C’è una grande ferita, nel cuore di Luca Tommassini, confessata in esclusiva a Vanity Fair in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Il coreografo, che nella sua carriera ha lavorato coi più grandi, da Madonna a Geri Halliwell, ha raccontato di un’infanzia passata ad assistere alla violenza paterna nei confronti di sua madre, e talvolta anche di lui.

La violenza, a casa nostra, era un fatto quotidiano – le sue dolorose parole – Sono stato cresciuto a schiaffi e pugni. Quando non mi maltrattava, mio padre mi ignorava. Non mi ha mai chiamato per nome, e ancora adesso, ogni volta che qualcuno lo fa, io mi emoziono. Ma quello che ho patito di più è stata la violenza sulla mia mamma. Ho assistito agli abusi per ogni singolo giorno, per diversi anni, prima di cominciare a reagire.

Quella che Tommassini racconta è una storia di violenza economica, psicologica e fisica.

Papà ‘dimenticava’ sempre di lasciarci i soldi per la spesa, così una volta ho accompagnato mamma nell’officina dove lui lavorava, per chiederglieli. Lei mi ha lasciato alla porta e si è diretta verso di lui, che si è avvicinato e ha cominciato a urlarle parolacce. Mamma gli ha detto: ‘Guarda che c’è anche Luca’, girandosi verso di me. Papà l’ha colpita con calcio alle spalle, e lei è rimasta immobile. Era andata in coma. Mi sono trovato in ospedale solo con lei, perché anche i parenti ci urlavano addosso che non poteva essere vero, che la mamma non era stata colpita, ma era caduta.

Seppur bambino, Luca ha capito di dover prendere in mano la situazione per salvare sua madre, e così, ricorda, durante l’ennesimo episodio di violenza, a soli 11 anni, si è frapposto fra i suoi genitori e ha intimato al padre di andarsene. Da quel momento è iniziata una nuova vita per entrambi: la madre ha potuto finalmente emanciparsi economicamente iniziando a lavorare, mentre lui ha fatto lo stesso, debuttando nei primi spettacoli e spot pubblicitari.

Oggi Tommassini, che da anni è schierato al fianco di Pangea Onlus proprio per contrastare la violenza sulle donne, suggerirebbe a chi è vittima di violenza

Di allontanarsi e cercare confronti fuori dalla solita cerchia: chi ti vuole bene, spesso, non ha strumenti per aiutarti. Io ci ho messo tanto a raggiungere la seconda cerchia: ero incastrato nella prima, e vedo che succede molto spesso a chi vive queste esperienze.

Le conseguenze di quei giorni terribili, dice, sono ancora ben evidenti in lui, nonostante oggi sia un uomo e un professionista affermato:

Sono ancora molto insicuro, e mi succede, come allora, di avere attacchi di panico. Un tempo li nascondevo per non aggravare il dolore di mamma: avevo imparato a fingere, a sorridere facendo come se andasse tutto bene. Da piccolo ho provato schifo, dolore, e allo stesso tempo, ho anche cercato di riconquistare mio padre.

[…] Sono sempre molto affascinato e incuriosito dalle persone che hanno vissuto un’infanzia felice. Ma è vero che tutto questo dolore mi ha portato a esprimermi artisticamente in maniera diversa, più ricca. C’è qualcosa, in chi ha sofferto, che brilla di più, che è più faticoso ma più profondo. Anche se, ovviamente, non sono riconoscente a chi ha fatto male.

Racconta anche che tempo addietro, dopo l’esperienza negli Stati Uniti e al rientro in Italia, si sia in qualche modo ritrovato col genitore:

Poco tempo prima che morisse d’infarto, in macchina, mi disse che gli dispiaceva per quello che aveva fatto a me e alla mamma. Non era più in salute, si rigettava fragile e probabilmente, sentendosi in colpa, voleva ripulirsi la coscienza.

Non ho risposto. Avevo esaurito tutte le mie energie: le avevo impiegate per costruirmi una vita migliore. E, quando è morto, questa cosa mi è rimasta lì. Forse avrei voluto affrontare il discorso, renderlo consapevole che ci aveva fatto molto più male di quanto pensava, perché credo che lui non l’abbia mai capito. Oggi glielo saprei spiegare meglio.

Su una cosa, però, è certo: alla domanda “Lo ha perdonato?” risponde recisamente

No.

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