In 30 anni "è cambiato QUASI tutto". Non la legge sulla cittadinanza. È un problema

La legge sulla cittadinanza compie 30 anni. Molte cose sono cambiate da allora, ma non la legge stessa, che oggi preclude la possibilità di essere italiani/e a oltre 1 milione e mezzo di ragazzi e ragazze.

Il 5 febbraio del 1992 veniva promulgata la legge 91 che regolava il diritto alla cittadinanza italiana. I punti salienti di quel provvedimento sono sostanzialmente questi:

Ai sensi di tale legge, acquistano di diritto alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani (L. 91/1992, articolo 1, comma 1, lettera a): si tratta della così detta modalità di acquisizione della cittadinanza jure sanguinis.

[…] La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazione (da parte del padre o della madre che siano cittadini italiani), oppure a seguito dell’accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione: l’acquisto della cittadinanza nelle due ipotesi illustrate è automatico per i figli minorenni (art. 2, co. 1); i figli maggiorenni invece conservano la propria cittadinanza, ma possono eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un’apposita dichiarazione da rendere entro un anno dal riconoscimento, o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione, o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero nel caso in cui l’accertamento della filiazione sia avvenuto all’estero (art. 2, co. 2).

Sono previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana: la cittadinanza italiana può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un’espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso di almeno uno di questi requisiti:

  • abbiano svolto effettivamente e integralmente il servizio militare nelle Forze armate italiane: in questo caso la volontà del soggetto interessato di acquisire la cittadinanza italiana deve essere espressa preventivamente (art. 4, co. 1, lett. a). Il regolamento di attuazione della L. 91/1992 chiarisce che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, si considera che abbia prestato effettivamente servizio militare chi abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze armate italiane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare (ad es. il servizio civile), a condizione che queste siano interamente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore riconosciute dalle autorità competenti (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. b).
  • assumano un pubblico impiego alle dipendenze, anche all’estero, dello Stato italiano (art. 4, co. 1, lett. b);
  • risiedano legalmente in Italia da almeno due anni al momento del raggiungimento della maggiore età; la volontà di conseguire la cittadinanza italiana deve essere manifestata con una dichiarazione entro l’anno successivo (art. 4, co. 1, lett. c).

Per l’acquisto della cittadinanza italiana, viene considerato legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica (DPR 572/1993, art. 1, co. 2, lett. a).

Lo straniero che sia nato in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, co. 2).

Il criterio dello jus soli, che è primario, ad esempio, in Francia, in Italia è residuale e limitato a tre casi:

  • coloro che nascono nel territorio italiano e i cui genitori siano da considerarsi o ignoti (dal punto di vista giuridico) o apolidi (cioè privi di qualsiasi cittadinanza) (art. 1, co. 1, lett. b);
  • coloro che nascono nel territorio italiano e che non possono acquistare la cittadinanza dei genitori in quanto la legge dello Stato di origine dei genitori esclude che il figlio nato all’estero possa acquisire la loro cittadinanza (art. 1, co. 1, lett. b);
  • i figli di ignoti che vengono trovati (a seguito di abbandono) nel territorio italiano e per i quali non può essere dimostrato, da parte di qualunque soggetto interessato, il possesso di un’altra cittadinanza (art. 1, co. 2).

Nel 2022 la legge sulla cittadinanza compie 30 anni, e la notizia è che, in questi decenni, nulla è cambiato nei criteri per l’attribuzione della cittadinanza, benché la composizione di quest’ultima, rispetto al 1992, sia ampiamente diversa. Lo testimoniano i dati, come quelli riportati in un comunicato stampa dal Centro Studi e Ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico): il numero dei cittadini italiani naturalizzati che vivono nel Paese era pari a 286 mila al Censimento del 2001, oltre il doppio, 671 mila, a quello successivo (2011), e più di cinque volte tanti nel 2020, con oltre un milione e mezzo.

E oggi sarebbero potenzialmente più di 860 mila gli stranieri, residenti su tutto il territorio nazionale, ad avere diritto di accesso alla cittadinanza italiana, se questa fosse estesa, in modo retroattivo, a tutti i nati in Italia, che nel 95% dei casi sono bambini e ragazzi con meno di 18 anni. A riprova della sempre maggiore presenza sul territorio, basti pensare che nelle scuole due studenti su tre sono nati in Italia (il 65,4%), e che nel periodo compreso tra il 2012 e il 2020 le nascite di bambini stranieri in Italia sono state 630 mila, di cui 60 mila solo nell’ultima, rappresentando di fatto un settimo di tutti i nuovi nati (il 14,8%).

Per questo IDOS sta portando avanti la campagna Dalla parte giusta della storia, per dimostrare come la legge 91/1992 ancora in vigore penalizzi il milione e mezzo di persone potenzialmente italiane.

A sostenere la riforma della legge sulla cittadinanza Afroveronesi, Arising Africans, Black Lives Matter Bologna, QuestaèRoma, Festival Divercity, Sonrisas Andinas, Collettivo Ujamaa, Rete degli studenti medi, Unione degli Studenti (UDS), Unione degli Universitari (UDU), Link, Rete della conoscenza, ActionAid Italia, Rete Saltamuri, Restiamo Umani Brescia, Volare e decine di attiviste e attivisti di nuove generazioni di tutta Italia, che hanno lanciato, a partire proprio dal 5 febbraio, la challenge digitale #ècambiatoQUASItutto.

Per prendere parte all’iniziativa è sufficiente pubblicare sui propri social – post o stories – una foto relativa al 1992, vostra, dei genitori, o di qualunque cosa di cui vogliate parlare, sottolineando cosa sia cambiato in 30 anni,  inserendo gli hashtag #ècambiatoQUASItutto #5febbraio #cittadinanza #1992 #cittadinanza #riformacittadinanza #sanremo2022 #fantasanremo #30annidicittadinanza #italiadimmidisì e taggando @dallapartegiustadellastoria (su Instagram e Facebook) o @cittadinanza21 (su Twitter).

Attivisti e attiviste però non si fermano qui: c’è in programma l’invio di una memoria alla Commissione Affari Costituzionali e ai partiti per chiedere una nuova legge entro la fine della legislatura.

Vogliamo che sia l’ultimo compleanno di questa legge ingiusta – sono le parole di Ada Ugo Abara, presidentessa di Arising Africans – Nelle settimane scorse, anche io, come la legge, ho compiuto 30 anni. Attorno a noi cambia tutto, tranne questa legge. Per questo abbiamo lanciato la challenge #ècambiatoQUASItutto con cui invitiamo tutte le persone a postare una propria foto del ‘92 e raccontare cosa è cambiato da allora.
Non ci accontentiamo delle promesse di questi anni: dopo il naufragio del ddl Zan ci aspettiamo che gli esponenti politici come Brescia e Letta, che sostengono di avere a cuore la riforma, non perdano l’ultima occasione di fare avanzare i diritti sociali e civili in questa legislatura.

Le fa eco Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS:

Soprattutto in una fase storica come quella attuale, in cui l’Italia ha un urgente bisogno di rilancio sociale, civile, economico e culturale è grave dover constatare che un ricco e fresco potenziale innovativo, come quello che saprebbero esprimere, anche in preziosa chiave transnazionale, le nuove generazioni, se solo venissero riconosciute nella pienezza dei loro diritti di cittadinanza, venga ancora mortificato e
tenuto ai margini da una legge antiquata, nata già vecchia. Una legge che in ben 30 anni nessuna legislatura ha avuto la dignità e il coraggio di riformare, perseguendo un immobilismo politico tanto più colpevole quanto più non cessa di venire alimentato, per un verso, da vuoti schemi ideologici e, per altro verso, da pavidi opportunismi elettorali”.

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