In che misura gli stereotipi di genere sono presenti nel linguaggio di bambine, bambini e adolescenti? Quanto sono importanti le parole che usiamo, come le decliniamo per iniziare a combattere il sessismo e la violenza che ne deriva? Tanto, perché è dal linguaggio e da come lo esercitiamo, che inizia il cammino per abbattere stereotipi, pregiudizi e discriminazioni. Solo se mettiamo al bando quelle parole, apparentemente innocue, ma che in realtà nascondono una cultura patriarcale, misogina e omofoba, possiamo riuscirci

La pensa così anche WeWorld, un’organizzazione italiana indipendente impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi, anche in Italia. In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, l’ente lancia “Parole di parità – Come contrastare il sessismo nel linguaggio per abbattere gli stereotipi di genere”, un sondaggio sull’uso sessista del linguaggio tra bambini, bambine e adolescenti. Oltre ai dati su come i giovanissimi usano le parole, non certo entusiasmanti, anche raccomandazioni utili a contrastare violenza verbale e sessismo, partendo proprio dalle parole che utilizziamo tutti i giorni e delle proposte concrete a livello istituzionale.

I dati del sondaggio: il maschile universale è l’espressione più usata

Tra gli adolescenti, nel linguaggio quotidiano, il maschile sembra essere universale, anche se usato più dai machi (43%) che dalle femmine (29%): più di un intervistato/a su tre dice “Ciao a tutti” anche in presenza di un gruppo a maggioranza femminile.

Poco meno di due intervistati/e su 10 declinano sempre le professioni al femminile; il 26% dei maschi non declina mai le professioni al femminile, contro l’8% delle femmine.

Nell’immaginario collettivo delle nuove generazioni, sono ancora molto presenti gli stereotipi di genere in casa e famiglia: il 14% dei maschi pensa che un uomo che si prende cura di casa e figli/e sia un mammo; un intervistato/a su 5 definisce “donna con le palle” una donna forte e capace nel suo lavoro.

In generale, per definire le donne, bambine e ragazze hanno usato aggettivi caratterizzanti come forza, coraggio, intraprendenza, responsabilità e intelligenza. Nelle fasce d’età più piccole, è frequente l’associazione con la figura della madre, della famiglia e la cura della casa. Mentre tra le ragazze più grandi, sono emerse temi che parlano di diritti, lavoro o emancipazione.

Tra i bambini e i ragazzi, invece, l’associazione mamma, madre, casalinga, è più trasversale, essendo presente in più fasce d’età. I capelli lunghi sono quasi sempre il tratto distintivo che distingue le femmine dai maschi, e sono presenti anche forme di sessismo benevolo, con espressioni come donne “da proteggere”, o “multitasking”.

Gli uomini, invece, vengono descritti da bambine e ragazze con termini associati al mondo del lavoro, alla prestanza fisica, lo sport e la forza. Tante anche le caratteristiche negative: sono bugiardi, arroganti, e spesso associati all’aggressività.

Quasi un intervistato/a su 5 (18%) dichiara di non parlare mai di temi legati alla parità di genere a scuola, specie negli istituti primari nessuno degli intervistati/e afferma di affrontare questi temi spesso o sempre.

Le raccomandazioni di WeWorld per un linguaggio non sessista: cosa fare

Per educare alla parità di genere e all’inclusione (anche) attraverso il linguaggio, WeWorld fa sue le raccomandazioni su uso non sessista della lingua italiana, scritte da Alma Sabatini:

  • Evitare l’uso delle parole “uomo” e” uomini” in modo universale, cioè per riferirsi all’intero genere umano, e adottare espressioni più inclusive come “persona o persone”.
  • Evitare, nelle coppie uomo/donna, di dare sempre la precedenza alla forma maschile rispetto a quella femminile: per esempio, anziché “uomini e donne” o “fratelli e sorelle”, sarebbe preferibile invertire l’ordine e parlare di “donne e uomini” e “sorelle e fratelli”.
  • Evitare di usare il participio passato maschile per riferirsi a un insieme di nomi di prevalente genere femminile. In questo caso, la forma più inclusiva declina l’aggettivo secondo il genere maggioritario: per esempio, anziché “Carla, Maria, Francesca e Matteo sono arrivati”, sarebbe più corretto dire “arrivate” in quanto ci si riferisce a tre donne e un uomo.
  • Evitare di riferirsi alla donna usando solo il nome proprio e all’uomo usando nome e cognome.
  • Evitare di usare il maschile per professioni, mestieri e cariche quando la forma femminile esiste: per esempio, sarebbe preferibile parlare di “amministratrice” anziché “amministratore”, di “segretaria generale” anziché “segretario generale”, di “consigliera comunale” anziché “consigliere”, eccetera.
  • Evitare di usare la forma maschile o il suffisso -essa per cariche e professioni per cui esiste la regolare forma femminile o la forma con suffisso in -a (ad esempio, “senatrice”, “notaia”, “scrittrice”, “rettrice”, “redattrice”, “avvocata”, “deputata”, “magistrata”, “prefetta”).
  • Evitare di usare nomi epiceni (cioè che hanno stessa valenza al maschile e al femminile) al maschile o con articoli maschili. Meglio, per esempio, dire “la parlamentare” anziché “il parlamentare” (o il parlamentare donna), “la preside” anziché “il preside”, “la presidente” anziché “la presidentessa” o “il presidente”, “la leader” anziché “il leader”.

“La violenza di genere assume forme subdole, insinuandosi in comportamenti apparentemente innocui e in stereotipi inconsapevoli, anche nelle parole”, commenta Martina Albini, centro studi di WeWorld, che aggiunge:

Proprio per questo, promuovere l’uso di un linguaggio non sessista è un passo fondamentale nel percorso di demolizione degli stereotipi di genere di stampo culturale. In questo processo, il linguaggio è uno strumento prezioso: si tratta di uno dei mezzi più semplici e immediati che abbiamo per fare la differenza. (…) Per raggiungere questo obiettivo, non basta l’iniziativa individuale e dei singoli, per quanto importante, ma un coinvolgimento politico, sociale, a tutti i livelli, dalla scuola alla famiglia, ai media, che possono svolgere un ruolo fondamentale nell’abbattere gli stereotipi del linguaggio.

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