni capitali segrete" nel mondo

Il report annuale di Amnesty International sui dati relativi alla pena di morte parla di un decremento importante delle esecuzioni capitali, e di sempre più paesi che rinunciano a questa pratica barbarica; tuttavia, ci sono ancora troppe eccezioni, e paesi che vincolano al segreto di stato l'utilizzo della condanna.

La buona notizia è che qualche piccolo passo in avanti si stia facendo; è sempre troppo poco per parlare di una risoluzione totale del problema, ma fra i dati che emergono dal report annuale di Amnesty International, relativi alla pena di morte del mondo, qualche motivo per sorridere, comunque, c’è.

Nel 2017, infatti, sono state registrare almeno 993 esecuzioni in 23 stati, il 4% in meno rispetto alle 1.032 esecuzioni del 2016, e il 39% in meno rispetto alle 1.634 del 2015, il più alto numero dal 1989.

Ottimi segnali, in questo senso, arrivano dai paesi dell’Africa subsahariana, in cui 20 Stati hanno scelto di abolire la condanna capitale, mentre, in tutto il mondo, sono ben 142 i paesi che hanno definitivamente rinunciato alla pratica, da ultimi Mongolia, Guinea e Guatemala.

Esistono però alcune significative eccezioni, come la Cina, dove i dati relativi alla pena capitale sono considerati segreto di Stato e, pertanto, pur rappresentando il paese in cui ancora si eseguono più condanne, non c’è possibilità di stabilire una qualsivoglia statistica.

Amnesty ha monitorato l’uso della pena di morte nel corso dell’anno, così come le sentenze giudiziarie inserite nel database nazionale pubblico, il China Judgements Online della Corte suprema del popolo – si legge nel rapporto presentato sul sito ufficiale della ONG – Ancora una volta, Amnesty International ritiene che la Cina sia il paese che esegue la maggior parte delle sentenze capitali nel mondo, mettendo a morte più persone rispetto al resto degli stati mantenitori messi insieme.

E, per quanto l’organizzazione umanitaria abbia reiterato l’invito al paese a rendere trasparenti i dati concernenti questo drammatico aspetto, pare che lo stato asiatico sia ben lontano dall’accogliere le richieste.

Oltre alla Cina, altri paesi continuano a mantenere una condotta rispetto alla pena di morte che non permette di abbassare il livello di guardia, e impone di continuare la battaglia per la definitiva abolizione della pratica che viola i diritti umanitari.

Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito a mutamenti positivi rispetto all’uso globale della pena di morte, ma occorrono altre misure urgenti per fermare l’orribile pratica dell’omicidio di stato – ha spiegato nel report Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International – La pena di morte è il sintomo di una cultura di violenza, non la soluzione per fermarla. Siamo consapevoli che mobilitando il sostegno delle persone nel mondo possiamo opporci a questa sanzione crudele e porvi fine ovunque.

Alcuni dati restano davvero preoccupanti, soprattutto per gli aspetti legati alla tortura o alle condanne minorili, come vedrete nella gallery.

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