Il Me Too ha portato alla luce uno scandalo sessuale forse senza precedenti, che dagli Stati Uniti, dove è partito dopo le denunce di molestie ai danni di Weinstein, si è diffuso a macchia d’olio in ogni parte del mondo. Grazie al movimento, molte donne hanno trovato il coraggio di portare allo scoperto abusi e molestie subite, spesso nei luoghi più impensati.
Come, ad esempio, durante il pellegrinaggio a La Mecca, la città santa dell’Islam; la giovane pachistana Sabica Khan ha confessato di essere stata vittima di una molestia di stampo sessuale proprio in questa particolare occasione, denunciando l’accaduto con un post su Facebook condiviso nel febbraio 2018.
Ben presto, esattamente come successo negli USA, dopo le accuse di Asia Argento nei confronti dell’ex numero uno della Miramax, il suo post è diventato virale, venendo condiviso da moltissime donne e ricevendo altrettanti commenti da parte di chi, incoraggiata dall’esperienza di Sabica, ha voluto raccontare la propria personale esperienza.
Così, la giornalista egiziana, ma naturalizzata statunitense, Mona Eltahawy, a sua volta vittima di un episodio simile avvenuto nel 1982, ha deciso di lanciare sui social l’hashtag #MosqueeMeToo. Raccogliendo non solo numerose adesioni, ma anche una gran quantità di esperienze e storie diverse, tutte tese a denunciare episodi di molestie capitate durante i momenti sacri di raccoglimento e preghiera della religione musulmana.
È stato incoraggiante vedere altre donne musulmane parlare e dire ‘anche a me’ rispetto a qualcosa che è considerato un tabù – ha scritto Mona in un articolo per Washington Post – Le loro esperienze mi erano tristemente familiari . Nel 1982, quando avevo 15 anni, fui aggredita sessualmente due volte mentre io e la mia famiglia stavamo eseguendo il hajj [che è appunto il pellegrinaggio verso La Mecca, ndr.].
Mona stessa ha raccontato di aver tenuto a lungo per sé quell’episodio, spinta anche dalle parole di altre donne che l’hanno convinta a non parlare per evitare di rovinare la reputazione dell’Islam intero; ma negli anni il suo senso di responsabilità e il suo desiderio di verità sono cresciuti, fino a spingerla a parlare degli abusi subiti anche in un libro, uscito nel 2015 e tradotto anche in italiano con il titolo di Perché ci odiano.
Oggi Mona ha quindi scelto di aiutare le altre donne invitandole a parlare, diversamente da quanto fecero con lei più di trent’anni fa, quando la persuasero al silenzio per “l’onore del popolo musulmano”. Grazie a Sabica, ha capito che le cose sono cambiate, che i social possono essere usati anche per diffondere messaggi importanti e per portare avanti battaglie civili e sociali fondamentali per rompere il muro di silenzio e omertà che ancora copre moltissime nefandezze. In gallery abbiamo raccontato la storia di Sabica, ma anche quelle di molte altre donne che oggi hanno, finalmente, trovato il coraggio di parlare, certe di essere ascoltate e comprese.
La testimonianza di Mona, ideatrice dell'hashtag
Ho condiviso l’esperienza di abuso sessuale che ho subito nel 1982, a 15 anni – ha scritto la giornalista in un tweet – nella speranza che aiuti altre donne musulmane a rompere il muro di silenzio e i tabù sulle molestie sessuali subite durante l’haji, l’Umra o nei luoghi sacri.
Non sono io, ma gli uomini che mi hanno assalita a far sembrare i musulmani "cattivi"
La mia famiglia si era appena trasferita in Arabia Saudita, ed era la prima volta nella mia vita che ero coperta dalla testa ai piedi dall’abito che le pellegrine devono indossare. La prima molestia è arrivata da un uomo che stava eseguendo il tawwaf [la preghiera, ndr.]. Centinaia di migliaia di pellegrini eseguono il tawwaf in un dato giorno durante l’hajj. È molto affollato. Ma puoi capire la differenza tra qualcuno che sbatte accidentalmente contro la folla e qualcuno che ti tocca il sedere di proposito. Il secondo assalto avvenne durante il rituale di baciare la pietra che si trova in un angolo della Ka’ba. Io e mia madre aspettammo finché il poliziotto di guardia non disse agli uomini di allontanarsi dicendo che era il nostro turno. Mentre mi chinavo per baciare la pietra, il poliziotto mi accarezzò il seno. Non potevo girarmi per affrontarlo. È solo quando sono diventata più grande che ho imparato ad afferrare le mani che mi hanno aggredito, a dare calci, schiaffi e sputi ai loro proprietari. Ma a 15 anni, tutto ciò che potei fare fu scoppiare in lacrime. Che una tale violazione mi stesse accadendo mentre eseguivamo il quinto pilastro della nostra religione nel luogo più sacro dell’Islam mi traumatizzò, e mi fece vergognare anche se ovviamente non avevo fatto nulla di cui vergognarmi.
Qualcosa mi ha spezzato e ci sono voluti anni per riconoscerlo.
Ho seppellito la mia aggressione. Non avevo parole per questo. Nessuno che conoscevo aveva mai condiviso un simile orrore. Chi avrebbe mai creduto che mi fosse successo qualcosa di così terribile in un luogo così sacro? Era meglio restare in silenzio. Avevo 15 anni e tutto quello che sapevo era che volevo nascondere il mio corpo agli uomini. Così ho iniziato a indossare l’hijab. Certo, essere coperto dalla testa ai piedi durante l’hajj non mi aveva protetto. Ma, lo ripeto, avevo 15 anni e volevo solo nascondermi. Ci sono voluti molti anni e il femminismo – e molte altre volte in cui il mio corpo è stato sfiorato, pizzicato e toccato senza il mio permesso durante i nove anni in cui ho indossato l’hijab – per sapere con fermezza che l’assalto sessuale non ha nulla a che fare con il modo in cui sei vestita. Ha tutto a che fare con il predatore che ti assale. Dovevo anche maturare nella comprensione del fatto che gli uomini che mi hanno aggredita hanno abusato della santità di uno spazio sacro per assicurarsi il silenzio della loro vittima. Sapevano che nessuno mi avrebbe creduta. Allora non conoscevo lo scrittore e poeta Audre Lorde, ma quando il mio femminismo crebbe, cominciai a capire cosa intendesse quando disse: “Il tuo silenzio non ti proteggerà”.
E così ho iniziato a parlare. La prima volta che ho condiviso con un gruppo internazionale di donne al Cairo di essere stata aggredita sessualmente durante l’hajj, una donna musulmana egiziana mi ha preso da parte e mi ha avvertita di smettere di parlare di ciò che era accaduto di fronte agli stranieri perché “avrebbe fatto sembrare i musulmani cattivi. “Le ho detto che non ero io, ma gli uomini che mi hanno aggredita a “far sembrare cattivi i musulmani “.
Sabica, molestata durante il tawwaf
Mentre facevo la preghiera intorno alla Kaaba – ha scritto Sabica nel suo post di denuncia – mi sono sentita una mano attorno alla vita. Durante il sesto tawwaf ho sentito qualcosa spingere contro il mio sedere, e mi sono gelata, certa che fosse un atto intenzionale. Qualcuno ha tentato di afferrare e pizzicare il mio fondoschiena. Non potevo scappare, così sono rimasta ferma e mi sono girata il più possibile per vedere cosa stesse succedendo. Mi sono sentita così violata. Sono stata zitta perché sapevo che nessuno si sarebbe fidato delle mie parole.
Visualizza questo post su Instagram#MosqueMeToo: Women are speaking out about sex abuse at Islam's holiest site!
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Mi ha preso la mano stringendola
Cercavo dei souvenirs per la mia famiglia. Ero in compagnia di molte altre donne. E quest’uomo ha cominciato a flirtare e ad afferrarmi la mano, guardandomi dalla testa ai piedi e accarezzandomi. Il tutto a pochi metri dal Nabawi [la Moschea del Profeta, ndr.].
Non ne ho parlato per non giustificare l'islamofobia
Quando ho visitato la Jama Masjid a Delhi l’uomo che prestava abiti alle donne mi ha toccato il seno. Mi ci sono volute diverse ore per scuotermi dall’idea che non fosse vero. Non ne ho parlato con nessuno perché le persone non potessero giustificare in questo modo la loro “islamofobia”.
Capita spesso
Capita spesso che le donne siano molestate durante l’haji. Una donna mi ha detto di essere stata palpeggiata durante il tawwaf, e di aver creduto si fosse trattato di un errore dovuto al fatto che c’era moltissima gente. Invece, quando si è girata ha visto che l’uomo alle sue spalle le sorrideva.
Il disagio di Kauthar
Kauthar Abdulalim, 26 anni, ha deciso di parlare su Facebook usando #MosqueMeToo dopo aver visto centinaia di altre donne fare lo stesso.
Kauthar dice di essere stata molestata quando aveva solo 10 anni, nella città più sacra dell’Islam, La Mecca.
“Nell’hotel in cui alloggiavamo, avevamo una cucina in comune e c’era questo ragazzo in particolare che viveva sul nostro stesso piano – ha raccontato a mobile.abc.net.au – Mi faceva scorrere le mani lungo la schiena dicendo cose davvero insolite che mi mettevano molto, molto a disagio. Non mi sembrava giusto, è stata la cosa più orribile che abbia mai provato”.
Le donne si sentono a disagio ad andare a La Mecca da sole
Alaa Yasin, un’insegnante di 33 anni e madre di tre figli di Liverpool, ha detto a MEE di essere stata vittima di molestie durane l’hajj. Per lei uno dei maggiori problemi è stato non riuscire a capire chi fosse il colpevole, a causa della folla.
“Ero con mio fratello che faceva Tawwaf quando ho sentito qualcuno che mi si spingeva addosso ripetutamente stringendomi. Non era qualcuno che spingeva per via della calca. Ma era così affollato che non potevo dire chi fosse; non potevo accusare nessuno. L’ho detto a mio fratello e da lì ha camminato dietro di me”.
Spesso, anche se non si subiscono vere e proprie molestie, le donne si sentono a disagio nel partecipare all’haji da sole, come ha raccontato Sarah Matar di Boston che non ha subito alcun attacco fisico, ma ricorda di sentirsi a disagio ogni volta che è andata a La Mecca da sola.
“Ricordo di aver sentito gli occhi degli uomini su di me quando sono andata dalla moschea al mio hotel. Mi sentivo come una preda e non mi sentivo affatto al sicuro”.
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