Un caso che sta creando molta confusione.
La storia di Valentina Magnanti, 28 anni, è da pelle d’oca e in troppi stanno raccontando la loro versione.
Valentina è portatrice di una malattia genetica trasmissibile molto rara, e proprio per questo sconveniente è stata costretta ad abortire, nonostante fosse già al quinto mese di gravidanza.

“Io sognavo un figlio, un bambino che avesse qualche possibilità di una vita normale. Invece mi sono ritrovata ad abortire al quinto mese sola come un cane”.

Proprio così. Valentina denuncia infatti i medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma che, essendo tutti obiettori di coscienza, hanno lasciato la donna sola con il marito nei bagni dell’edificio.

“Tutto questo per colpa di una legge sulla fecondazione ingiusta, di medici obiettori, di uno Stato che non garantisce assistenza”.

Valentina infatti, nonostante la malattia, potrebbe comunque avere figli ma non può a causa della legge 40, sulla fecondazione assistita.

“A me questa legge ingiusta concede solo di rimanere incinta e scoprire, come poi è avvenuto, che la bambina che aspettavo era malata, condannata. Lasciandomi libera di scegliere di abortire, al quinto mese: praticamente un parto”.

A questo si aggiunge il problema dei medici obiettori.

“Decido di abortire e scopro che la mia ginecologa lo è, si rifiuta di farmi ricoverare. Riesco dopo vari tentativi ad avere da una ginecologa del Sandro Pertini il foglio del ricovero, dopo due giorni, però, perché soltanto lei non è obiettore”.

“É stato un inferno. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, tra conati di vomito e momenti in cui svengo, con mio marito sempre accanto che non sa che fare, che chiama aiuto, che va da medici e infermieri dicendogli di assistermi, senza risultato, partorisco dentro il bagno dell’ospedale. Accanto a me c’è solo Fabrizio”.

“Nessuno ci ha assistito nel momento peggiore. Forse perché da quando sono entrata a quando ho partorito era cambiato il turno, c’erano solo medici obiettori”.

Quando tutto finì Valentina si trovò senza forze e troppo depressa per poter anche solo parlare di questa storia. Ora che sono passati poco più di 3 anni, Valentina tira fuori la grinta e accusa di omissione di soccorso i medici dell’ospedale.

“Almeno sulla legge 40 stiamo avendo ragione. Mi sono rivolta all’associazione Coscioni e abbiamo fatto ricorso perché anche chi ha malattie genetiche possa accedere alla fecondazione assistita, alla diagnosi pre-impanto, perché non ci si debba ritrovare ad abortire al quinto mese. E ora il tribunale, per la seconda volta in due mesi, ha sollevato dubbi di costituzionalità su questo punto della legge. Forse ora anch’io potrò diventare madre”.

La Asl di Roma però si difende:

“L’Asl Roma B ha provveduto a effettuare una verifica su quanto dichiarato dalla signora Valentina e cioè di essere stata lasciata senza assistenza durante un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) avvenuta nell’ospedale Pertini nel 2010. Dalle verifiche risulta che la signora Valentina è stata seguita dal personale che ha l’obbligo dell’assistenza anche nel caso di obiezione di coscienza. Nel caso specifico due medici non obiettori che fanno parte dell’equipe istituzionalmente preposta all’Ivg. Pur comprendendo il disagio dovuto al lungo periodo di travaglio si fa presente che la rapidità della fase espulsiva del feto, avvenuta nella stanza di degenza alle ore 3 della notte, è un evento assai comune per il periodo gestazionale. La signora Valentina comunque è stata prontamente assistita e avviata alla sala parto per le successive procedure previste nel post parto”.

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