Il 22 giugno è la Giornata mondiale dei cani in ufficio. La prima a dare l’esempio nel settore pubblico italiano è stata Elisa Serafini. Vi ricordate l’assessore alla Cultura del comune di Genova che aveva sdoganato questo tema? Lei, infatti, portava con sé il suo cagnolino, un barboncino che avrebbe fatto compagnia ad altri quattro animali. “Portare il proprio cane nel posto di lavoro migliora il clima tra colleghi e induce le persone a non correre a casa per portare fuori il cane” aveva detto l’assessore spiegando ai più scettici il motivo di questo provvedimento. Insomma, i cani portano armonia e non sono per nulla fastidiosi sul posto di lavoro.

Ora sono sempre di più le aziende, pubbliche e private, pronte ad accogliere gli amici a quattro zampe dei propri dipendenti poiché considerato un antidoto contro lo stress e tensioni che si accumulano a lavoro. I cani, dunque, porterebbero il buonumore e migliorerebbero la produttività. Un “investimento” a costo zero.

Sono circa 7 milioni i cani in Italia nel 2017 secondo il Rapporto Assalco-Zoomark 2018. Diverse le grandi imprese che negli ultimi anni hanno consentito l’ingresso in ufficio di cani e gatti; ma c’è anche chi concede ai propri dipendenti fino a due settimane di congedo qualora decidano di adottare un cucciolo o addirittura qualcuno si spinge oltre proponendo congedi pagati nel caso in cui l’animale dovesse morire e ore libere per gli appuntamenti dal veterinario. Fino a qualche anno fa questo sarebbe stato impensabile.

Grazie a queste agevolazioni i lavoratori sono più contenti, lavorano meglio in un’atmosfera più rilassata. Anche a Roma si registra un caso di una lavoratrice dell’Università La Sapienza che ha ottenuto la possibilità di assentarsi dal lavoro per due giorni poiché il cane necessitava di un intervento veterinario urgente. Tra i “gravi motivi familiari e personali” che giustificano un’assenza da lavoro sembra esserci anche quella del cane che, stando così le cose, entra a tutti gli effetti nel nucleo familiare.

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