I figli dei becchini non possono studiare? La scuola va nei cimiteri

I becchini indiani avevano bisogno del contributo dei loro figli all'interno dei cimiteri, per questo non li mandavano a scuola: ora, grazie ad un operatore sociale, tra le lapidi si tengono attività scolastiche con lezioni di italiano, francese e spagnolo.

Buone notizie per i figli dei becchini indiani che, finalmente, possono cominciare a studiare. Il merito è di un operatore sociale di Bangalore, Samuel Gladson, che ha inventato un progetto, intitolato “Rupantara”, ovvero “cambiamento”, che ha iniziato a garantire a tutti il diritto all’istruzione, anche a quei bimbi che, inseriti nelle cosiddette famiglie di “grave diggers”, sono costretti a lavorare tutto il giorno, ad aiutare i genitori all’interno dei cimiteri. Un enorme passo in avanti è stato quello di avere una scuola tra le lapidi, come scrive il “Redattore sociale” che ne ha dato notizia. “La città di Bangalore ha oltre 30 comunità di questo tipo e il 90% delle persone che vivono in queste comunità non ha mai frequentato la scuola” ha dichiarato Valentina Calcaterra, ricercatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

L’obbligo scolastico c’è eccome ma sono poche le famiglie che rispettano la legge visto che le “braccia” dei piccoli sono importantissime per dare continuità al lavoro dei genitori-becchini nei cimiteri. Hanno bisogno del loro contributo, nonostante la suddivisione in caste sia stata ufficialmente abolita. Ora, grazie a Gladson, operatore sociale di grande cuore, si tengono attività scolastiche all’interno dei cimiteri con lezioni di italiano, francese e spagnolo ma anche gite nei musei e laboratori creativi.

Le speranze ci sono tutte: a un anno dall’inizio del progetto, sono le parole di una madre a tracciare un bilancio dell’attività svolta fino ad ora, dei traguardi raggiunti. La scuola nei cimiteri per i figli dei becchini sta funzionando e pian piano sta cambiando la loro mentalità. “Non abbiamo mai mandato i nostri figli a scuola ma, dopo l’esperienza fatta con questi volontari, abbiamo capito che anche loro possono studiare. Faccio questo lavoro da cinque generazioni e non voglio che i miei figli finiscano come noi ha raccontato una donna. Segno che il cambiamento è già in atto.

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