Il suicidio di Jamel, 9 anni: “Aveva detto ai compagni di essere gay”

Jamel, 9 anni, muore suicida dopo aver detto ai compagni di scuola di essere gay. Oggi la mamma chiede maggiore responsabilità per i bulli e le loro famiglie: "I bambini sanno di sbagliare, i genitori sanno di educare i loro figli alla discriminazione".

Sappiamo quanto i giudizi, la non accettazione e lo stigma sociale possano schiacciare sotto un peso soffocante le anime più fragili, quelle che dagli altri si aspetterebbero solo comprensione e invece si ritrovano al centro di scherni, umiliazioni e discriminazione. Così è successo a Leelah Alcorn, morta suicida perché rifiutata dalla sua stessa famiglia in quanto trans, così è accaduto anche a Jamel Myles, che ha scelto per sé lo stesso, tragico epilogo, ponendo fine alla sua vita per essersi sentito non accettato e deriso da quelle persone a cui pure, nella più totale sincerità, aveva deciso di aprirsi.

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Solo che Jamel aveva 9 anni, era appena un bambino che, nonostante la giovane età, aveva trovato la consapevolezza della propria persona, e poi la forza e il coraggio, per dichiarare pubblicamente di essere omosessuale. Lo aveva confidato alla mamma, Leila Pierce, solo poche settimane prima di prendere questa estrema decisione, per cui oggi proprio quest’ultima incolpa gli episodi di bullismo di cui il figlio è stato vittima alla Joe Shoemaker Elementary School, la scuola in cui era rientrato solo lunedì 20 agosto.

Sembrava così spaventato quando me lo ha detto – ha raccontato Leila al Daily Mail, in riferimento al coming out di Jamel – È stato qualcosa tipo ‘Mamma, sono gay’. All’inizio ho pensato che stesse giocando, quindi ho guardato indietro perché stavo guidando, e lui se ne stava tutto raggomitolato, così spaventato. Così gli ho detto ‘Io ti amo sempre’.

Leila ha però aggiunto che suo figlio aveva espresso l’intenzione di comunicare la sua omosessualità anche ai compagni di scuola, perché aveva imparato ad accettare se stesso, e anche di iniziare a vestirsi in modo più femminile.

È andato a scuola dicendomi che avrebbe detto alla gente che è gay perché era fiero di se stesso.

Purtroppo, solo quattro giorni dopo la ripresa delle lezioni Leila ha invece trovato il suo bambino, morto suicida in casa.

Sono bastati solo quattro giorni a scuola – ha detto a KDVR Leila – Posso solo immaginare cosa gli hanno detto.

Il mio bambino si è ucciso. Non se lo meritava. Voleva rendere tutti felici, anche quando lui non lo era. Lo rivoglio indietro.

Leila ha poi aggiunto:

Sono così sconvolta al pensiero che James abbia pensato che questa fosse la sua sola via d’uscita. Ha detto a mia figlia maggiore che i bambini a scuola gli avevano detto di uccidersi. Sono rattristata dal fatto che lui non ne abbia voluto parlare con me.

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Un rapporto del coroner, pubblicato lunedì 27 agosto, tre giorni dopo la morte di Jamel, ha confermato il suicidio, e adesso il dipartimento di polizia di Denver ha avviato delle indagini, mentre i funzionari della Denver Public School hanno inviato una lettera ai genitori dei bambini che frequentano quell’istituto nella giornata di venerdì, per informarli della tragica morte del loro studente.

“È sempre difficile quando un bambino prende la sua vita – ha affermato, molto laconicamente, il portavoce del DPS, Will Jones, al Denver Post, riferendo di avere a disposizione un team di consulenti sul post, nel caso qualcuno avesse bisogno di rivolgere domande o semplicemente di confidarsi.

Tutto ciò, naturalmente, non è però sufficiente per mamma Leila, che ha detto:

Sono morta dentro. Era bello. Lui era magico. Ho perso il mio più grande dono.

La donna ha anche chiesto che i bulli siano maggiormente “responsabilizzati”, ovvero che i loro atti non siano lasciati impuniti, poiché in grado di portare a conseguenze drammatiche, come nel caso di suo figlio.

Penso che il bambino dovrebbe essere ritenuto responsabile, perché sa che tutto questo è sbagliato. Il bambino non vorrebbe che qualcuno lo facesse a lui. Penso che il genitore dovrebbe essere ritenuto responsabile perché ovviamente sono i genitori che stanno insegnando ai figli a comportarsi in quel modo, o che li stanno trattando in quel modo.

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