“Se sei una donna, medico e posti foto in costume non sei professionale?”
Le dottoresse in bikini nel loro tempo libero sono poco professionali. Gli uomini, naturalmente, no. Ecco perché è nato l'hashtag #medbikini contro questo assurdo articolo.
Le dottoresse in bikini nel loro tempo libero sono poco professionali. Gli uomini, naturalmente, no. Ecco perché è nato l'hashtag #medbikini contro questo assurdo articolo.
Siamo sempre alle solite: l’abito fa davvero il monaco? Anche se, in questo caso, si potrebbe parafrasare il famoso detto con “il bikini fa davvero il medico?”.
Perché di questo parliamo: un medico in bikini smette di essere professionale, e diventa meno affidabile rispetto a quando indossa camice e stetoscopio? Secondo uno studio condotto dal Journal of Vascular Surgery sembrerebbe proprio di sì, anche se, come spesso accade, l’incognita “costume da bagno” sembra inficiare solo la reputazione delle dottoresse, e non dei colleghi uomini.
Inspiegabilmente, mentre un uomo non perde la propria autorità anche mentre sfila sulle spiagge con boxer o slip, le donne smettono di colpo di essere considerate professioniste per diventare solo oggetti di commenti come “Da una così sì che mi farei curare!”.
Per arrivare a questa conclusione ( che, visti i tempi, non è poi troppo sorprendente) i ricercatori hanno creato falsi profili social per “studiare” il comportamento online dei medici, esaminando il comportamento di 480 giovani chirurghi vascolari, di cui 235, quasi la metà, ha un account social identificabile pubblicamente su Facebook, Twitter e Instagram. 61 di questi ultimi (il 26%) sono stati etichettati come non professionali. In particolare, a essere tacciate di comportamento “potenzialmente non professionale” sono state le operatrici sanitarie che si sono mostrate in bikini.
Il messaggio finale dell’articolo, in sostanza, è che le giovani chirurghe debbano essere consapevoli del fatto che esporsi pubblicamente le porta a essere considerate meno professionali da colleghi, pazienti e datori di lavoro attuali o futuri.
Peccato che il documento, pubblicato online a dicembre e apparso nel numero di agosto 2020 della rivista, sia stato fortemente criticato, tanto da spingere il Journal of Vascular Surgery a ritirare l’articolo incriminato, porgendo umili scuse.
Tutto è partito da vari tweet di protesta, come questo, della dottoressa Martha Gulati.
An article that judges women as “unprofessional” if they post photos of themselves in a bikini. And this paper gets through peer review. And published. Well we are doctors. Stop the misogyny. We are part of this profession #medbikini #ilooklikeacardiologist #accwic @DBelardoMD pic.twitter.com/oIDdXPat7N
— Dr. Martha Gulati “Masks are the New Black” (@DrMarthaGulati) July 25, 2020
Un articolo che giudica le donne ‘non professionali’ se pubblicano foto di se stesse in bikini. E questo documento è stato visto dai colleghi. E pubblicato. Bene, siamo dottori. Fermate la misoginia. Facciamo parte di questa professione.
Ma i vari post, accompagnati dall’hashtag #medbikini, usato dalle dottoresse per pubblicare le proprie foto in bikini in segno di ribellione, hanno colpito nel segno, portando due degli autori del documento – Jeffrey Sir Syracuse e Thomas Cheng – a scusarsi per l’articolo, e a sospendere (nel caso di Syracuse) il proprio account.
Vorrei scusarmi per l’articolo ‘Prevalenza del contenuto non professionale dei social media tra i giovani chirurghi vascolari’ – si legge nell’ultimo tweet prima della cancellazione dell’account – Il nostro intento era quello di consentire ai chirurghi di essere consapevoli e quindi decidere personalmente cosa mostrare di sé a pazienti e colleghi.
Anche la rivista ha pubblicato un tweet di scuse ufficiali
Editor’s Statement Regarding “Prevalence of unprofessional society media content among young vascular surgeons” pic.twitter.com/JAoFgcRtPx
— J Vascular Surgery (@JVascSurg) July 25, 2020
spiegando che alla base della decisione ci sarebbe la mancata approvazione, da parte dell’Associazione Chirurghi Vascolari, di dare ai ricercatori l’accesso ai database in cui sono stati presi i nomi dei medici coinvolti, ma anche che la decisione segue i feedback negativi conseguenti alla pubblicazione dell’articolo.
Sarà, ma chissà perché la stessa idea di “non professionalità” non è applicata ai medici uomini, che a quanto pare possono beatamente girare in costume (e con alcolici in mano fuori dall’orario di lavoro, altra cosa che, secondo il test, invece lederebbe l’idea di competenza delle dottoresse) senza che a loro sia richiesta alcuna “responsabilità sociale” in particolare, né una certa cura rispetto al proprio comportamento fuori dall’orario di lavoro. L’idea è che ci sia ancora tanta strada da fare.
Come molti di voi probabilmente sapranno, c’è stato un trambusto (e giustamente) sui social media per l’articolo intitolato “Prevalenza dei contenuti dei social media non professionali tra i giovani chirurghi vascolari” pubblicato sul Journal of Vascular Surgery. Sono infuriata per questo articolo. Tre uomini che creano falsi account sui social media per spiare le loro colleghe e ritengono che ciò che è o non è appropriato e professionale sia oltraggioso.
Inoltre, il fatto che questo sia stato pubblicato su una rivista molto acclamata mi fa infuriare. Le conclusioni che hanno tratto sono retrograde, misogine e mettono in evidenza la disuguaglianza nella medicina.
A che punto indossare il bikini mentre ci si gode il proprio tempo libero personale costituisce una mancanza di professionalità? Io, come ogni medico, ho diritto al tempo libero, a rilassarmi, e a farlo senza indossare il camice. Questo mi rende non meno competente, non meno compassionevole e non meno professionale quando sono al lavoro. Inoltre, non ho visto alcun accenno al fatto che i medici maschi a torso nudo siano stati evidenziati come poco professionali.
Il fatto è che non è poco professionale, ma non lo è nemmeno posare per una foto in bikini, tenere un cocktail in spiaggia o vestirsi per Halloween. Sono sconcertata, delusa, ma in qualche modo non mi sorprende. Sembra sempre più evidente che ci sia un soffitto di vetro nella medicina, c’è disuguaglianza, sessismo e questo articolo sottolinea il fatto che non siamo così progressisti come si spera per il 2020.
Quindi lo pubblico e vi imploro di prendere posizione. Di parlare a voce alta quando si vede l’ingiustizia. Per sostenere i vostri colleghi. Siamo tutti umani, lavoriamo molto duramente in condizioni di stress, quindi, invece di diffondere la negatività, di considerare qualcuno non professionale a causa di come sceglie di vestirsi quando non lavora, lavoriamo insieme, diamoci la possibilità di essere migliori e sosteniamo i nostri colleghi piuttosto che deturparli.
Mi è stato chiesto di fare i post #challengeaccepted e #medbikini, quindi perché non fare entrambe le cose? Sono un’assistente medico di chirurgia vascolare. Ho messo in gioco la mia salute ogni giorno durante il COVID-19, durante la gravidanza. Non ho preso pause o tempo libero durante questa pandemia. Non potrei fare nulla di tutto questo senza il sostegno incondizionato delle mie forti e potenti amiche. Sono sempre grata per loro. E sì, mi piace anche indossare il bikini, soprattutto con un pancione.
La foto di me in bikini ti fa prendere meno sul serio di quella di me in camice? Influenzerebbe la tua scelta di me come tuo medico? Vedi, sono la stessa persona, con le stesse qualifiche e la stessa passione per educare e fare la differenza nel mondo, le due foto sono state scattate letteralmente a due settimane di distanza l’una dall’altra. Non dovrei indossare un camice in spiaggia perché la gente mi rispetti e mi prenda sul serio.
Eppure, negli Stati Uniti, uno studio ha valutato 480 giovani chirurghi vascolari per vedere se i loro post sui social media potevano essere etichettati come palesemente poco professionali o potenzialmente poco professionali per un futuro paziente alla ricerca di un medico. Il 68% del campione era costituito da uomini.
Sono giunti alla conclusione che le donne chirurgo non dovrebbero indossare un bikini (ehm, forse dovrei indossare un camice in spiaggia dopo tutto), parlare di questioni controverse (supponiamo che questo significhi che argomenti come la salute femminile devono essere fuori discussione?) e non devono essere sorprese a tenere in mano una bevanda alcolica (scusate ragazzi, mi sembra di fallire su tutti e tre i punti, visto che mi godo un bicchiere di vino nelle occasioni speciali).
Come chirurghi donne, lavoriamo instancabilmente per arrivare a un punto di riconoscimento pari a quello degli uomini nella nostra professione, ed essere sui social media ci dà il dovere di discutere le questioni difficili e controverse del nostro tempo, perché questa è la nostra responsabilità collettiva, non importa in quale campo pratichiamo.
Non fraintendetemi, come medici, abbiamo importanti standard morali e professionali da rispettare. Ma in che modo la scelta che faccio su come vestirmi in vacanza mi rende meno chirurgo rispetto alla mia controparte maschile in costume da bagno? E perché le stesse responsabilità sociali non valgono per gli uomini?
Per fortuna, a causa di una protesta virale, gli autori maschi dello studio hanno ritrattato i loro commenti e si sono scusati. Ma rimane il punto di come è stato permesso loro di fare questo tipo di studio in primo luogo? Stiamo attraversando una pandemia, o non abbiamo davvero niente di meglio da fare che scrivere articoli di opinione a seguito di studi mal costruiti e di parte che fanno vergognare le donne? Oppure è meglio porre fine a questa persistente misoginia e pregiudizio di genere e festeggiare l’un l’altro quando ne abbiamo più bisogno?
Una donna può essere un DOTTORE e può indossare tutto ciò che vuole! La mia amica @theenamelgram ha detto “ciò che indossiamo all’esterno non cambia il fatto che siamo competenti, altamente addestrate e impegnate ad aiutare i nostri pazienti a raggiungere un benessere ottimale”. Sto con le mie colleghe per #medbikini. Grazie a @daniellebelardomd per aver portato la consapevolezza dell’orribile studio pubblicato sulle donne nei social media e nella medicina. Poniamo fine al doppio standard!
Sei sempre stato e sempre sarai più della tua professione. Nessuno è medico per tutto il tempo. Nessuno vive 24 ore con un camice e uno stetoscopio al collo. Soprattutto siamo UMANI. Viviamo fuori dal college, fuori dagli ospedali, fuori dai centri chirurgici.
Da un lato, chiedono medici più empatici e umani… E dall’altro cercano robot senza vita sociale.
Sono io quella in bikini! Sono io quella con la birra in mano! Sono io quella in spiaggia! Quella che vedi alle feste sono io! Quella che vedi al college sono io… Una cosa non fermerà MAI l’altra!
Se pensate che pubblicare questa foto in “bikini” mi squalifichi come professionista, non capite proprio niente.
Indossavo il bikini da molto prima di andare alla scuola di specializzazione per 6 anni per diventare infermiera professionista. Posso davvero salvarti la vita, e sono certificata per farlo.
Sono rimasta molto delusa dalla pubblicazione dell’articolo del Journal of Vascular Surgery sul comportamento dei social network, dove si parla di foto in bikini come antiprofessionali, come se questo misurasse le nostre conoscenze e la nostra professionalità.
La mia foto a sinistra: bikini + bicchiere da bibita.
Questo non mi rende meno capace.
C’è vita al di là della medicina e certamente io ho la mia… Come pure innumerevoli altri medici.
Il pregiudizio contro le donne in medicina deve finire! Possiamo essere quello che vogliamo e avere una vita anche al di fuori della professione.
Se questo mi rende poco professionale, allora forse abbiamo idee diverse su cosa significhi.
Non dimenticate che siamo tutti umani, quando usciamo dall’ufficio. Quello che indossiamo e quello che pubblichiamo sui social media non definisce la vostra opinione sulla nostra professionalità”.
Cosa ne pensi?