Il 31 maggio del 1886 una maestra elementare, Italia Donati, si tolse la vita gettandosi nella gora di un mulino dopo essere stata “insidiata nell’onore”, come scrisse all’epoca il Corriere della Sera.

Il triste fatto avvenne a Porciano, un piccolo comune toscano in mezzo alla campagna. Proprio per via della zona remota in cui avvenne il suicidio, si credeva che il caso sarebbe rimasto nell’ombra. Fu il  Corriere della Sera a farlo diventare di interesse nazionale, raccontando i tristi avvenimenti che condussero Donati a compiere l’estremo gesto e portando quindi all’attenzione di tutti (per la prima volta) la difficile situazione delle donne nel mondo del lavoro.

Italia Donati nacque a Cintolese, in Toscana, nel 1863. La sua famiglia versava in una difficile situazione economica, ma il talento innato di Donati per lo studio e la sua acuta intelligenza la portarono a proseguire gli studi, dietro consigli dei suoi stessi maestri. Nel 1883 riuscì a diventare maestra a sua volta (un grande onore, dal momento che erano pochi gli sbocchi professionali disponibili per le donne istruite dell’epoca), ma l’iniziale entusiasmo per il posto ottenuto si trasformò presto in disperazione.

Donati fu infatti costretta a lasciare il suo paese d’origine e trasferirsi a Porciano, dove subì le molestie del sindaco del paese, Raffaello Torrigiani, abituato a sfruttare il proprio potere per molestare indisturbato le giovani maestre. Al tempo, infatti, era il sindaco a regolare la carriera degli insegnanti e, per questo, manteneva uno stretto controllo su di loro.

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Sistematasi in una delle abitazioni rese disponibili dal sindaco, Donati dovette subire ogni genere di molestie da parte dell’uomo, che lei respinse sempre con forza. Nonostante questo, ben presto la comunità iniziò a non vederla di buon occhio, dal momento che lo stesso Torrigiani metteva in giro voci false sul suo conto.

Nel 1884 venne recapitata a un magistrato di Pistoia una lettera anonima in cui si dichiarava che Donati aveva abortito illegalmente con l’aiuto del sindaco. La lettera spinse Torrigiani a dimettersi dal proprio incarico, ma a subire le conseguenze peggiori fu Donati.

In paese, infatti, le voci contro di lei si fecero sempre più insistenti e crudeli e, sebbene lei stessa si fosse offerta di sottoporsi a un esame per dimostrare la sua verginità, non venne mai ascoltata. Chiese allora di essere trasferita in un’altra scuola della zona, ma anche lì dovette fare i conti con le maldicenze della gente, che la perseguitavano ogni giorno.

La sera del 31 maggio 1886 Italia Donati decise di suicidarsi. Lasciò un biglietto d’addio ai genitori in cui rivendicò ancora una volta la sua innocenza e totale estraneità alle accuse infamanti sul suo conto. Poi si recò presso un mulino nelle vicinanze di un fiume, fermò la sottana con delle spille (per evitare di essere ritrovata con le gambe scoperte, allora motivo di vergogna) e si buttò in acqua. Dopo il ritrovamento del suo cadavere, fu sottoposta ad autopsia e questa rivelò che era morta vergine.

Sulla sua tomba fu sistemata un’elegante lapide di pietra nera, pagata dal Corriere della Sera, e il suo nome fu stampato in lettere dorate.

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