Di recente è stato presentato l’Indice Regionale sul Maltrattamento all’Infanzia in Italia, curato da CESVI, in collaborazione con figure di rilievo come la viceministra del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, la consigliera del ministro dell’Università, Alessandra Gallone, e la presidente del Cismai, Marianna Giordano. L’indice offre una panoramica dettagliata dell’incidenza del maltrattamento infantile nelle diverse regioni italiane, mettendo in evidenza le aree più a rischio e quelle meno vulnerabili.

Nel dettaglio, questa edizione dell’Indice si è concentrata sul ruolo del linguaggio nel contesto del maltrattamento e della cura all’infanzia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’abuso psicologico, inclusa la violenza verbale, è la forma di maltrattamento più diffusa. Questo tipo di abuso può avere conseguenze gravi e durature sulla salute mentale, sia durante l’infanzia che in età adulta. L’abuso psicologico, che include la violenza verbale, colpisce una percentuale significativa di bambini in Europa, con un’incidenza del 36,1% tra i 55 milioni di bambine e bambini vittime di abusi.

L’analisi rivela un’Italia divisa in due parti distinte: al Nord gli episodi di maltrattamenti infantile si verificano in misura molto inferiore rispetto al Sud. Le regioni settentrionali tendono a offrire migliori servizi di prevenzione e intervento, mentre il Sud continua a lottare con risorse limitate. Nonostante le indubbie difficoltà, emergono però i primi segnali di miglioramento che devono essere consolidati. Cosa di certo non semplice, dato il contesto di incertezza geopolitica e le difficoltà economiche portate dall’inflazione e dall’aumento dei costi energetici.

Maltrattamento infantile: sguardo ravvicinato alle regioni

Tra le regioni italiane, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia continuano a distinguersi per contesti particolarmente favorevoli, mantenendo rispettivamente il primo e il secondo posto. Segue l’Emilia-Romagna, che ha guadagnato una posizione salendo al terzo posto, e la Lombardia, che con un balzo di due posizioni si piazza al quarto posto. Il Veneto, sceso dal terzo al quinto posto, rimane comunque tra le regioni virtuose.

La situazione è decisamente più critica nel Sud Italia. La Campania si trova all’ultimo posto per fattori di rischio complessivi, seguita da Sicilia, Puglia e Calabria, che mantengono le posizioni precedenti. Altre regioni come Basilicata, Marche, Umbria e Molise hanno registrato miglioramenti. Invariati i risultati per Toscana e Piemonte, mentre Valle d’Aosta, Lazio, Abruzzo e Sardegna hanno perso una posizione ciascuno, e il Veneto e la Liguria ne hanno perse due.

Per quanto riguarda la disponibilità di servizi di prevenzione e cura, l’Emilia-Romagna emerge come la regione dotata dei migliori strumenti, seguita da Veneto, Toscana, Valle d’Aosta, Umbria e Sardegna. Le prime tre regioni hanno mantenuto le loro posizioni, mentre le successive hanno visto miglioramenti. Le regioni con maggiori criticità rimangono Campania e Sicilia, con quest’ultima peggiorata di una posizione, seguite da Calabria e Puglia, entrambe in peggioramento. Regioni “ad alta criticità” per via dei servizi sotto la media nazionale. Anche Molise, Basilicata, Abruzzo, Lazio e Piemonte rientrano tra le aree critiche, con Piemonte in particolare che è arretrata di quattro posizioni, mentre la Sardegna ne ha guadagnate tre.

In termini di capacità complessiva di fronteggiare il maltrattamento all’infanzia, l’Emilia-Romagna si conferma al primo posto, seguita da Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, che mantengono le loro posizioni. Lombardia resta stabile, mentre le regioni con maggiori criticità sono ancora Sicilia e Campania. Le Marche migliorano di tre posizioni, la Valle d’Aosta di due, e Umbria, Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Molise e Calabria di una ciascuna. Liguria, Piemonte e Lazio peggiorano di tre posizioni, mentre Toscana e Puglia scendono di una.

Il rapporto di CESVI dichiara che uno degli strumenti più efficaci per prevenire il maltrattamento infantile è l’investimento nell’educazione alla cura e nell’uso di un linguaggio positivo. È fondamentale formare i professionisti, prendersi cura delle vittime, intervenire sui perpetratori, interrompere la trasmissione intergenerazionale della violenza e prevenire l’abuso individuando i fattori di rischio e potenziando quelli protettivi.

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