L’arte del pizzaiolo napoletano diventa Patrimonio dell’Umanità, così come stabilito dal Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco che si è riunito sull’isola di Jeju in Corea del Sud valutando positivamente la candidatura dell’Italia. Una grande vittoria per il nostro Paese che può contare già su 58 beni tutelati dall’Unesco: in nove si trovano proprio in Campania, adesso sancita come la terra della pizza. Ad assistere alla proclamazione erano presenti sia l’Ambasciatore Vincenza Lomonaco, rappresentante d’Italia presso l’Unesco sia Alfonso Pecoraro Scanio, già Ministro delle Politiche Agricole e dell’Ambiente e promotore della World Petition #pizzaUnesco.

La petizione #pizzaUnesco ha ottenuto ben 2 milioni di sottoscrizioni in tutto il mondo sostenendo, di fatto, la candidatura italiana all’Unesco. E, alla fine, l’ha spuntata: “È la riaffermazione di una tradizione storica che per il nostro Paese rappresenta da secoli un vero elemento d’unione culturale. L’arte del pizzaiuolo napoletano è un patrimonio di conoscenze artigianali uniche tramandato di padre in figlio, elemento identitario della cultura e del popolo partenopeo che ancora oggi opera in stretta continuità con la tradizione” ha dichiarato Alfonso Pecoraro Scanio, come riportato dall’agenzia di stampa Agi.

Un grande riconoscimento per Napoli e per l’Italia. Un’idea che nasce nel 2014 quando Pecoraro Scanio lancia una petizione su Change.org conquistando in pochi anni il sostegno di diverse personalità della cultura, dello spettacolo, dello sport, della politica e anche della società civile e superando l’obiettivo dei 2 milioni di sostenitori in tutto il mondo. Più di 100 i paesi che hanno sostenuto “l’arte del pizzaiuolo napoletano” come Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco.

La pizza napoletana, tra l’altro, è differente da quella italiana poiché viene prodotta con lievitazione naturale, lavorazione dell’impasto a mano, un cornicione spesso e ovviamente una cottura rigorosamente nel forno a legna. Quella italiana, invece, varia da regione a regione e può prevedere lavorazioni differenti. Non c’è una regola precisa o una preparazione standard.

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