#ilgiustomezzo: il Recovery Fund è un ombrello che non copre le donne

Servono politiche mirate per le donne, in ambito lavorativo ma non solo. E questo può essere fatto destinando parte delle risorse del Recovery Fund a queste tematiche, come chiede l'organizzazione Il Giusto Mezzo.

L’Italia chiede a gran voce da tempo il Recovery Fund, ovvero i fondi europei necessari alla ripresa economica dopo il grave danno causato dalla pandemia di Covid nel 2020; parliamo di uno strumento fondamentale per salvare le aziende la cui attività è stata compromessa in maniera grave dal lockdown, che però, almeno nel nostro Paese, sembra escludere le donne.

Tra disparità salariale, strumenti zoppicanti e inadeguati per la maternità (ricordiamo che il congedo di paternità è stato da poco portato da 7 a 10 giorni, mentre in Spagna, ad esempio, dal 1° gennaio 2021 è equiparato a quello materno, e portato quindi a 16 settimane), scarsa attenzione all’imprenditoria femminile, il quadro che si delinea in Italia è davvero desolante.

Se a questo aggiungiamo che le proposte riguardanti l’abbassamento della tampon tax e un implemento delle misure a sostegno delle vittime di violenza di genere sono state tutte bocciate e non inserite nella legge di bilancio 2021, appare ancor più evidente come le donne abbiano tutt’oggi bisogno di far sentire la propria voce per essere ascoltate.

Per questo un gruppo di donne attive nel mondo del lavoro e con competenze diversificate ha dato vita all’organizzazione Il Giusto Mezzo, che chiede proprio di investire almeno parte delle risorse del Recovery Fund per intensificare la presenza femminile nei gruppi decisionali, aiutare le mamme lavoratrici e riportare le competenze femminili all’interno del mercato del lavoro, sia attraverso politiche fiscali che di servizi alla persona.

Di fronte alla cecità delle istituzioni rispetto al “problema” femminile, il Giusto Mezzo ha scritto una lettera, indirizzata al Presidente del Consiglio, a ministri e ministre, proprio per gettare una luce nuova, e indispensabile, sul tema, e chiedere attenzione in tre settori chiave per il futuro: servizi di cura della persona, occupazione femminile e disparità di genere.

I problemi delle donne sono tanti, e non riguardano solo loro, ma lo sviluppo sano ed equo di tutti – si legge nella lettera – Su alcune priorità si può raccogliere una convergenza generale d’interesse, di tutte in primis, e di tutti, società, politica, attori individuali o collettivi. In particolare, su tre problemi “chiave”, osserviamo una nuova attenzione anche da parte del governo:

  1. L’allargamento dell’offerta sulla cura della prima infanzia, dei bambini (nidi e tempo pieno) e della cura familiare in generale (anziani e non autosufficienti) anche con una spinta alla condivisione, pensando a un vincolo di spesa percentuale (sia sulla spesa ordinaria che su fondi UE o sul Recovery Fund) a tal fine per le Regioni e i Comuni “inadempienti”, che hanno percentuali minime di offerta di tali servizi.
  2. Il rilancio dell’occupazione femminile (anche riprendendo ipotesi di supporto fiscale: in questo modo, si favorisce l’ingresso delle donne sul mercato del lavoro)
  3. Il gender pay gap, perché la disparità salariale tra uomini e donne non è solo una questione femminile, ma allontana l’intero paese da un efficiente utilizzo delle risorse con le quali creare benessere per l’intera popolazione.

La necessità, si legge, è quella di agire con politiche strutturali e integrate, che coinvolgano l’intero territorio nazionale e che, soprattutto, interessino le persone dall’età zero fino all’anzianità. Unitamente a questa lettera, che può essere firmata sul sito dell’organizzazione, insieme ad altre associazioni (fra cui Base Italia, Campagna Donne per la salvezza – Half of it, Community Donne 4.0, GammaDonna, Rete per la parità e Se non ora quando) il Giusto Mezzo ha espressamente chiesto di destinare il 50% del Recovery Fund alle donne, e che la task force per la governance dei fondi di Next Generation Eu sia composta per metà da donne, snocciolando dati che delineano ulteriormente la situazione di crisi in cui versa il mondo del lavoro al femminile.

Conosciamo tutte e tutti i numeri della crisi che ha colpito soprattutto le donne. Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d’Europa: una media del 50,1% con disparità regionali che vanno dal 60,4% della Lombardia al 29,8% della Sicilia. Il bilancio del Covid19 sul mercato del lavoro, ancora del tutto parziale, vede tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo dello scorso anno 470 mila occupate in meno: un calo del 4,7%. Nella breve ripresa estiva il lavoro recuperato è stato più maschile che femminile. L’impatto della crisi su assistenza all’infanzia, commercio, turismo, ristorazione, i servizi in cui lavorano moltissime le donne, è durissimo. Crisi e lockdown hanno gravato sul già complesso equilibrio casa-lavoro delle italiane, perché lo smart working e la chiusura totale o parziale delle scuole, delle attività sportive e ricreative, rappresentano un carico senza precedenti. E le donne sono tante anche fra i lavoratori che non si sono mai fermati durante la pandemia: salute, largo consumo, assistenza. E troppe sono anche rimaste a casa chiuse con i loro aguzzini, come dimostrano i dati del 1522, il numero antiviolenza e antistalking. 

Nell’ambito delle iniziative volte a porre l’accento sulla situazione lavorativa delle donne italiane esistono altre iniziative collaterali, come quella promossa da Mamma di Merda, Influenza un politico, nel contesto della campagna #noncisiamo, frutto dello stato di abbandono cui sono stati relegati i bambini dopo la fine del lockdown e della quarantena.

Fino a questo momento l’appello del Giusto Mezzo, che prende le mosse dall’iniziativa Half Of it promossa dall’europarlamentare tedesca Alexandra Geese, ha raggiunto e superato le 50mila firme, anche grazie al flash mob organizzato il 23 gennaio a Roma, Torino, Palermo e Milano, sotto l’hashtag #noncibasta.

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