Una bambina costruisce il suo castello di sabbia in pace quando un bambino all’improvviso la spinge a terra urlandole “puzzi come la pupa del cane e sei una stupida come la pupa del cane. Tu sei una pupù”. La mamma, sperando di confortare la figlia in lacrime, le spiega in tono cospiratorio: “Sai perché quel ragazzino ha fatto quelle cose e ha detto quelle cose? È perché gli piaci!”

“Ed è fatta”, dice la voce fuori campo. “È così che iniziano i nostri problemi. Siamo tutte incoraggiate, no, programmate a credere che se un uomo si comporta come un perfetto str**zo vuol dire che gli piacciamo”.

I primi minuti di quella che è stata (e in molti casi ancora è) una commedia amatissima potrebbero far pensare che siamo di fronte a un’analisi leggera ma sagace di come la mascolinità tossica sia alimentata a livello sociale, evidenziando i modi in cui fin da bambine le donne siano portate a giustificare comportamenti violenti mentre vengono convinte che l’attenzione maschile sia un premio e un obiettivo così importante da doverci far accettare quei comportamenti. Non fatevi ingannare: non è così. La verità è che non gli piaci abbastanza, anzi, replica stereotipi e tematiche sessisti e dinamiche relazionali tossiche.

Il film, uscito nel 2009, è ispirato all’omonimo libro scritto cinque anni prima da Greg Behrendt e Liz Tuccillo, già sceneggiatori di Sex and The City. Il primo germoglio dell’idea è visibile proprio nella serie ormai cult, in particolare nella puntata Il silenzio è d’oro, la sesta della stagione 4. Berger, allora fidanzato di Carrie, replica a una Miranda che racconta come il suo ultimo appuntamento sia finito con la promessa di una telefonata, He’s just not that into you”, la verità è che non gli piaci abbastanza.

Una frase semplice ma epifanica, liberatoria. Potente. Una frase che diventa un mezzo di empowerment per Miranda e per le milioni di donne che hanno visto quella puntata, letto il libro bestseller del 2004 o il film che racconta le storie di alcune donne di Baltimora e dei loro problemi nel conquistare o mantenere il Vero Amore. Per anni, la pellicola è stata considerata progressista e “dalla parte delle donne”. Cosa rende, invece, La verità è che non gli piaci abbastanza un film sessista e, per molti aspetti, tossico?

Teniamo da parte l’eteronormatività bianca e bellissima di tutti i protagonisti (mentre le persone non bianche e non eterosessuali si muovono e parlano per stereotipi) e iniziamo dal Bechdel Test. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un “metodo” per valutare se un film (ma anche un libro o una serie tv) è sessista valutando se risponde ai tre criteri citati dalla protagonista di un fumetto della disegnatrice Alison Bechdel:

Vado a vedere un film solo se soddisfa tre requisiti fondamentali: (1) deve contenere almeno due donne che (2) parlano tra loro di (3) di qualcosa che non sia un uomo.

Di donne ce ne sono molte in questo film, interpretate da attrici di talento come Jennifer Aniston, Scarlett Johansson, Drew Barrymore, Ginnifer Goodwin e Jennifer Connelly. Parlare tra loro, parlano. Ma di cosa? Uomini, sempre e solo uomini. Nelle oltre due ore di film, le loro conversazioni girano solo intorno a come conquistare, compiacere o tenersi un uomo.

Concentrate unicamente sulla loro vita sentimentale, le protagoniste del film sono rappresentate come disperatamente incomplete senza un uomo, bisognose, deboli, supersexy sfasciafamiglie o, semplicemente, pazze.

Nei 129 minuti di film scoprono alternativamente che devono smettere di credere di poter cambiare uomini terribili, o che devono smettere di illudersi pensando che i ragazzi disinteressati siano interessati a loro, che le relazioni sono complicate e non ci sono regole rigide e veloci. Mai una volta il film suggerisce che gli uomini dovrebbero imparare a trattare bene le donne.

Del resto, gli uomini – imbroglioni, insensibili, senza tatto e fobici dell’impegno – seguono La regola:se ti tratta come se non gliene fregasse un ca**o, è perché non gliene frega un ca**o”. Una verità incontrovertibile – non importa quale sia il Teorema di Ferradini – che dovremmo tutti tenere a mente ogni volta che frequentiamo qualcuno. Peccato che il film, dopo averla enunciata così chiaramente, passi l’ora successiva a smentirla.

Gli uomini, in fondo, sono creature bidimensionali:

Non esistono uomini spaventati, confusi, disillusi. Non esistono uomini tragicamente segnati dalle passate esperienze, bisognosi d’aiuto, bisognosi di tempo. Gli uomini si dividono in due categorie soltanto: quelli che ti vogliono e quelli che non ti vogliono. Tutto il resto è una scusa.

“E Tu, tu Donna, di mestiere fai l’avvocato, la commessa, la cameriera, l’insegnante, la casalinga, la commercialista, la modella, la ragioniera, l’attrice, la studentessa. Non la crocerossina”. Amen. Di nuovo, peccato che a questa fondamentale regola che tutte noi dovremmo ricordarci, segue il monito

Quindi… aspetta che sia lui a chiederti di uscire. Perché va bene la parità dei sessi, le quote rosa, e l’eguaglianza dei diritti, ma i tempi non sono poi così cambiati. Gli uomini restano pur sempre dei cavernicoli, sia pure incravattati, e come tali adorano il sapore della conquista.

E tanti saluti a “Impara a scegliere, invece che essere scelta”.

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