Me ne innamorai. È molto complicato per me parlarne. Sicuramente non si trattò dei sentimenti classici con cui siamo abituati a fare i conti nel corso della vita. No. Il mio sentimento era altro e più profondo, non prevedeva una condizione di vita quotidiana, il bisogno di vivere l’amore momento per momento. Ero innamorata della sua anima, della sua passione, della sua battaglia, che capivo essere più importante di tutto il resto.

Sapevo di non poter condividere con lui un cinema o una gita in barca, pur desiderandolo, ma non ero gelosa della sua sfera privata, né poteva vacillare la mia. Temevo che quel sentimento potesse travolgermi. E così in effetti sarebbe stato, perché lo hanno ucciso“.

Le parole sono di Ilda Boccassini, contenute nel suo nuovo libro, La stanza numero 30 (Feltrinelli), in uscita oggi e che racconta una carriera incredibile, quella di “Ilda la rossa”, capace di sovvertire pregiudizi di genere nel mondo della magistratura italiana, generalmente poco incline ad apprezzare e a riconoscere la professionalità delle donne.

La stanza numero 30. Cronache di una vita

La stanza numero 30. Cronache di una vita

La carriera straordinaria della magistrata Ilda Boccassini raccontata senza filtri dalla sua viva voce, dall'arrivo alla Procura di Milano, nel 1979, al lavoro con Falcone fino al dramma terribile della morte del giudice nella strage di Capaci, passando per il processo a Berlusconi, fino al pensionamento, nel 2019. Tutto raccontato attraverso gli occhi di una donna libera e più forte dei pregiudizi.
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È una rivelazione che stupisce e colpisce in pieno petto, quella di Boccassini, che con Falcone collaborò soprattutto agli albori, poco dopo essere arrivata in procura a Milano, in quella stanza numero 30, per occuparsi delle infiltrazioni della mafia nell’Italia settentrionale, l’inchiesta denominata Duomo Connection.

La passione e la devozione per l’amico e collega la portarono, dopo la morte sua e di Paolo Borsellino, a chiedere di essere trasferita a Caltanissetta, dove fino al 1994 cercò i colpevoli delle stragi di Capaci e di via D’Amelio (e ci riuscì, assieme a un pool di magistrati che lavorarono alacremente ai casi).

Il resto è storia, storia di grandi successi professionali e di cause ormai già entrate a far parte della storia contemporanea italiana, dal maxi processo Mani pulite che, di fatto, pose fine alla Prima Repubblica fino al recente caso Ruby; tutto fino al pensionamento, arrivato nel 2019 dopo quarant’anni di splendido lavoro.

Ma fra i ricordi più cari di Ilda Boccassini restano proprio quelle giornate trascorse con Falcone; come quella passata al mare all’Addaura, nell’estate del 1990, quando lui, racconta, la invitò a tuffarsi e lei pensò alla messa in piega appena fatta.

Pensieri da donna che non mi fermarono e lo raggiunsi. Giovanni prima mi prese la mano, poi la lasciò e cominciammo a nuotare verso l’ignoto.

A Falcone “piacevano molto i miei riccioli. Quante volte mi ha detto che i miei occhi ‘erano bellissimi’“. E poi c’è un viaggio in Argentina, nel giugno del ’91, per interrogare il boss Gaetano Fidanzati.

Avevo anche un walkman con una cassetta di Gianna Nannini, che ho imposto a Giovanni per tutta la durata del viaggio. Alcune canzoni mi facevano pensare alla nostra storia e le ascoltai più volte, per ore, stringendomi a lui. In top class non c’erano altri passeggeri, eravamo soli in quel lusso rilassante, la nostra intimità disturbata solo dall’arrivo delle hostess. Rimanemmo abbracciati per ore, direi tutta la notte, parlando, ascoltando Gianna Nannini e dedicandoci di tanto in tanto ad alcuni dettagli dell’interrogatorio e ai possibili sviluppi dell’indagine. Che notte…

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