Andare a un concerto con gli amici. Tirare fuori una bandiera o uno striscione dalla tasca. Sventolarla. Quanti di noi hanno compiuto queste azioni almeno una volta nella vita? Di solito, poi torniamo a casa, nel nostro letto, e di quel momento ci restano le foto, che teniamo per noi o postiamo sui social.
A Sarah Hijazi è andata diversamente, anche se lei ha fatto esattamente tutte queste azioni. Ma le sono costate care, le sono costate la vita.
Sarah Hijazi aveva solo 30 anni ed era apertamente lesbica: si è suicidata in Canada, dove viveva con lo status di rifugiata politica. Si è suicidata, ma in realtà è stata uccisa, uccisa dalla legge filoreligiosa egiziana. Quella stessa legge che l’ha portata in carcere per un anno, tra torture e stupri programmatici. Non ce l’ha fatta Sarah Hijazi a vivere in un mondo così crudele, su un pianeta in cui esistono ancora nazioni che mettono al bando le persone come lei, per togliere loro la possibilità di amare.
Le persone come Sarah Hijazi sono infatti perseguite in Egitto, la loro terra natale. Dove l’omosessualità non è considerata un orientamento sessuale, ma una «pratica di depravazione». Come se gay e lesbiche scegliessero per dispetto chi amare e non fossero guidate dai sentimenti, proprio come siamo tutti.
A un anno esatto dalla sua morte, avvenuta il 14 giugno 2020, la comunità LGBTQ+ araba ha deciso di dedicarle il Pride Month.
Sarah ha scritto una nuova storia di lesbiche e queer nel mondo arabo – ha detto il gruppo MENA Lesbian and Queer Women’s Pride Day in un comunicato – Nonostante il dolore e la tristezza che hai lasciato, molti di noi sono usciti allo scoperto come lei e come avrebbe voluto che facessimo.
Anche il nostro contributor, Elia Bonci, ha voluto ricordarla con un post su Instagram, riportando le toccanti parole della sua lettera di addio.
Ai miei fratelli e sorelle, ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. Ai miei amici, l’esperienza è dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi. Al mondo, sei stato davvero crudele! Ma io perdono.
Queste le parole della lettera di Sarah Hijazi, scritte prima di uccidersi per il tormento dei ricordi di quanto subito in carcere. Ne abbiamo parlato in maniera approfondita nell’articolo originale, che segue.
Sarah Hijazi ci guarda ora dalle sue foto social, diffuse ormai praticamente in ogni dove, ed è difficile sostenere il suo sguardo. Sorride, nascondendo dietro al suo volto gli orrori subiti, quegli orrori che l’hanno uccisa lentamente anche ora che era lontana dal pericolo, lontana dall’omofobia.
Sfogliamo insieme la gallery per scoprire la storia di Sarah Hijazi e quella fine che a nessuno dovrebbe essere mai riservata.
La lettera del suicidio
Nell’abbandonare il mondo, Sarah Hijazi ha voluto lasciare alcune parole scritte per coloro che le hanno voluto bene e per spiegare i suoi gesti. Su un foglio, la giovane ha scritto:
Ai miei fratelli e sorelle, ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. Ai miei amici, l’esperienza è dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi. Al mondo, sei stato davvero crudele! Ma io ti perdono.
L’arresto
A settembre 2017, Sarah Hijazi è stata arrestata insieme ad altre 77 persone. È accaduto dopo essere andata a un festival musicale al parco dell’università Al Hazar, dove si sono esibiti Hamed Sinno, Mashrou Leila, i Progetto Notte, tutte band o musicisti della scena musicale Lgbt araba. Durante il concerto, Sarah Hijazi ha tirato fuori una bandiera arcobaleno dalla tasca e l’ha sventolata. Il gesto è stato ripreso da una tv locale e lei è stata identificata e arrestata.
Cosa dice la legge in Egitto
L’omosessualità è perseguita (e gli omosessuali perseguitati) in Egitto. Non si tratta di una novità, perché come scrive il Corsera basta un applauso sbagliato per rischiare 17 anni di prigione. L’omosessualità è ritenuta «pratica d’abituale depravazione» in base a una legge del 1961 e le persecuzioni sessuali sono all’ordine del giorno, tanto che vengono effettuate delle retate periodiche sotto il ponte Qasr, dove le persone Lgbt cercano rapporti occasionali.
Sarah Hijazi in carcere
Il volto di Sarah Hijazi non rivela l’orrore cui è stata sottoposta in un anno di carcere, prima di riuscire a fuggire in Canada, esiliata dall’Egitto, e ottenere lo status di rifugiata grazie agli appelli degli attivisti internazionali. Sarah Hijazi ha subito delle «ispezioni corporali», che le hanno lasciato cicatrici sul corpo (e nel cuore), è stata torturata e stuprata ripetutamente dalla polizia perché apertamente lesbica.
Un dolore incredibile
Il cielo è più dolce della Terra – ha scritto Sarah Hijazi in un post su Facebook tempo fa – E io voglio il cielo, non la Terra!
Cordoglio social
Il volto di Sarah Hijazi è stato ovunque sui social dopo il suo suicidio. Lo scrittore turco Arda Erel ha scritto su Instagram:
Due giorni fa, Sarah Hijazi, femminista e attivista, si è suicidata. Era stata in prigione perché stava difendendo i diritti umani in Egitto, è stata stuprata in prigione e poi è andata in Canada, dove è fuggita. Tuttavia, nel suo viaggio verso la vita, non ha potuto sopportare la sofferenza a causa delle torture e degli abusi che aveva subito e si è suicidata mentre viveva in Canada. Le parole che ha scritto nella lettera di suicidio mi hanno colpito, volevo condividerle con voi…
«Ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. Agli amici:
l’esperienza è stata brutale e sono troppo debole per resistere, perdonatemi. Alla Terra, sei stata così crudele, ma perdono».
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