Strage di Piazza Loggia: quando la bomba esplose a Brescia

47 anni fa la strage di Piazza della Loggia, a Brescia, una delle pagine più nere della cronaca del nostro Paese. Ci sono voluti 40 anni, e tre processi, per avere i nomi dei colpevoli dell'attentato che costò la vita a 8 persone e ne ferì 102.

Alle 10:12 di 47 anni fa, il 28 maggio 1974, un boato sconquassò la centralissima Piazza della Loggia, a Brescia: una bomba, che uccise otto persone e ne ferì altre 102. Si era nel pieno periodo degli anni di piombo in Italia, delle stragi politiche, per lo più di estrema destra, che cominciarono con piazza Fontana, a Milano, nel 1969, e terminarono con l’attentato alla stazione di Bologna, il più grave atto terroristico compiuto nel nostro Paese, che costò la vita a 80 persone.

Nel mezzo il caso controverso di Giuseppe Pinelli, la morte di Aldo Moro e una tensione politica, tra gruppi estremisti di ambo i versanti politici, che non risparmiò violenze e sangue in tutta la penisola.

A Brescia, quella mattina, l’ordigno era stata piazzato in un cestino portarifiuti, che venne fatto esplodere mentre era in corso una manifestazione proprio contro il terrorismo fascista.

Le indagini per risalire ai colpevoli di quella strage furono lunghe e complesse; la paternità fu rivendicata dai gruppi neofascisti Ordine nero e Anno zero-Ordine nuovo, anche perché il giorno prima del fatto un messaggio proveniente da Ordine nero-Gruppo Anno zero-Briexien Gau era stato fatto arrivare ai quotidiani di Brescia, annunciando proprio degli attentati contro gli esercizi pubblici in ricordo della morte di un giovane bresciano militante in formazioni extraparlamentari di estrema destra, Silvio Ferrari, ucciso qualche giorno prima dalla scoppio di una bomba trasportata sulla sua Vespa.

La morte del ragazzo aveva suscitato in tutta la città reazioni, ma allo stesso tempo i ripetuti attentati rivolti a scuole e sedi di partiti di sinistra e organizzazioni sindacali avevano convalidato l’opinione generale che la città fosse al centro di una manovra eversiva che intendeva contrastare un’evoluzione in senso progressista. Per questo, sindacalisti e antifascisti avevano indetto la manifestazione in Piazza della Loggia, una delle piazze principali della città.

Dopo anni di indagini, e tre processi, solo con il terzo processo, cominciato nel 2008 e terminato solo nel 2017, vennero finalmente individuati come colpevoli Maurizio Tramonte, ritenuto l’esecutore materiale della strage, nonché la “fonte Tritone”, l’informatore dei Servizi Segreti, Carlo Digilio – addetto agli esplosivi – e Marcello Soffiati – traportatore dell’ordigno – entrambi già detenuti. Tutti appartenevano a Ordine Nuovo; il mandante è invece stato individuato in Carlo Maria Maggi, condannato in appello. Furono assolti tutti gli altri imputati, Delfo Zorzi, il generale Francesco Delfino e l’ex segretario del MSI e fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo, Pino Rauti.

Tre processi, i depistaggi e i servizi segreti: tanti ostacoli per arrivare alla verità

L’epilogo della prima istruttoria portò, nel 1979, alla condanna di alcuni esponenti di estrema destra, uno dei quali, Ermanno Buzzi, fu strangolato in carcere nel 1981 dai neofascisti Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, confermate poi dalla Suprema Corte di Cassazione tre anni più tardi.

Ma le rivelazioni di alcuni pentiti portarono all’apertura di un secondo filone di indagini, nell’84, portando anche in questo caso all’assoluzione in primo grado degli imputati, per insufficienza di prove, e al loro proscioglimento con formula piena nell’89.

Nel tempo, intanto, si era però fatta largo l’ipotesi di un coinvolgimento dei servizi segreti, basata anche su una serie di strane coincidenza avvenute dopo la strage: ad esempio, l’ordine del vicequestore Aniello Damare di ripulire completamente il luogo dell’esplosione a sole due ore dall’attentato, spazzando via anche indizi e tracce di esplosivo prima ancora che chiunque potesse effettuare dei rilievi. Poi la scomparsa dei reperti prelevati dai corpi di feriti e cadaveri. Infine, una perizia antropologica più recente effettuata dalla Procura di Brescia su una foto proverebbe la presenza di Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore dei servizi segreti, sul luogo della strage.

Sul finire degli anni ’80 ci furono poi tentativi di depistaggio, tra cui quello che avrebbe ventilato l’ipotesi di un’improbabile pista cubana, e la fuga in Argentina di un testimone che avrebbe dovuto essere interrogato di lì a poco.

La terza istruttoria si apre nel 2005, ma è solo il 21 ottobre 2010 che i pubblici ministeri titolari dell’inchiesta formulano l’accusa di concorso in strage per tutti gli imputati, sei, ad eccezione di Pino Rauti, per cui era stata richiesta l’assoluzione per non aver commesso il fatto, pur sottolineando la sua responsabilità morale e politica nella strage. A novembre dello stesso anno la Corte d’Assise assolve tutti gli imputati per insufficienza di prove, sentenza confermata il 14 aprile 2012 dalla Corte d’Assise d’Appello, indicando però la responsabilità di tre ordinovisti ormai morti, Carlo Digilio, Ermanno Buzzi e Marcello Soffiati.

È la Corte di Cassazione a ribaltare la sentenza, il 21 febbraio 2014, annullando le assoluzioni di Maggi e Tramonte, per cui viene istruito un nuovo processo che, il 22 luglio 2015, li condanna, in appello, all’ergastolo.

Lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale porta ad affermare che anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze di cui ha parlato Vinciguerra [ex ordinovista che si è assunto la responsabilità della Strage di Peteano ndr], individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità.

Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultraottantenne e un non più giovane informatore dei servizi, a sedere oggi, a distanza di 41 anni dalla strage sul banco degli imputati, mentre altri, parimente responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe.

Si legge nella sentenza del 10 agosto 2016. Un anno dopo, il 20 giugno, la Cassazione conferma l’ergastolo in via definitiva a entrambi. Tramonte, dopo la condanna, ha cercato rifugio in Portogallo, ma è stato estradato in Italia.

Le vittime

Come detto, la manifestazione contro il terrorismo antifascista era stata indetta dal Comitato Antifascista con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, di Adelio Terraroli del PCI e del segretario della Camera del Lavoro, Gianni Panella. Quando la bomba esplose tre persone morirono sul colpo, altre tre durante il trasporto in ospedale e due dopo ore di agonia per le gravissime ferite riportate. Questi sono i loro nomi e i loro volti.

1. Giulietta Banzi Banzoli

Fonte: Brescia Today

34, insegnante di francese, Giulietta era soprannominata “la rossa”. I suoi ragazzi la ricordavano così:

Ci dava del lei, non il tu sprezzante di altri professori. Lo faceva per rimarcare il suo rispetto, e non si stancava mai di parlare con noi. Poi, nel corso della lezione, quando ci infervoravamo, finiva sempre col darci del tu.

Quella mattina si trovava accanto a Luigi Pinto. A lei oggi è dedicato il liceo scientifico di Lecce.

2. Livia Bottardi in Milani

Fonte: archiviocgilbrescia.it

Anche lei insegnante, di lettere, alle scuole medie, di 32 anni, nel 1972 era entrata a far parte dell’AIED (Associazione Italiana di Educazione Demografica), prestando volontariamente servizio di supporto e dialogo per le donne che si avvicinavano a percorsi di educazione demografica. Il suo impegno politico era notevole: preparò il congresso Cgil scuola, stese con il marito Manlio la conferenza di Spriano sulle lotte operaie, e andò in piazza a Brescia per contrastare quella che definiva la “pioggia fascista”.

3. Alberto Trebeschi

Fonte: Armati

37 anni, Alberto era un insegnante di fisica. Politicamente aveva abbracciato prima il Partito radicale, poi, nel 1964, il PCI, che abbandonò e a cui ritornò solo nel 1970. Nei primi giorni del novembre 1967 sposò Clementina, “Clem”, Calzari, e nel 1972 ebbe il figlio Giorgio. Insieme a Clementina e a Livia Bottardi fu tra i fondatori del Sindacato scuola CGIL.

4. Clementina Calzari Trebeschi

Fonte: andreagaddini.it

Brillante studentessa, durante gli studi universitari si era mantenuta facendo l’educatrice in un educando femminile e, il 17 Febbraio 1965 si era laureata in Materie Letterarie. Nel 1964 vinse il concorso da insegnante, mentre stava ancora frequentando l’Università; nel 1973 entrò di ruolo all’Istituto Magistrale “V. Gambara”, dopo aver vinto anche il concorso di insegnante per le superiori.

5. Euplo Natali

Fonte: memoria.san.beniculturali.it

Era nato ad Ancona, per trasferirsi a Brescia a 18 anni. Durante la Resistenza, aveva operato nei Gruppi di Azione Partigiana e nel dopoguerra era diventato amministratore, fino al 1948, della sezione del PCI. Dopo la pensione si era impegnato con i compagni del Pci di Urago.

6. Luigi Pinto

Fonte: Corriere sezione Brescia

Insegnante di origini foggiane, morì quattro giorni dopo l’esplosione per le gravissime ferite riportate. Era un militante della CGIL scuola. Aveva 25 anni.

7. Bartolomeo Talenti

Fonte: Corriere sezione Brescia

In gioventù era stato un promettente calciatore, con ingaggi anche come ala destra dal Mantova, che all’epoca giocava in serie C. Dopo aver finito la carriera a Brescia sposò Giorgina Battaglia con la quale ebbe due figli, Paolo e Ugo. Durante un periodo di difficoltà economica si iscrisse alla FLM. Il 28 Maggio 1974 si trovava a Brescia per una casualità, visto che doveva controllare la sua situazione contributiva all’INPS, e decise di unirsi ai manifestanti in quanto democratico e antifascista.

8. Vittorio Zambarda

Fonte: vallesabbianews.it

Da giovane aveva trovato un lavoro in una trattoria di Salò molto frequentata da fascisti e nazisti, e si mise nei guai quando asportò il serbatoio di benzina di un’auto delle SS. Nel 1943 nascose il fratello Giovanni che rifiutò di arruolarsi, mentre lui non fu chiamato al servizio militare per motivi di salute. Dopo la liberazione si iscrisse al PCI.

Andato in pensione il 26 Maggio 1974, due giorni dopo si era recato a Brescia per perfezionare la pratica di pensionamento, trovando gli uffici chiusi a causa della manifestazione antifascista. Dopo essere rimasto ferito nell’esplosione, venne ricoverato in ospedale, dove morirà giorni dopo per le lesioni riportate.

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