Quando si parla di violenza tra genitori e figli si è immediatamente portati a pensare ad abusi, punizioni corporali o maltrattamenti fisici, psicologici ed emotivi dei primi nei confronti dei secondi. Eppure, la violenza reiterata dei figli nei confronti dei genitori – anche detta parental abuse o violenza filio-parentale – è un fenomeno che, sebbene ancora sottostimato, sta assumendo dimensioni preoccupanti, non solo nel nostro paese ma a livello globale.

Di parental abuse si parla poco, molto spesso per denunciare l’aumento della pedofobia giustificandolo con la paura degli adulti nei confronti dei figli violenti. Ma di cosa si tratta davvero? La violenza da figlio a genitore, spiega Aileen Hickie, CEO di Parentline, la linea di assistenza irlandese per genitori,

copre una moltitudine di comportamenti tra cui rabbia, aggressività, abusi fisici, abusi verbali, abusi emotivi, danni alla proprietà, rifiuto della scuola e comportamenti di manipolazione e controllo. Nella sua essenza lascia i genitori timorosi del proprio figlio.

Si tratta di un fenomeno molto spesso negato dalle stesse vittime, non solo per proteggere i propri figli, ma anche per il senso di vergogna che ciò stia accadendo nella propria casa e per il fatto che questa violenza sia «perpetrata dal loro bambino, che amano incondizionatamente».

Per questo motivo è difficile trovare dati ufficiali. La violenza dei figli nei confronti dei genitori è il problema più comune tra chi chiama Parentline, ha dichiarato l’associazione a Irish Times: circa il 42% delle oltre 6.000 chiamate gestite dai volontari lo scorso anno, infatti, riguardava la rabbia e l’aggressività dei bambini dirette ai loro genitori.

Tutte le statistiche, però, concordano su un aspetto: è un fenomeno in crescita. Secondo uno studio, negli Stati Uniti l’incidenza sarebbe tra il 14 e il 20 per cento, un dato che salirebbe addirittura al 64 per cento considerando gli abusi psicologici. Una situazione simile si registra in Spagna, dove già dal 2006 è attivo un Centro di intervento e formazione in violenza filio-parentale.

Anche per l’Italia non ci sono stime ufficiali: secondo la Cassazione

il figlio che pone in essere comportamenti violenti, sia fisici che verbali, con la volontà di vessare i propri familiari, facendoli vivere in uno stato di terrore, commette il reato di maltrattamenti in famiglia, se convivente con gli stessi.

Il criminologo Alessandro Rudelli, autore assieme a Raffaelle Bianchetti di Esperienze di giustizia minorile nei procedimenti amministrativi con i figli maltrattanti, ha sottolineato che tra il 2014 e il 2017 c’è stato un aumento del 56 per cento delle denunce a carico di minori in ambito familiare.

Non si tratta – o almeno non solo – di violenze maturate in contesti problematici da parte di ragazzi con psicopatologie conclamate o problemi di tossicodipendenza, anzi. Come spiega la psicologa e psicoterapeuta Virginia Suigo, autrice del saggio Figli Violenti, i ragazzi che abusano dei genitori sono quasi sempre «adolescenti insospettabili, ex bambini molto sereni, che però crescendo, riversano in famiglia tensioni e conflitti di cui all’esterno non lasciano trasparire nulla».

A essere maggiormente esposte al rischio di violenze sono le madri, ha spiegato la psicologa a Il Venerdì di Repubblica:

Le famiglie mononucleari, composte da madre e figlio maschio, sembrano particolarmente esposte. E le vittime sono comunque più spesso le donne, tanto che qualcuno preferisce parlare di violenza filio-materna. “n genere sono madri che incarnano un modello di femminilità sacrificale, poco autorevoli, e del tutto votate alla missione materna. O comunque, genitori iper-responsabili, attenti, amorevoli, tiranneggiati da figli cresciuti nell’assunto che tutto sia loro dovuto. A volte si tratta di adolescenti ai quali è mancata la possibilità di sperimentare la separazione e l’indipendenza emotiva. Dietro alle pretese e alle richieste di risarcimento, i ragazzi raccontano una difficoltà a crescere.

Ma come reagire? Innanzi tutto, rompendo l’omertà, in modo da rompere anche il tabù che circonda la violenza parentale impedendo di riconoscere il fenomeno nella sua portata effettiva e di arginarlo con gli strumenti adatti e strategie di intervento mirate.

Parentline, ad esempio, ha introdotto nella formazione dei volontari il programma Non Violent Resistance (NVR), che mira ad aiutare i genitori a fermare i modelli ricorrenti di comportamento che degenerano in violenza.

L’obiettivo di questi interventi è disinnescare la violenza, impedendo “l’escalation” che, dicono Haim Omer e Uri Weinblatt, autori di La resistenza non violenta : guida per i genitori di adolescenti che presentano dei comportamenti violenti o autodistruttivi, è di due tipi

  • L’escalation reciproca (dove l’ostilità della risposta dei genitori ai comportamenti aggressivi del figlio – attraverso rimproveri, grida, minacce e punizioni – induce ulteriore ostilità).
  • L’escalation complementare (dove la sottomissione dei genitori fa crescere le richieste del giovane)

La resistenza non violenta, quindi, è

una serie di attività che portano il messaggio “Non sono più d’accordo di continuare così e farò di tutto per cambiare questa situazione, accetto attaccarti fisicamente o verbalmente”.

La resistenza non- violenta è caratterizzata dai seguenti principi:

  • Una posizione ferma di fronte a delle pretese importanti e la volontà di agire con determinazione per evitare gli atteggiamenti distruttivi del giovane.

  • Il rifiuto totale del ricorso alla violenza fisica o verbale come le percosse, le ingiurie, le minacce e le accuse.

  • La resistenza non-violenta dà ai genitori una base morale e pratica per affermare la loro presenza e sorvegliare gli atti del figlio; indebolisce l’”escalation”, ovvero l’impedisce del tutto.

 

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