Il progetto GenderLens è stato lanciato nel 2018 da Camilla Vivian e Michela Mariotto con lo scopo di trattare il tema della varianza di genere in età evolutiva con un approccio transpositivo. Oggi, GenderLens diventa ufficialmente un’associazione, costituita da genitori di bambin* con disforia di genere, giovani persone trans e loro alleat*.

Lo annuncia su Instagram Kube, agenzia italiana che ha come principale focus l’inclusività, e che così scrive:

L’obiettivo di Genderlens è quello di informare correttamente, di far luce su tutti gli aspetti fondamentali come riconoscere l’unicità di ogni esperienza e persona, di formare e accompagnare le persone trans fin dall’infanzia in modo positivo. Offre, inoltre, un supporto concreto a tutte le famiglie, adolescenti, professionisti ed educatori. È un aiuto sia per i bambin* che hanno bisogno di chiarimenti per l’identità di genere e offre suggerimenti agli adulti su come comportarsi con minori che affrontano questo percorso. L’associazione è attiva su tutto il territorio italiano, ed è proprio l’approccio necessario per tutti i bambin* e ragazz* che serviva da anni.

Queste le parole dei promotori dell’associazione:

Il nostro impegno è quello di riconoscere l’unicità di ogni singola esperienza e di accompagnare le persone trans, anche le più piccole, in modo affermativo e positivo. Siamo euforic* nel darvi questa notizia, e non vediamo l’ora di continuare a fare informazione e formazione sulla complessità del genere.

L’associazione nasce quindi con lo scopo di informare correttamente sui concetti fondamentali che riguardano l’identità di genere e la sua espressione e garantire un supporto concreto a bambin* e giovani persone gender variant, ma anche ai loro genitori, ad educatori e professionisti che vivono questa esperienza di riflesso, perché possano appropriarsi dei giusti strumenti per affrontarla al meglio, soprattutto nell’interesse de* minor*. Come si evince dal seguente post:

La campagna è indirizzata a tutte le persone che hanno figl* gender creative, ma anche a tutt* coloro che semplicemente condividono l’obiettivo di GenderLens: tutelare l’infanzia e l’adolescenza trans e le loro famiglie.

Inoltre, come si legge sul sito dell’associazione:

È importante ricordare però, che ogni bambin* vive la propria identità di genere e la esprime in modo peculiare, secondo il proprio sentire, che sarà necessariamente diverso da quello di qualsiasi altra persona.

Da subito emerge chiaro, dunque, l’impegno dell’associazione a considerare, valorizzare e ascoltare ogni individualità nella sua specificità, nel rispetto del suo sentire e delle sue esigenze. Si tratta di un approccio fondamentale perché, erroneamente a quanto si possa essere portati a pensare, l’identità di genere è un aspetto che si affronta e si fa proprio a partire dall’infanzia, e non solo in età adulta.

Intervenire sin da subito accogliendo le richieste e i bisogni espressi da bambin* con varianza di genere rappresenta un passo essenziale per garantire loro di vivere una vita serena in cui possano sentirsi pienamente se stess*, evitando che il loro percorso venga ostacolato, negato, reso complesso e infinito o considerato “solo una fase”.

A oggi si stima che gli youth trans, ossia bambin* e adolescenti che non si identificano in un genere binario o si identificano in un genere diverso da quello assegnato alla nascita, siano 1,3 milioni nel mondo e di loro solo il 27% riesce a fare coming out. La difficoltà è poi amplificata dal fatto che in questa fase risulta ancora più essenziale il sostegno delle figure che ci circondano.

Trovare un ambiente confortante ed essere circondati da comprensione, affetto e incoraggiamento sono condizioni che ogni persona trans dovrebbe vivere a qualsiasi età, ma poter intervenire ai primi segnali con i giusti mezzi è un aspetto fondamentale che può evitare anni di sofferenze e rinunce, permettendo a ogni persona di vivere ed esprimere se stessa in piena libertà. Non possiamo, infatti, non considerare un fatto centrale: la percentuale di depressione e suicidi nella youth trans è più alta rispetto alla media.

Lo scrittore transgender Stephen Ira pochi giorni dopo il suicidio di una giovane donna trans di 17 anni, Leelah Alcorn, avvenuto il 28 dicembre 2014 a causa della mancanza di sostegno a lei riservata, in primis dai genitori, ha messo in luce un aspetto centrale, rivolgendo questa frase a tutti i genitori in ascolto: “Se non puoi sopportare l’idea di avere un figlio trans, non avere figli”.

La questione ha a che fare con il concetto di “proprietà” dei figli e trascende la sola questione dell’identità di genere, per andare universalmente a toccare qualsiasi tipo di imposizione, rifiuto o intromissione nei confronti dei desideri, le scelte e le espressioni della volontà personale dei figli. Anche l’identità di genere è una di queste, e, come tale, deve poter essere pienamente espressa dalla persona stessa, senza che qualcuno possa avere un maggiore potere su di lei e le sue volontà. A qualsiasi età.

Ma non possiamo non affrontare il ruolo centrale che anche la società dimostra di avere in questo contesto. La nostra cultura è ancora completamente fondata sul binarismo di genere. Dal colore del fiocco di nascita, quella ghettizzazione di due mondi considerati opposti e ben distinti accompagnerà tutta la nostra vita. E lo farà influenzando chi diventeremo, cosa potremo o non potremo fare e cosa potremo o non potremo indossare. Non riconoscersi nel genere assegnato alla nascita in una cultura ancora fortemente fondata sul binarismo, come quella attuale, è una situazione complessa che ogni persona dovrebbe poter fare con naturalezza e libertà. E proprio da questo dovrebbe partire anche la società.

Come? Ad esempio iniziando a normalizzare ciò che ancora viene visto come un’eccezione, uno sbaglio, un qualcosa che forse con il tempo potrà essere corretto. Uno dei primi aspetti che abbiamo a disposizione in questo senso è semplicemente ascoltare quello che ci viene chiesto dalle persone trans: rivolgerci a loro con i nomi e i pronomi che preferiscono, e supportando e considerando normali le loro scelte relative al loro look, al loro vestiario, in un concetto: alla loro espressione di genere.

Anche i media e i vari linguaggi del web e dell’intrattenimento dovrebbe spendersi per favorire più rappresentazioni non binarie perché gli stessi adolescenti e bambin* trans abbiano dei modelli di riferimento con cui identificarsi, trovino la propria identità anche grazie all’ispirazione e all’esempio e si sentano finalmente compres*, capit* e ascoltat*.

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