Imane Khelif, la pugile con il testosterone alto alle Olimpiadi tra transfobia e fake news

La pugile algerina, che sfiderà l'italiana Angela Carini, è finita nel mirino di fake news transfobiche a causa dei livelli di testosterone troppo alti, accettati però dal CIO.

Alle Olimpiadi in corso a Parigi sta facendo molto discutere la figura della pugile Imane Khelif, algerina classe 1999, cui il pubblico italiano sta guardando con particolare interesse, visto che all’ora di pranzo, in giornata odierna, all’Arena Paris Nord, sfiderà l’azzurra Angela Carini nella categoria +66 kg.

Khelif è stata esclusa dal Campionato del Mondo lo scorso anno – come lei la taiwanese Lin Yu-Ting – a causa di un livello di testosterone troppo alto, eppure è stata ammessa sia ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020 (disputatisi nel 2021) che a quegli attuali. Questo perché non esiste un’uniformità di giudizio nell’analisi delle differenze dello sviluppo sessuale e ogni organizzazione può, di conseguenza, stabilire regole proprie: nel caso del CIO la soglia massima di testosterone fissata è a 10 nmol/L, motivo per cui a Khelif è stato dato il permesso di prendere parte alla competizione.

Secondo i documenti depositati al CIO l’atleta algerina non ha cambiato sesso, quindi non è corretto definirla transgender, ma ha differenze dello sviluppo sessuale; una condizione che può avere molteplici cause, dall’irsutismo alla sindrome dell’ovaio policistico, fino all’iperplasia surrenalica congenita.

La sua squalifica ai Campionati mondiali femminili di Nuova Delhi, a poche ore dal suo incontro valido per la medaglia d’oro, è dipesa, come detto, dal fatto che la federazione internazionale di boxe IBA consideri livelli di testosterone molto più bassi. Ma, visto che per problemi di governance e vari scandali sugli arbitraggi, l’IBA non è più tenuta a organizzare le competizioni di pugilato alle Olimpiadi, è stato il Comitato Olimpico ad assumersi la piena responsabilità del torneo, certificando che Khelif “rispetta l’idoneità e le regole di ammissione alla competizione, nonché tutte le norme mediche applicabili”.

Lo ha ribadito anche il portavoce CIO Mark Adams: “Sono donne nel loro sport e abbiamo stabilito che si tratta di donne. Si tratta di atlete che hanno boxato da sempre con le donne e che rispettano tutte le regole di ammissibilità previste da questi Giochi”.

Ciò non è però stato sufficiente a fermare il dilagare di fake news e bufale sul suo conto, cosa che peraltro capita spesso, quando si tratta della questione degli/lle atleti/e transgender, come abbiamo visto, in tempi molto recenti, anche con la falsa notizia delle nuotatrici che indossano costumi con la scritta “Non a Dude”, proprio per protestare contro la presenza di sportivi/e trans all’interno del circuito olimpico, ripresa e commentata anche dall’ex senatore leghista Pillon.

In particolare, in vista della gara con l’italiana Carini, persino il mondo politico nostrano si è scomodato, chiedendo, come ha fatto il deputato leghista Rossano Sasso, un’informativa urgente al ministro dello Sport Andrea Abodi “su quello che potrebbe succedere alle Olimpiadi: la nostra pugile Angela Carini dovrà competere e salire sul ring con un’’atleta nata uomo oggi donna”; ministro che, a sua volta, in merito alla questione ha dichiarato:

Trovo poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi. Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Per Angela Carini non sarà così. Quello delle atlete e degli atleti transgender è un tema che va ricondotto alla categoria del rispetto in tutte le sue forme, ma dobbiamo distinguere la pratica sportiva dall’agonismo che deve poter consentire di competere ad armi pari, in piena sicurezza.

È del tutto evidente che la dimensione dell’identità di genere in ambito agonistico pone il problema delle pari opportunità o delle stesse opportunità – ha proseguito Abodi – non a caso, tante discipline sportive hanno posto dei vincoli per le atlete e atleti transgender necessari per poter permettere di gareggiare alle stesse condizioni. In questo caso assistiamo a un’interpretazione del concetto di inclusività che non tiene conto di fattori primari e irrinunciabili.

La deputata di Fratelli d’Italia, Maria Grazia Frijia, ha invece dichiarato che “Non è possibile che nel nome dell’inclusività si calpestino i diritti delle donne alle quali viene negata la possibilità di gareggiare in un contesto di parità di condizioni”.

Anche il vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha esternato il proprio disappunto, via social.

Ma la notizia della partecipazione di Imane Khelif alle Olimpiadi di Parigi ’24 ha avuto una notevole eco anche all’estero, rinvigorendo la polemica anche fra chi, come la scrittrice J.K. Rowling, da tempo sta portando avanti una personale battaglia contro le persone transgender.

“Cosa ci vorrà per porre fine a questa follia? – ha scritto in un tweet l’autrice inglese – Una pugile donna rimasta con ferite che le hanno cambiato la vita? Una pugile donna uccisa?”.

Nel caso di Imane Khelif la bufala riguardante la sua sessualità risale al 2023 ed è stata propagata e fomentata sui social dell’estrema destra spagnola; nata il 2 maggio del 1999 a Tiaret, Khelif ha gareggiato fin da piccola nella categoria femminile, inserita in pianta stabile nella sua Nazionale dai campionato del mondo del 2018. A Tokyo è stata sconfitta ai quarti dall’irlandese Kellie Harrington.

Chi è Imane Khelif

Nata il 2 maggio del 1999, a Tiaret, Imane ha iniziato fin da piccola a gareggiare con atlete di sesso femminile. Nel 2018, la prima partecipazione a un Campionato del Mondo, nel quale si è classificata al 17esimo posto. Da quel momento, è stabilmente nel gruppo della sua Nazionale. Ha partecipato anche ai giochi di Tokyo tre anni fa, sconfitta dall’irlandese Kellie Harrington nei quarti di finale.

La sua storia ricorda da vicino quella della velocista Caster Semenya, due volte campionessa olimpica degli 800 metri, esclusa da alcune competizioni sportive per il rifiuto ad assumere farmaci che riducessero il suo alto livello di testosterone, causato da una disfunzione genetica che le causa l’iperandroginia.

Semenya si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell0uomo nel febbraio 2021 intentando una causa contro la corte suprema svizzera, e nel 2023 la sentenza ha stabilito che l’atleta fosse stata discriminata. Al tempo sulla questione si era espressa la bioeticista Alice Dreger, nota per il lavoro su intersessualità e genderidentità, spiegando: “Non c’è un unico e semplice modo di essere maschi o femmine. Lo sport lo richiede, ma alla biologia non importa. La biologia non si adatta ordinatamente a categorie semplici, e così fanno questi test. E una delle ragioni per cui ho criticato questi test è che molte volte non ti dicono chiaramente come li condurranno e perché li stanno usando”.

Dreger, nella sua argomentazione, ha aggiunto che non capisce perché si trovi perfettamente normale avere atleti/e più alti/e di altri/e ma puntare il dito su chi ha livelli di androgeni troppo alti.

“Quando gli uomini sono più talentuosi di altri, è un’espressione della bellezza dello sport. Ma quando le donne sovrastano le altre, spesso emergono sospetti sull’idoneità e discussioni sulla parità della competizione. I funzionari sportivi devono vedersela con un dilemma impossibile: una divisione sessuale imposta socialmente nel dominio sportivo (che permette a metà della popolazione mondiale di avere una possibilità di vincere) senza un modo chiaro e oggettivo per disegnare la linea di separazione tra maschio e femmina”.

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