La storia di Simone Camilli, giornalista italiano ucciso a Gaza nel 2014

Chi era Simone Camilli? Un uomo, un giornalista, un professionista morto a Gaza mentre faceva il suo lavoro, raccontare la guerra e ciò che non si vede, una vita in prima linea che merita di essere ricordata

Ci sono storie che vale la pena raccontare, persone che meritano di essere ricordate per chi erano e per quello che facevano. Come Simone Camilli, un giornalista, producer e videoreporter al servizio di diverse agenzie internazionali, che all’età di 35 anni per colpa della deflagrazione di un ordigno, morì a Gaza mentre faceva il suo lavoro. Ma chi era Simone Camilli e perché vale la pena riportare alla memoria la sua vita (o farla conoscere per chi non la conoscesse)?

Chi era Simone Camilli

Perché questo giovane uomo e giornalista italiano è uno dei tanti che, animato dalla passione, dalla professionalità e dal desiderio ardente di raccontare cosa accade davvero nel Mondo, ha perso la vita proprio nel tentativo di farlo. Una morta avvenuta il 13 agosto del 2014, durante una tregua tra Hamas e Israele, ma che per lui fu fatale.

Nato il 28 marzo 1979 a Roma, Simone Camilli era figlio di Pierluigi Camilli, ex conduttore del Tg1 ed ex vicedirettore vicario del Tgr Rai, direttore delle testate giornalistiche della Scuola di giornalismo Suor Orsola Benincasa di Napoli e che, in quegli anni, era sindaco di Pitigliano (in provincia di Grosseto).

Nel 2006 Simone conseguì la laurea in Scienze storico-religiose, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, iniziando subito a collaborare con varie testate.

La carriera giornalistica

La prima, fu l’agenzia di stampa cattolica Asia News, presso la sede di Roma dell’AP, con la quale coprì, con il suo team, la notizia della morte di Papa Giovanni Paolo II, nell’aprile del 2005. Sempre Camilli, documentò le elezioni presidenziali in Francia nel 2007, le celebrazioni avvenute in occasione della Dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008, la Seconda guerra in Ossezia del Sud sempre nel 2008 e perfino il Naufragio nel 2012 della Costa Concordia avvenuto all’Isola del Giglio.

Nel 2006, però, iniziò a collaborare anche con l’Associated Press (AP), con cui lavorò prima a Roma e poi a Gerusalemme, nella sede di corrispondenza, seguendo diversi scenari di guerra, di vari conflitti israelo-palestinesi, agli scontri tra le principali fazioni palestinesi Fatah e Hamas, dalla Seconda Guerra del Libano all’avanzata di ISIS in Iraq. E fino a documentare i tre interventi militari Israeliani contro la Striscia di Gaza che avvennero tra il 2008 e il 2014: Operazione “Cast Lead”, “Pillar of Defence”, “Protective Edge”, raccontando anche l’emergenza dei profughi e le condizioni dei civili.

Com’è morto Simone, il giovane giornalista italiano in prima linea a Gaza

Una vita dedicata al giornalismo e a documentare ciò che avveniva nei territori di guerra. E fu proprio mentre lavorava che perse la vita. Spinto dal desiderio autentico di mettere in luce e testimoniare il dramma umano vissuto dai civili durante le guerre, decise di tornare a Gaza nell’agosto del 2014, a un mese dall’inizio del conflitto. Il 13 agosto 2014, infatti, Simone Camilli si trovava a Beut Lahia, con l’intento di raccontare attraverso la sua fotocamera le condizioni di vita drammatiche dei civili, soprattutto dei bambini, soggetti verso cui le organizzazioni internazionali avevano la maggior parte delle preoccupazioni.

Durante un giorno considerato di tregua nella Striscia di Gaza, in cui come oggi erano in corso le operazioni militari portate avanti dalle Forze di Difesa Israeliane contro Hamas e altri gruppi che controllavano la zona, Simone decise di raccontare e documentare le difficili e pericolose operazioni di rimozione degli ordigni inesplosi, che si trovavano poco distante da un campo di calcio frequentato da bambini locali. E fu proprio a causa di un’esplosione durante la disattivazione di un missile israeliano che Simone, insieme ad altre cinque persone, perse la vita.

Una vita di passione, dedizione e di verità

Una storia che proprio durante questi mesi terribili di guerra e in cui le stesse zone sono devastate dalle bombe e da crimini indicibili è importante ricordare. Simone, infatti, faceva “solamente” il suo lavoro. Un lavoro, quello del reporter in zone di guerra, che è una vocazione, un mestiere che si sceglie abbracciandone anche i rischi. Perché mossi dalla passione, dal desiderio di raccontare come stanno le cose, e di cambiarle.

Un amico di israeliani e palestinesi, che non faceva distinzioni, ma che stava con tutti quelli che soffrono e subiscono ingiustizie, come lo ha descritto il padre dopo la notizia della sua morte. Un brav’uomo e un ottimo e attento professionista, che tanto ha dato per il giornalismo e per documentare quello che troppo spesso non viene fatto vedere.

Una vita passata in prima fila, per dare dignità e verità a chi vive nelle zone devastate dalla guerra. Conflitti che, ieri come oggi, seguono gli interessi di pochi ai danni di troppi, di chi non c’entra nulla, incapace di difendersi e impossibilitato di decidere, anche per la propria vita. Un uomo che ha lavorato per dare voce e volto a chi non può farlo da solo e che, come tanti altri giornalisti che hanno perso la vita durante i conflitti nel Mondo, non si può far altro che omaggiare e ringraziare per ciò che ci ha mostrato e per come lo ha fatto fino alla fine.

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